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Le nuove misure anti-COVID decise dal governo, il nodo da sciogliere sul taglio delle tasse e le altre notizie della giornata

Mario Draghi stato di emergenza

Il racconto della giornata di mercoledì 24 novembre 2021 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Le nuove misure anti-COVID decise dal governo entreranno in vigore dal 6 dicembre: la stretta per i non vaccinati è arrivata, con qualche compromesso. La Commissione Europea ha dato parere favorevole alla bozza di legge di bilancio dell’Italia, ma alla manovra manca ancora un pezzo: come dividere gli 8 miliardi destinati al taglio delle tasse. Alla vigilia della giornata internazionale contro la violenza sulle donne la Commissione parlamentare sul femminicidio ha presentato in Senato la propria relazione con dati riferiti al biennio 2017-18. Infine, l’andamento della pandemia di COVID-19 in Italia.

Tutte le nuove misure anti-COVID decise dal governo

(di Anna Bredice)

Dal 6 dicembre al 15 gennaio. Sarà questa la durata delle restrizioni previste per chi decide di non vaccinarsi. E il divieto varrà in zona bianca e gialla, quindi tra due settimane in tutta Italia se i dati restano quelli attuali. Viene inoltre introdotto il Green Pass attualmente in vigore sugli autobus e metropolitane. Le restrizioni previste per chi non avrà il cosiddetto Green Pass rafforzato riguardano cinema, spettacoli, stadi, ristoranti al chiuso, feste, discoteche, cerimonie pubbliche, quindi l’insieme di attività che riguardano il tempo libero che saranno vietate ai No Vax. Il Consiglio dei Ministri ha deciso quindi di iniziare subito con il doppio Green Pass, che avrà una durata fino a 9 mesi non più un anno, senza attendere di passare in zona arancione o rosse. Se scatteranno le zone arancioni, i divieti varranno solo per chi non si è vaccinato, per gli altri, vaccinati e guariti, saranno possibili tutte le attività. Naturalmente se dovesse esserci una regione di colore rosso ci sarà un lockdown generale. La durata limitata al solo periodo di Natale e non prorogata nel tempo, mettendo in salvo viaggi, stagione sciistica e le attività commerciali del periodo festivo, che era ciò che volevano le regioni, indipendentemente dalla loro provenienza politica, è il compromesso che il governo ha trovato con la Lega innanzitutto, visto che Salvini inizialmente era scettico all’idea di una stretta per i no vax anche nelle regioni di colore bianco.
Una delle novità inserite in questo nuovo decreto riguarda l’obbligo di un Green Pass base, chiamato così quello concesso anche con il tampone negativo, per salire sui mezzi pubblici locali. Al momento questa condizione non esiste, soprattutto per i tanti studenti over 12 che vanno a scuola, in questo caso dovrebbero vaccinarsi o fare un tampone. Per i trasporti regionali, per i pendolari quindi, rimane il green pass base, così come dovranno averlo anche gli sportivi negli spogliatoi anche all’aperto. L’altra novità è l’obbligo del vaccino anche per altre categorie, oltre a quella della sanità, l’obbligo dal 15 dicembre sarà esteso per chi lavora nella scuola, per i militari, soccorso pubblico e polizia, centinaia di migliaia di persone quindi. Ciò che non è cambiato è l’uso della mascherina non obbligatorio all’aperto e le modalità e la durata dei tamponi che restano quelli attuali. Fonti della Lega negano che ci siano stati contrasti nel consiglio dei ministri, in realtà poco prima, nell’incontro tra le regioni governate dalla Lega con Salvini e i capigruppo ci sarebbe stato parecchio malumore rispetto alla decisione dell’estensione alle zone bianche, tanto che era trapelata la minaccia che i ministri leghisti non avrebbero partecipato al consiglio dei ministri, probabilmente il limite al solo periodo di Natale ha ridotto il dissenso leghista.

L’ultimo nodo da sciogliere per la manovra: il taglio delle tasse

(di Massimo Alberti)

La Commissione Europea ha dato parere favorevole alla bozza di legge di bilancio dell’Italia, affiancandola ad una raccomandazione sulla limitazione della spesa pubblica. Alla manovra manca ancora un pezzo: come dividere gli 8 miliardi destinati al taglio delle tasse. Il ministro dell’economia Daniele Franco aveva presentato una mediazione tra i partiti per il taglio delle aliquote Irpef, bocciata però dalla Commissione Finanze del Senato che ha dato una indicazione politica chiara: priorità al taglio delle tasse per le imprese. Domani torna a riunirsi il tavolo di maggioranza.
Priorità: tagliare, ancora, le tasse alle imprese. Come se non bastassero le decine di miliardi tra sgravi ed incentivi che negli ultimi anni non si sono tradotti in posti di lavoro, nell’ambito della discussione su cosa fare degli 8 miliardi che il governo ha destinato al fisco e la direzione non cambia, e il voto della commissione bilancio praticamente all’unanimità è significativo anche perché stronca il tentativo di mediazione del Ministro dell’Economia. Franco aveva proposto un inizio di riforma complessiva del sistema fiscale, per cercare di tenere insieme tutte le posizioni nella maggioranza, che risultava comunque parecchio iniqua.
Con un sistema fiscale sempre meno progressivo, dove dal taglio delle tasse i redditi medio-alti risparmierebbero di più. Le nuove aliquote proposte da Franco: 23% per redditi fino a 15mila euro, 25% tra 15 e 35mila, tagliata di 2 punti, 34% fra 35 e 55mila, tagliata di 4 punti, 43% oltre. I circa 6 milioni di contribuenti con stipendi medio-alti che passerebbero al 34% arriverebbero a risparmiare oltre 800 euro l’anno. Per le fasce più basse, secondo stime Istat, il risparmio sarebbe intorno al centinaio di euro. Sarebbero poi riviste le detrazioni, dove verrebbe assorbito il bonus 80euro, un incremento di qualche centinaio di euro della no tax area per i pensionati (oggi intorno agli 8mila) e per gli autonomi (oggi sui 4.800 euro).
Sarebbe quindi rimasta qualche briciola anche ad una parte dei redditi più bassi, ma non è certo per le iniquità che la proposta sembra archiviata.
Il problema è che così non sarebbero avanzati i 2 miliardi da destinare al taglio dell’Irap con due ipotesi: la cancellazione per tutti escluse le società di capitale, o un taglio focalizzato sulle piccole. La commissione finanze è intervenuta a gamba tesa, sul parallelo dibattito in corso al tavolo di maggioranza, dicendo che non ci sono i soldi per una riforma fiscale complessiva, e che la priorità va appunto data alle imprese. Il messaggio è chiaro: o si aumenta il saldo destinato al taglio delle tasse, oppure si torna al piano originario, che insieme al taglio dell’Irap prevedeva di concentrare l’intervento sull’irpef solo sui redditi medioalti.
Tra la padella, la brace, e il forno, insomma.
Sul taglio dell’Irap era intervenuta anche BankItalia, ricordando che l’Irap concorre a finanziare la sanità, tema di cui ha parlato anche l’ufficio parlamentare di Bilancio in modo molto duro: nella manovra non si intende rafforzare il SSN, confermando l’Italia tra i paesi europei con la spesa sanitaria più bassa e in riduzione, scrive nella relazione il presidente Giuseppe Pisauro, critico anche con le modifiche al reddito di cittadinanza, giudicate troppo restrittive.



La violenza sulle donne è un fenomeno stabile, radicato e trasversale

Alla vigilia della giornata internazionale contro la violenza sulle donne la Commissione parlamentare sul femminicidio ha presentato in Senato la propria relazione.
I dati, riferiti al biennio 2017-18, sono simili a quelli del passato: 211 i femminicidi, circa uno ogni tre giorni. Gli assassini hanno le chiavi di casa nel 78% dei casi, nel 57% sono i partner, nel 13% gli ex. I femminicidi avvengono in ogni territorio, in ogni classe sociale, e riguardano donne di diverse età. La violenza sulle donne non è una emergenza ma un fenomeno stabile, radicato e trasversale. La ragione degli abusi è sempre la stessa: «Un atto di volontà di dominio e di possesso dell’uomo sulla donna al di là della possibile volontà di indipendenza e di rottura dell’unione», si legge nel rapporto.

(di Chiara Ronzani)

Un’analisi in cui le responsabilità dello stato sono messe nero su bianco: l’impreparazione dei poliziotti, pronti a rimandare a casa la donna che denuncia, spesso dopo la paternale, le minimizzazioni, la mancata trasmissione della notizia di reato alle procure. I magistrati, pervasi da stereotipi sui ruoli di genere, propensi a scavare nella vita della denunciante piuttosto che del denunciato, a fare supplementi di indagine se c’è di mezzo una separazione. I giudici, con gli sconti di pena e l’accoglimento delle attenuanti più spesso rispetto ad altri reati. Sentenze intrise di pregiudizi. Il mancato riconoscimento della pericolosità dell’assassino. Questa relazione spiega perché le operatrici antiviolenza si infurino quando ritualmente intorno al 25 novembre si sente l’invito alle donne “denunciate, denunciate”. 15 delle donne assassinate l’avevano fatto, inutilmente. Una di loro, addirittura 8 volte.
Il rapporto sottolinea il numero irrilevante di assassini pentiti e come dalle indagini emerga l’odio e il disprezzo nei confronti delle vittime e una cultura radicata che prevede precisi comportamenti che devono tenere le donne, da correggere ad ogni sgarro con la violenza, fino alla morte.
E si getta una luce sulle conseguenze dei femminicidi, sulle altre vittime: gli orfani. 169 nel periodo analizzato. In gran parte minori che hanno assistito alle violenze, in tre casi su 10 hanno visto il corpo della madre ammazzata, nel 17% dei casi hanno assistito all’omicidio. Un affresco di complicità diffuse e non riconosciute, che il parlamento deve guardare in faccia.

L’andamento dell’epidemia di COVID-19 in Italia

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