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“Provenzano? Archeologia mafiosa”

“Ricordo ancora il covo di Bernardo Provenzano sulla montagna dei Cavalli: un covo miserabile, pieno di crocefissi, rosari, santini e tantissimi maglioni di cachemire ammassati in un angolo”.

Attilio Bolzoni, scrittore e giornalista, grande esperto di storia della mafia, ripercorre i dieci anni passati da quell’11 aprile 2006 in cui il superlatitante corleonese fu finalmente catturato.

“Sotto la guida di un grandissimo poliziotto, il dottor Renato Cortese, un pool di 27 uomini e una donna, chiamata “la gatta”, seguirono un uomo che aveva portato un sacco di biancheria pulita in un casolare, e notarono una mano che spuntava dalla porta per ritirare il sacco. Era la mano di Bernardo Provenzano, che fu così catturato”.

Dopo tanti anni di latitanza Provenzano era a Corleone, a casa sua. Cosa sappiamo, a dieci anni di distanza, delle protezioni di cui ha goduto?

“Si sa tutto e niente. Provenzano è stato catturato dopo 43 anni, Riina dopo 24 anni e 6 mesi. Queste non sono latitanze, chiamarli latitanti è il modo sbagliato di affrontare il problema. Quello è uno status altro, lo status di capo riconosciuto di uno Stato che non è lo Stato italiano. Il problema è che non li hanno mai cercati per molto tempo, quando hanno cominciato a cercarli li hanno presi”.

Quale è stato in questi dieci anni di carcere l’atteggiamento di Provenzano nei confronti degli inquirenti?

“Il silenzio totale. Questi Corleonesi sono una razza speciale di mafiosi, sono stati un’anomalia nella storia di Cosa nostra. Hanno seminato terrore in Italia per un quarto di secolo e moriranno in carcere rinchiusi nel segreto del 41 bis. Credo che non parleranno mai, non sapremo mai niente di più di quello che sappiamo adesso: sulle varie trattative con lo Stato, sulle stragi di Capaci e via D’Amelio, sui delitti eccellenti come quelli di Mattarella, La Torre, Dalla Chiesa… Sono passati trent’anni e sappiamo a malapena chi sono stati gli esecutori materiali e i mandanti mafiosi, ma questi sono delitti politici. Ecco, i Corleonesi sono i depositari di questi segreti, e loro non parlano“.

Si può dire oggi che Bernardo Provenzano sia il capo, o un capo di Cosa nostra?

“No. E tra l’altro formalmente non lo è mai stato, perché il capo era Totò Riina. È dal 15 gennaio 1993, dalla cattura di quest’ultimo, che la Cupola di Cosa Nostra non si riunisce. Ogni tanto a Palermo provano a rifarla ma vengono beccati e arrestati. Bernardo Provenzano è archeologia mafiosa. La nuova mafia è una mafia imprenditoriale, in Sicilia c’è un’aristocrazia mafiosa. Gli ‘avanzi’ dei Corleonesi rappresentano una mafia popolare, ormai in declino, destinata a scomparire o a essere assediata dalla repressione poliziesca e giudiziaria. No, Provenzano non è un capo, è il simbolo di un pezzo di storia della mafia che non esiste più“.

Ascolta l’intervista con Attilio Bolzoni

Attilio Bolzoni

  • Autore articolo
    Lorenza Ghidini
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