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Trump divide Cleveland

Si sono incontrati sulle sponde del Lago Erie, su cui si adagia Cleveland. Da un lato alcune centinaia di manifestanti anti-Trump, membri di Black Lives Matter, anti-capitalisti, pacifisti, ecologisti. Dall’altro decine di delegati repubblicani. I primi protestavano contro razzismo, violenza poliziesca, pregiudizio anti-migranti. I secondi erano vestiti da sera ed entravano in un club sul lago per un party pre-Convention: “Rock the Night”.

E’ l’immagine di Cleveland la sera prima dell’inizio della Convention 2016, quella che dovrebbe incoronare definitivamente Donald J. Trump candidato ufficiale del G.O.P. La città, come prevedibile, è sotto un rigido controllo di polizia. Almeno 2000 agenti sono arrivati da altri Stati a dar man forte alla polizia locale. Le strade sono presidiate dai membri del Secret Service e dell’FBI. Alle finestre e sui tetti si scorgono decine di cecchini.

Trump è del resto un candidato controverso, per molti tra gli stessi repubblicani, e l’arrivo di centinaia di contestatori non è una sorpresa. “E’ un pericolo per la democrazia americana, è un populista che fa emergere il peggio dalle persone, ma gli americani non sono così”, mi dice Judy Stanley, che è venuta da Toledo, alcuni chilometri da Cleveland, per protestare contro Trump. Secondo Mark Costello, di Chicago, gli Stati Uniti stanno vivendo un momento drammatico, “le tensioni razziali sono alle stelle, Trump non fa che acutizzarle”. Naomi Rosenthal viene invece da Ann Arbour, una città universitaria del Michigan. Fa parte dei “Jews against Trump”, gli ebrei contro Trump. Spiega che il giudaismo “è umanesimo, gli ebrei sono stati perseguitati, conoscono il razzismo. E Trump è razzista, perché pensa che alcuni gruppi etnici sono superiori ad altri”.

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Sono molto più sfumati i toni tra i delegati repubblicani che entrano nel club in riva al lago. Ovviamente per loro il tema davvero controverso non è tanto quello del razzismo di Trump, del suo populismo che mette a rischio la democrazia. Per questi delegati il tema vero oggi è quello dell’unità del partito, che la candidatura di Trump mette a rischio. “Perché l’America ha bisogno di Trump?” chiedo a una signora in completo pantalone con i colori della bandiera americana. “Perché dice quello che molti pensano, ma che hanno paura di dire – risponde -. Trump ha successo perché è in perfetta sintonia con quello che pensa la maggioranza degli americani: sugli immigrati, sulla perdita dei posti di lavoro, sul fatto che con Barack Obama siamo diventati una nazione di imbelli”.

Meno netto il giudizio se si ascolta l’opinione di un repubblicano che non ha sostenuto Trump alle primarie. Greg è un signore di oltre settant’anni, alle primarie ha votato per Jeb Bush. “In effetti, non sono d’accordo con le cose che Trump dice su musulmani e migranti”, spiega. “Lo voterà comunque?” chiedo. “Sì – dice – è il candidato repubblicano”. “Jeb Bush non sarà qui a Cleveland a sostenere Trump”, gli dico ancora. “Jeb sbaglia – mi spiega ancora Greg -. Il candidato repubblicano va votato, chiunque esso sia. E’ importante sconfiggere Hillary. E’ una disonesta. Sarà travolta dalla sua stessa ambizione”.

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Nonostante gli appelli all’unità, il problema però rimane. Molti repubblicani non sono disposti a fare come Greg e votare “il candidato repubblicano, comunque”. Qui a Cleveland mancano per esempio all’appello alcuni tra i volti storici del partito. E’ assente, al gran completo, la famiglia Bush. Non c’è Mitt Romney, che ha già detto che non voterà Trump ma il candidato dei libertarian. Non c’è Joe McCain, insultato da Trump perché si è fatto catturare ai tempi della guerra in Vietnam. Assenti decine di senatori e deputati, con le scuse più fantasiose: c’è chi deve tagliare l’erba del prato, chi ha un week-end di pesca, chi ha un viaggio programmato da mesi, chi sostanzialmente non ha neppure sentito il bisogno di spiegare perché non ci sarà.

Donald Trump ha, in questi mesi, diviso l’America. Ma ha diviso, e in modo potente, il suo stesso partito, che esce da queste primarie con le antiche anime cancellate, travolte, trasformate. L’entrata in scena di Trump è un dilemma per i repubblicani USA, ancor prima che per l’America. Me lo spiega, prima di infilarsi a “Rock the Night” un signore in giacca rosa e pantalone bianco. “Trump potrebbe essere il nuovo Ronald Reagan. Potrebbe cambiare profondamente il partito. Ma potrebbe anche ucciderlo”.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    Aree interne, non piace il riferimento del governo al declino demografico: per Legambiente nell’Oltrepo pavese c’è un’inversione di tendenza

    Nuova strategia e organismi di gestione per i fondi per le aree interne fino al 2027. Lo ha deciso il governo, con poca convinzione nella possibilità di invertire lo spopolamento e il declino economico di ampie zone d’Italia, più al sud che nel centro nord. In tutto ci vivono oltre 13 milioni di persone. In Lombardia le aree interne sono Valcamonica e Valcamonica in provincia di Brescia, Val d’Intelvi in quella di Como, e l’Oltrepo pavese. Per supportare questi territori ci saranno strutture dalla presidenza del consiglio alle regioni, passando per gli enti territoriali comprensoriali che dovranno attivarsi per coordinare il lavoro in rete. Come nella precedente strategia rimangono centrali i servizi per chi vive in questi territori, dalla sanità alla scuola, passando per le connessioni digitali e i trasporti. L’invecchiamento della popolazione, secondo il documento del governo, appare maggiore in questi territori, i migranti possono aiutare a diminuire questa prospettiva, così come ci sono segnali di ripresa del commercio in alcuni territori. Fabio Fimiani ha sentito Patrizio Dolcini di Legambiente Oltrepo pavese, una delle aree interne della Lombardia.

    Clip - 01-07-2025

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    Jazz in un giorno d'estate di martedì 01/07/2025

    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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    Poveri ma belli - 01-07-2025

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    Almendra è fresca e dolce. Almendra è defaticante e corroborante. Almendra si beve tutta di un fiato. Almendra è una trasmissione estiva di Radio Popolare in cui ascoltare tanta bella musica, storie e racconti da Milano e dal mondo, e anche qualche approfondimento (senza esagerare, promesso). A luglio a cura di Luca Santoro, ad agosto di Dario Grande.

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    E’ morto l’architetto Francesco Borella, per tanti il papà del Parco Nord Milano. Lo ha diretto per venti anni dagli inizi degli anni ‘80, quando lo ha progettato insieme al paesaggista Adreas Kipar. Cava dopo cava, orto spontaneo dopo orto spontaneo, aziende agricole in dismissione dopo aziende agricole a fine ciclo, ha rigenerato e riconesso con percorsi ciclopedonali l’ampia area che tra Sesto San Giovanni e Cinisello Balsamo si estende a Cusano Milanino, Cormano e ai quartieri milanesi di Affori, Bruzzano, Niguarda e Bicocca. Un parco che negli anni ‘70, quando è stato voluto con le mobilitazioni popolari, sembrava impensabile che potesse avere le presenze che ha il più noto e storico Parco di Monza. Fabio Fimiani ha chiesto un ricordo dell’attuale presidente del Parco Nord di Milano, Marzio Marzorati. Radio Popolare si stringe affettuosamente con un abbraccio ai figli Joanna, Cristiana, Giacomo e Sebastiano Borella.

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    Il podcast di Francesco Tragni e Giuseppe Fiori registrato dal vivo a Germi. Enrico Gabrielli è stato il secondo ospite che ha raccontato quali sono i suoi vinili di riferimento: polistrumentista, compositore e arrangiatore, ha collaborato con artisti come Muse e PJ Harvey, e fa parte dei gruppi Calibro 35, Winstons e Mariposa (in passato anche negli Afterhours). Complessivamente compare in oltre 200 dischi. Ha anche suonato il flauto traverso nella sigla di Dodici Pollici.

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