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“Uno sfregio alle vittime della Terra dei fuochi”

Lo hanno chiamato “Giardino del senso civico”: un nome importante e non banale. Richiama il senso del rispetto delle regole,  della legalità, del vivere comune. Si trova a Cassino, la città dove sono cominciate le inchieste di Roberto Mancini, il poliziotto che con la sua squadra ha scoperto la “Terra dei Fuochi”. Indagini che hanno svelato gli interessi della camorra, fino alla sconvolgente rivelazione sui rifiuti tossici fra Napoli e Caserta, dove la gente muore di cancro e l’ambiente è annichilito. E’ stato proprio nel secondo anniversario della sua morte che qualcuno ha devastato quel luogo. Spaccando la lapide, spaccando le statue realizzate dagli allievi del Liceo Artistico di Cassino, spaccando tutto quello che c’era da spaccare. Uno sfregio, un messaggio forse. Che ha suscitato molte reazioni di sdegno e l’apertura di un’inchiesta da parte della procura di Cassino.

Noi ne abbiamo parlato con Monika Mancini, moglie del poliziotto insignito con la medaglia d’oro al valor civile.

Signora Mancini, cosa ha provato quando ha saputo che il giardino era stato devastato?

Credo che di senso civico ci sia un gran bisogno e ce ne sia sempre meno in questo paese. Sono arrabbiata, delusa. Anche se questo gesto ha acceso ancora i riflettori su quello che ha fatto mio marito. Facendo quello che hanno fatto non si sono resi conto che hanno costretto tutti a parlare ancora di lui. Roberto non morirà mai. E spero che queste persone si facciano un esame di coscienza.

Perché secondo lei quel luogo è stato preso di mira?

Ancora non mi sono data una spiegazione. Forse perché quel parco è stato tolto al giro di spaccio che c’era prima. E’ stato tolto al degrado, è stato reso bellissimo. Oppure proprio per colpire la memoria di mio marito. Non lo so.

Nel parco c’erano della statue realizzate dagli studenti del Liceo artistico di Cassino…

Sì, e i ragazzi quelle statue continueranno a rifarle. Vogliono distruggerle un’altra volta? Noi daremo i soldi ai ragazzi per farle ancora e ancora. Mi hanno mandato oggi un messaggio che è già partita la colletta per rifare il giardino com’era prima.

Com’era, ce lo descrive?

E’ bellissimo, vicino a un laghetto. Le statue rappresentano delle mani che escono dalla terra. Sono le mani delle persone morte nella Terra dei Fuochi. E nelle mani reggevano la bandiera italiana. Penso sia molto significativo perché queste persone erano italiani, e chiedono giustizia.

Ha incontrato i ragazzi?

Sì, li ho incontrati quando abbiamo inaugurato il parco, il 15 aprile. Erano molto emozionati. E felici di aver contribuito a questo progetto. Mi hanno letto anche i loro pensieri su Roberto. Per loro è stato un simbolo molto importante, perché ricordiamoci che le indagini di Roberto sono partite proprio da Cassino.

Cosa direbbe se potesse parlare alle persone che hanno compiuto questo gesto?

Solo di riflettere su quello che hanno fatto. Perché quello che hanno fatto non lo hanno fatto a me. E nemmeno solo a mio marito. Ma lo hanno fatto a tutte le persone che sono morte nella Terra dei Fuochi.

  • Autore articolo
    Alessandro Principe
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    Addio al Plastic: ripercorriamo la storia del locale grazie ai ricordi di chi lo ha vissuto

    “Potevano entrare tutti quelli che non facevano entrare negli altri locali” racconta la cantante e musicista Patrizia Di Malta ricordando il celebre Plastic. Nel locale “ci si sentiva quasi in una piccola New York”: era un catalizzatore di musica, mode e culture alternative internazionali, nonchè punto di riferimento della comunità queer. “Anche solo fare la fila fuori era parte dell’esperienza” continua Piergiorgio Pardo, “c’era una selezione all’ingresso, pensata per far stare bene persone eccentriche che lì non si sentivano giudicate”. Ascolta l’intervista di Elisa Graci e Dario Grande.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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