Politica leggera

I leghisti e -ancora- la storia dei gay che portano l’Aids

Torno oggi su un fatto di qualche giorno fa, contravvenendo alla logica del web secondo cui le notizie si commentano a caldo.

Ho lasciato trascorrere qualche giorno per darmi il tempo di riflettere, a mente serena, lasciando scorrere via la rabbia che non è mai buona consigliera, come dicevano i proverbi dei nonni (in realtà era la fretta ma facciamo in questo caso che sia la rabbia che la fretta sarebbero state cattive consigliere).

Mi riferisco al tweet del deputato leghista Claudio Borghi -sì, lui, quello che insieme al suo sodale Alberto Bagnai avrebbe voluto farci uscire dall’Euro condannandoci alla rovina- dello scorso 20 luglio. Lo riporto qui in forma integrale per completezza di informazione:

“terzo giornalista che chiama per sapere se sono vaccinato. Finora sono stato gentile, al prossimo parte il vaffanculo e la cancellazione dalla lista dei contatti. Perché questi eroi la prossima volta che intervistano un LGBT non gli chiedono se è sieropositivo e se fa profilassi?”

La mia prima reazione, a livello emotivo, sarebbe stata quella della scatologia, dico la verità. Ma in giro di questa roba ne abbiamo fin troppa e non è che aiuti, anzi avrebbe fatto il gioco dell’aggressore. Invece è molto più interessante andare a vedere l’origine delle parole di Borghi.

Dobbiamo tornare agli anni ’80, quando l’epidemia di Aids esplose negli Stati Uniti, colpendo tra gli altri la comunità gay. Alla Casa Bianca c’era il repubblicano Ronald Reagan, attorniato da uno staff di collaboratori intrisi dell’ideologia reazionaria della destra Usa che nei decenni, passando per i cosiddetti “teocon” di Bush Junior avrebbe visto la deriva del partito conservatore concludersi con il trumpismo. Ma pure negli ’80 non scherzavano, i ragazzi. Tra i consiglieri più ascoltati di Reagan figurava ad esempio Pat Buchanan, referente dei settori religiosi più oltranzisti, uno che arrivò a negare alcuni aspetti della Shoah. L’Aids fu, per lui e per il suo mondo, una grande fortuna. Nel 1984, all’insorgere sempre più frequente dei casi, sentenziò: “i gay hanno dichiarato guerra alla natura, e ora la natura esige una tremenda punizione”.

Una visione intrisa di moralismo, di estremismo religioso, di omofobia, di odio per il diverso. E di cinico e devastante calcolo politico. Una ideologia che condizionò l’azione della Casa Bianca.

Per anni Reagan evitò di parlare in pubblico dell’epidemia.

Nessuno studioso, nessuna persona guidata dal raziocinio, assocerebbe oggi una malattia sessualmente trasmissibile a un determinato orientamento affettivo e sessuale.

Lo ha fatto in Italia Claudio Borghi, non saprei onestamente dire quanto consapevole dell’origine storico-politica delle parole che ha espresso in quel tweet. Del resto che ci volete fare, in Italia siamo spesso retroguardia del peggio. Sicuramente il deputato leghista avrà pensato di solleticare l’istinto dei settori più arretrati dell’elettorato, oggi che la politica è ridotta troppe volte a pura ricerca del consenso immediato.

E qui a mio parere sta il punto, perché di Borghi Claudio in quanto tale ce ne si potrebbe anche bellamente fregare (se non fosse, non dimentichiamolo dato che è uno dei responsabili economici della Lega, per il suo sogno di farci uscire dall’Euro gettandoci nella miseria).

La domanda è: quante persone la pensano come lui? Quante persone credono ancora oggi che l’Aids sia una faccenda di omosessuali e transessuali, una malattia che è uno stigma, una giusta punizione per le tue depravazioni, per il tuo vivere al di fuori delle leggi del dio di turno?

Quante persone sognano la caccia all’untore?

Temo siano più di quante si possa immaginare. Credo che se ne stiano per lo più silenti perché agitare il fantasma della “colonna infame” è un po’ più complicato che sbraitare sui trend topic quotidiani, anche per un cosiddetto “leone da tastiera”.

Riflettendo sul caso Borghi ho pensato che, per paradosso, sarei felice, invece, se queste persone venissero allo scoperto. Per sapere con chi ci si rapporta. Per non averci nulla a che fare, mai. Per vivere la propria esistenza nella maniera più serena possibile tenendosi alla lontana, a debita distanza di sicurezza, dai propagatori di discorsi tossici, discriminatori, pericolosi e violenti.

  • Luigi Ambrosio

    Vorrei scrivere di mille cose e un giorno lo farò. Per ora scrivo di politica. Cercare di renderla una cosa umana è difficile, ma ci provo. Caposervizio a Radio Popolare, la frequento da un po' ma la passione non diminuisce mai

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    Milano ha cinque impianti di atletica per migliaia di praticanti. Nessuno è omologato per le gare ufficiali, nessuno è al coperto per fare attività in inverno o quando piove. Molti atleti sono così costretti a spostarsi fuori città. Il Comune ha aperto un tavolo per migliorare la situazione, le società chiedono interventi urgenti. I problemi dell’atletica a Milano faticano a trovare una soluzione. Con interviste all'assessora allo sport del Comune di Milano Martina Riva, al presidente della Bracco Atletica Franco Angelotti, ad Americo Gigante, allenatore specializzato nei lanci dell'Atletica Riccardi, Omar Lonati, atleta "master" e papà, Luciano Bagoli, direttore tecnico Nuova Atletica 87.

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