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“Finalmente ricomincio da me, a vivere”

Ora voglio mettere le basi per una nuova vita che mi aspetta. Finalmente ricomincio da me e posso scrivere la parola fine a questo storia che puntava a distruggermi. Mi sento di poter dire di avercela fatta”.

Lucia Annibali ci racconta emozioni e riflessioni dopo la sentenza della Cassazione . È molto stanca, ma soddisfatta. È una donna coraggiosa. Ha vinto la sua battaglia. Poco dopo la sentenza aveva detto:  “Sono più forte di quei due che mi hanno sfigurata con l’acido e di lui che ha ordinato di farlo e che ha cercato di uccidermi, manomettendo la cucina a gas di casa mia”.

La Cassazione, il 10 maggio, ha confermato la condanna in via definitiva a 20 anni di carcere per Luca Varani, l’ex fidanzato, avvocato pesarese di 39 anni, e a 12 anni per Rubin Talaban e Altistin Prevcetaj, assoldati per sfregiarla con l’acido solforico la sera del 16 aprile 2013. Varani risponde di lesioni gravi, stalking e tentato omicidio (per aver manomesso le manopole se della cucina a gas).

Lucia Annibali ora guarda avanti. Gli ultimi tre anni sonostati durissimi: ha dovuto affrontare 15 interventi per ricostruire il volto sfigurato dall’acido e continue difficoltà di respirazione e della vista.

In questi tre lunghi anni Lucia ha atteso giustizia, ma nello stesso tempo andava nelle scuole o nei dibattiti pubblici a cui era invitata spiegando, esortando le donne a “ non cedere mai al ricatto di chi vi fa soffrire, di chi vi usa violenza. Chiudete immediatamente qualunque rapporto con un uomo che può farvi del male , che può mettere a rischio la vostra persona”.

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La mia è una storia di speranza, un messaggio per tutti”, aggiunge Lucia che vuole mandare un abbraccio ai ragazzi di Milano “ustionati come me”. Si tratta di Stefano Savi e Pietro Barbini, i due ragazzi sfregiati dalla “coppia dell’acido”, Martina Levato e Alexander Boettcher.

Lucia, dopo la sentenza della Cassazione mi diceva di essere molta stanca ma soddisfatta….

“Sì, sono di certo soddisfatta ma anche molto stanca. Mi ci vorrà ancora qualche giorno per recuperare le forze e metabolizzare il tutto”.

Questa storia ha rischiato distruggerla?

“Di certo quello che mi è successo è tra le cose più tremende che possano capitare alla vita di una persona. Sarei potuta morire, restare cieca o mostruosa nel mio aspetto, senza possibilità di reinserimento nella società. Invece, nonostante il dramma, tutto è andato per il meglio. È stato un percorso medico molto difficile e lungo (ha subito 15 interventi sul volto, ndr), non ancora conclusosi. Ma mi sento di poter dire di avercela fatta e di avere una nuova possibilità di vita”.

Lei mi diceva che ora la sua vita è un po’ da reinventare, riprogettare…

“Con la conclusione della fase processuale è arrivato il tempo per me di progettare concretamente il futuro. Le cure mediche di certo proseguiranno, ma sento forte la necessità, ora, di mettermi di nuovo alla prova nella vita di tutti i giorni. Di mettere le basi per la nuova vita che mi aspetta”.

Come, dove, ha trovato tutto questo coraggio per affrontare una situazione così difficile?

“Nel desiderio di farcela, nell’attaccamento alla vita. Mai e poi mai avrei permesso che mi distruggessero o che la mia vita non tornasse ad essere una vita dignitosa”.

Per molte donne, lei è diventata un simbolo. Ritiene che la decisione della Cassazione di non concedere alcuno sconto di pena possa essere importante anche per altri casi simili al suo?

“La decisione della Cassazione ha confermato in pieno l’impianto accusatorio e tenuto conto della gravità delle condotte degli imputati. È una sentenza emessa nel pieno rispetto della legge e del dolore patito dalla vittima, riconoscendo, a quel dolore, dignità. Credo che questa sentenza faccia bene a tutta la società civile perché restituisce un po’ di fiducia nella giustizia e nel nostro sistema giudiziario. È una sentenza che suona come una speranza. Non bisogna mai arrendersi. Lo voglio ribadire a chi soffre: non è mai finita fino a quando non lo decidiamo noi. E se ce l’ho fatta io, possono farcela anche gli altri”.

Qual’ è il rischio maggiore per una donna, vittima di violenze? L’isolamento, rinchiudersi cioè dentro una relazione che la ferisce e che la tiene lontana dagli affetti veri. È invece importante raccontare che cosa sta succedendo, confrontarsi e chiedere aiuto. Che consiglio si sente di dare alle donne che subiscono violenze? Di lottare sempre per la propria libertà personale, anche quando sembra troppo difficile o faticoso. Di non accontentarsi mai e di cercare la propria felicità.

Lucia Annibali

Lucia Annibali nel libro Io ci sono, la mia storia di non amore, scritto con la collaborazione di Giusi Fasano del Corriere della sera, racconta questa parte della sua vita, a partire da quella maledetta sera del 16 aprile 2013 in cui, tornata a casa dopo essere stata in piscina, trova un uomo incappucciato che le tira in faccia dell’acido sfigurandola. Le ustioni la rendono anche cieca completamente e corrodono anche il dorso della mano destra.

Il mandante è l’avvocato Luca Varani, che con Lucia aveva avuto una tormentata storia d’amore troncata da lei nell’agosto del 2012.

Lucia Annibali ripercorre la sua storia con quell’uomo, dal corteggiamento al processo, e poi la sofferenza con lo choc dell’acido che si scioglie sul viso, la resistenza alla sofferenza al dolore delle molte operazioni chirurgiche al volto. E infine Lucia consegna a tutti l’orgoglio delle sue parole: Amo il mio viso più di quanto lo amassi quand’era perfetto, lo amo perché mi sono sudata ogni piccolo, piccolissimo passo in avanti per vederlo migliorare la mia faccia oggi è il frutto della mia fatica e della mia tenacia”.

  • Autore articolo
    Piero Bosio
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    A Belèm in Brasile lunedì si apre la Cop30 per il clima per cercare di tenere insieme la lotta al riscaldamento globale sotto i colpi del negazionismo di Trump e delle guerre; insieme alla Cop nella città amazzonica si riuniscono migliaia di rappresentanti di movimenti e organizzazioni sociali per elaborare proposte sulla crisi climatica, a partire da quelle relative all'Amazzonia e ai popoli che la abitano. Si chiama Cupola dos Povos ovvero "cupola dei Popoli", e non è la prima volta che si riunisce anzi, è una tradizione. Come ci racconta una delle leader del movimento indigeno brasiliano Sila Mesquita Apurina intervistata da Sara Milanese.

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