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Ricostruire Notre Dame, ma come?

Notre Dame

Notre Dame, simbolo di Parigi, della Francia e dell’umanità tutta, questa mattina è emersa dai fumi del rogo che l’ha semidistrutta senza tetto e guglia, ma probabilmente salva nella struttura portante.  La cattedrale è stata avvolta dalle fiamme per diverse ore prima che i pompieri riuscissero a domare l’incendio. Se i danni esterni sono evidenti e impressionanti, non è stato ancora possibile valutare lo stato delle opere all’interno.

Abbiamo intervistato il professor Giorgio Bonsanti, storico dell’arte che ha diretto diversi musei, Soprintendente all’Opificio delle Pietre Dure e Laboratori di Restauro di Firenze, dal 2005 fa parte della Commissione per la conservazione del Museo del Louvre.

Sulla questione dell’attenzione al patrimonio qualche dubbio c’è, perché tutta la nervatura alta della chiesa era costituita da travi di legno antiche. Esistono sistemi per ridurre la possibilità di incendio con dei trattamenti che avrebbero potuto o dovuto essere messi in atto perché che si tratti di una zona nevralgica con dei rischi potenziali mi sembra abbastanza abbastanza evidente. Questo tremendo disastro si è verificato in parallelo alla presenza di un ponteggio per operazioni di restauro, che abbiamo già rilevato in altre occasioni essere una fonte di rischio. Sembra strano ma si tratta proprio di quello, perché avere un cantiere in atto significa portare elettricità, portare eventualmente anche acqua, delle movimentazioni non previste che normalmente non ci sono. Quindi che si tratti di un luogo di particolare  rischio lo sappiamo ed è stato appurato in altre occasioni. Può darsi che su quel punto effettivamente delle critiche da muovere ci siano però torno a ripetere bisognerebbe approfondire. Poi è il monumento numero uno del genere a Parigi, quindi è chiaro che avrebbe dovuto attirarsi attenzioni e cautele prima di tutti gli altri.

Lei è un grande esperto di restauro, l’ha insegnato, è consulente al Louvre per la conservazione dei beni. Qual è la sua impressione?

Per quello che abbiamo sentito adesso è chiaro che danni ce ne sono stati e sono stati gravi, poi  la dinamica di questo disastro mi sembrerebbe abbastanza chiara anche se naturalmente per il momento uso il condizionale. Il fuoco si è sviluppato ad un altezza notevole e le fiamme sono andate verso l’alto. Si sa che il fuoco e calore hanno la tendenza a salire, questo lo sappiamo. Questo può sottolineare un elemento al quale forse non s’è posta ancora sufficiente considerazione. Tra le opere d’arte che si trovano all’interno della Chiesa ci sono i dipinti, le pale d’altare e le statue, c’era anche un Guido Reni e un Carracci. Il Guido Reni è un capolavoro, è un quadro veramente strepitoso. Tra l’altro è un dipinto al quale Guido Reni lavorò molto a lungo, lo ha terminato negli anni trenta del 600 ed è veramente un quadro meraviglioso. Un po’ più normale è il quadro del Carracci, però bisogna anche tener presente che viene da una chiesa di Carpi. È stato evidentemente trasportato in epoca Napoleonica e poi per una qualche ragione non è più tornato, peccato. Questi sono i due quadri italiani, però poi c’è tutta una serie di pale d’altare del grande secolo francese. Anche perché sembra che ci fosse un’abitudine da parte della corporazione degli orafi: offrire tutti gli anni un quadro nuovo. Poi non tutti sono rimasti lì naturalmente. Per queste opere, per le statue, per l’organo eccetera uno magari li vede non raggiunti dal fuoco e tira un sospiro di sollievo e dice meno male a quelli non è successo niente. Purtroppo non bisogna correre troppo perché sicuramente anche all’interno della chiesa si deve essere sviluppato un calore esagerato quindi non è possibile che i dipinti su tela, per esempio, non ne abbiano sofferto. Bisognerà accertare con molta precisione se c’è un innesco di danno in atto e cercare di intervenire tempestivamente.

C’è un’altra questione che riguarda la ricostruzione: Macron ha detto “la ricostruiremo”, è già partita una raccolta di Fondi di solidarietà lo stesso Pinault ha dato 100 milioni, ma stanno arrivando un po’ da tutto il mondo. C’è la discussione su come potrebbe essere questa ricostruzione, guardando al passato fedele oppure in un altro modo? 

Questa è sempre una grande questione quando ci sono degli eventi di questo genere, pensiamo al Teatro La Fenice, tra l’altro fu un incendio doloso, che è andato completamente distrutto. Io sono tra quelli che avrebbe preso in seria considerazione il fatto di fare una cosa completamente diversa. Nel caso di una cattedrale come quella di Notre-Dame c’è una considerazione da svolgere: queste unità architettoniche sono il risultato di un percorso di secoli e secoli, non esiste la possibilità di fare un taglio orizzontale e dire “Notre-Dame è questa”. No, Notre-Dame è quella che è cominciata nella seconda metà del XII secolo e non è finita mai, praticamente in continuazione si apportano novità. Allora fermo restando che non esiste un modello unico al quale rifarsi, in casi di questo genere sostanzialmente si preferisce ricostruire in stile. Cioè cercare di ricostruire la cattedrale come era prima. Ha un senso anche perché non è una distruzione totale, è una distruzione di una parte che, anche se strutturalmente importantissima, non porta in sé valori particolari dal punto di vista estetico, storico e così via. Il problema potrà essere se utilizzare gli stessi materiali oppure se cambiarli perché in origine come abbiamo visto, e questa pare essere la ragione dell’incendio, c’erano travi di legno. Potrebbe darsi che vengano presi in considerazione dei materiali di maggiore affidabilità. Quindi concludendo, io credo che le parti distrutte più o meno verranno ricostruite secondo il modello originale, ovvero l’aspetto che aveva al momento dell’incendio.

  • Autore articolo
    Tiziana Ricci
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    Aree interne, non piace il riferimento del governo al declino demografico: per Legambiente nell’Oltrepo pavese c’è un’inversione di tendenza

    Nuova strategia e organismi di gestione per i fondi per le aree interne fino al 2027. Lo ha deciso il governo, con poca convinzione nella possibilità di invertire lo spopolamento e il declino economico di ampie zone d’Italia, più al sud che nel centro nord. In tutto ci vivono oltre 13 milioni di persone. In Lombardia le aree interne sono Valcamonica e Valcamonica in provincia di Brescia, Val d’Intelvi in quella di Como, e l’Oltrepo pavese. Per supportare questi territori ci saranno strutture dalla presidenza del consiglio alle regioni, passando per gli enti territoriali comprensoriali che dovranno attivarsi per coordinare il lavoro in rete. Come nella precedente strategia rimangono centrali i servizi per chi vive in questi territori, dalla sanità alla scuola, passando per le connessioni digitali e i trasporti. L’invecchiamento della popolazione, secondo il documento del governo, appare maggiore in questi territori, i migranti possono aiutare a diminuire questa prospettiva, così come ci sono segnali di ripresa del commercio in alcuni territori. Fabio Fimiani ha sentito Patrizio Dolcini di Legambiente Oltrepo pavese, una delle aree interne della Lombardia.

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    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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