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Un riscatto dietro il rapimento

Nessuna rivendicazione per il sequestro dei tre lavoratori della Conicos, tra cui gli italiani Danilo Calonego, Bruno Cacace, e avvenuto ieri a Ghat in pieno deserto libico al confine con l’Algeria.

Il Consiglio comunale della cittadina esclude che sia opera di Al Qaeda o di altre formazioni terroristiche, e parla di azione di bande criminali fuorilegge operanti in zona a scopo di riscatto.

Le ricerche sono scattate immediatamente con l’utilizzo di un elicottero, appena l’autista del gruppo è riuscito ad informare dell’accaduto, ma finora nessuna traccia dei rapitori.

La versione dei fatti è appunto quella fornita dall’autista. All’alba di ieri, sulla strada dell’aeroporto, mentre il gruppo si stava recando al cantiere di lavoro, alcuni uomini dal volto mascherato ed armati con mitra hanno bloccato il veicolo e portato via i due italiani e l’italocanadese.

L’autista, ferito a una gamba, è stata lasciato per strada con le mani legate. Le rassicuranti dichiarazioni ufficiali delle autorità locali non dovrebbero però ingannare, perché la zona è via di passaggio di tutti i traffici illegali, dal contrabbando di droga e armi all’immigrazione clandestina, attività controllate dalle organizzazioni terroristiche legate ad Al Qaeda e di recente a Daiesh. Sullo sfondo c’è anche lo scontro etnico tra Tuareq e Tabu, che recentemente hanno siglato proprio a Roma una riconciliazione con la mediazione della Comunità di Sant’Egidio.

La storia dei sequestri di italiani in Libia è lunga. Si è cominciato in piena rivolta, nell’agosto 2011, con il rapimento a Tripoli di quattro giornalisti: Claudio Monici di Avvenire, Elisabetta Rosaspina e Giuseppe Sarcina del Corriere della Sera e l’inviato di La Stampa Domenico Quirico. Sequestro che è costato la vita al loro autista libico, ucciso sotto gli occhi dei quattro giornalisti. La liberazione è avvenuta due giorni dopo, in un’irruzione in una casa privata a Tripoli, in cui i giornalisti erano tenuti prigionieri da due uomini armati.

Il 2014 è stato l’anno con maggior numero di rapimenti di cittadini italiani in Libia. Anzitutto il tecnico Gianluca Salviato, sparito nel nulla a Tobruk, dove seguiva i lavori di realizzazione degli impianti fognari della città per conto di un’impresa di Udine. Salviato è stato rapito il 22 marzo del 2014 e la sua auto è stata ritrovata abbandonata. La liberazione avvenuta a novembre dello stesso anno dopo il pagamento di un’ingente somma di denaro e una complessa trattativa.

Tre giorni prima del rilascio di Salviato, si era conclusa la vicenda del tecnico emiliano, Marco Vallisa, rapito nel mese di luglio a Zuwara, città costiera a circa 100 km ad ovest di Tripoli. Anche in questo caso, malgrado le smentite ufficiali, è stato pagato un riscatto milionario per il rilascio.

Il 17 gennaio del 2014 si sono perse le tracce di Francesco Scalise e Luciano Gallo, originari della Calabria, rapiti nei pressi del villaggio di Martof, a est di Derna. I due sono stati sequestrati mentre si stavano recando in cantiere con il loro furgone. Secondo la testimonianza dell’autista, un gruppo di uomini armati e a volto coperto, ha fermato il veicolo e li ha costretti a salire su un’auto. Nei giorni successivi al sequestro non c’è stata nessuna rivendicazione, ma si era ipotizzato un rapimento a opera di gruppi legati ad Al Qaeda, per ottenere un riscatto. I due italiani sono stati liberati il 7 febbraio 2014, grazie ad un’operazione congiunta tra autorità libiche e italiane.

L’ultima vicenda di sequestri in Libia che riguarda cittadini italiani, prima di questa in corso a Ghat, è quella drammatica di Sabratha. Il 19 luglio del 2015 quattro dipendenti della ditta Bonatti di Parma vengono rapiti vicino all’impianto Eni di Mellitah, subito dopo il loro ingresso in Libia provenienti dalla Tunisia. Sono Fausto Piano, Salvatore Failla, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno. Due di loro, Piano e Failla, sono stati uccisi il 3 marzo 2016 durante un’operazione di trasferimento verso un nuovo covo, in seguito a uno scontro a fuoco tra milizie locali rivali. Gli altri due sono stati liberati e hanno fatto ritorno in Italia il 6 marzo 2016.

  • Autore articolo
    Farid Adly
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    L’esercito israeliano ha lanciato questa notte l’invasione di terra su Gaza City. Da ieri i carri armati sono entrati nel cuore della principale città della striscia, e i bombardamenti hanno colpito senza sosta strade, case, infrastrutture. Da questa mattina, i morti sono 89. Centinaia di migliaia di persone vivono ancora nella città. Migliaia di persone stanno invece cercando di fuggire, in un esodo verso un sud che non ha più spazio per ospitarli. Il servizio di Valeria Schroter.

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    1) “Gaza brucia di fronte al suo mare, testimone della sua tragedia”. L’esercito israeliano ha lanciato l’offensiva di terra sulla principale città della striscia. L’esodo in mezzo alle bombe. Quasi 90 i morti da questa mattina. (Valeria Schroter) 2) Israele come Sparta. Mentre l’ONU stabilisce che quello in corso a Gaza è genocidio, Netanyahu ammette l’isolamento internazionale e dipinge un futuro di autarchia e guerra permanente. (Anna Foa, Eric Salerno) 3) Gli Stati Uniti continuano a colpire il Venezuela. Trump punta a rovesciare il regime di Maduro con la scusa della lotta al narcotraffico. (Alfredo Somoza) 4) Cinquant’anni fa l’indipendenza della Papua Nuova Guinea. Il paese oggi è vittima della maledizione della ricchezza e rischia di finire ostaggio di un nuovo braccio di ferro tra occidente e Cina. (Chawki Senouci) 5) Spagna, l’estrema destra torna a riunirsi a Madrid. Il primo passo verso una grande alleanza di tutte le destre europee. (Giulio Maria Piantadosi) 6) Rubrica Sportiva. Julia Paternain, la maratoneta uruguayana entra nella storia vincendo la prima medaglia ai mondiali di atletica per il paese sudamericano. (Luca Parena)

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    “E’ stato bello rendersi conto che la figura di Woodie Guthrie è ancora molto viva anche fuori dagli Stati Uniti”, racconta Sarah Lee, nipote dell’icona folk americana. “Le problematiche di cui cantava lui ottant’anni fa sono ancora attuali”, riferendosi al tema dell’immigrazione e alla difficile situazione al confine con il Messico. Con la sua musica Woody Guthrie "affrontava un concetto molto basilare di umanità e speranza, ovvero il trattare le persone come persone, aiutandosi a vicenda nei momenti di difficoltà": lo stesso messaggio che ora le Guthrie Family Singers vogliono portare avanti. Ascolta l’intervista di Elisa Graci alle Guthrie Family Singers.

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