Approfondimenti

Welcome B.H.

welcome bh

So di essere mortale e creatura di un giorno; ma quando scopro gli ammassati cerchi roteanti delle stelle, i miei piedi non toccano più terra, ma, fianco a fianco con Zeus stesso, mi sazio di ambrosia, il cibo degli dei. (Tolomeo astronomo del II secolo a.C.)

Benvenuto buco nero (black hole). Quando ero matricola a Fisica, un amico più avanti negli studi mi parlò dei buchi neri, oggetti che non vedrai mai, salvo se ti corrono addosso in corridoio. Oggi ne vedo uno come un vecchio amico diventato famoso sugli schermi di mezzo mondo.

Nella notte tra il 13 e 14 Marzo 2018 muore Sir Stephen William Hawking. Non era soltanto un genio ma vibrava all’unisono con il Cosmo, in armonia. Per singolare coincidenza il 14 marzo nacque Albert Einstein, un altro che frequentava l’Universo così come noi andiamo dal droghiere e me li immagino adesso a discutere accanitamente ai bordi dello spaziotempo, che Einstein i buchi neri non li ha mai sopportati e Hawking ne ha invece popolato l’intero Cosmo. Il fatto è che i buchi neri sono oggetti così massivi da esercitare una attrazione gravitazionale tale da trattenere gli stessi raggi luminosi che non possono superare il cosidetto “orizzonte degli eventi”. All’interno di un buco nero la densità della materia tende all’infinito, o detto in modo geometrico, abbiamo curve di tipo tempo chiuse, dove cade qualunque distinzione tra passato, presente, futuro e quindi è impossibile porre un principio di causalità (la causa viene per definizione prima dell’effetto). In casi come questo parliamo di “singolarità”, con un break down delle ordinarie leggi fisiche. E’ abbastanza comprensibile che Einstein non fosse molto contento: all’interno della sua teoria considerata come il tempio della Ragione,  si annida, quando una stella di massa superiore a una certa massa critica collassa, una inevitabile soluzione patologica: la singolarità.

Questo vale anche per l’intero Universo che ha in origine una singolarità esplosiva, il Big Bang. Però almeno i buchi essendo neri non comunicano la loro patologia al resto dell’Universo (l’informazione viaggia con la luce). Epperò oltre la soluzione di buco nero, dove la singolarità è schermata mettendoci al riparo dalle sue follie, esiste anche quella “nuda”, la naked singularity che in linea di principio comunica con tutto lo spaziotempo, potendo quindi contaminarlo. E siccome non si è trovato finora alcun meccanismo fisico in grado di inibirla, i fisici si sono inventati il Censore Cosmico che impedisce la formazione di singolarità nude. Perchè? Chiederete voi. Semplicemente perchè le singolarità nude non stanno nè in cielo nè in terra. Per cui Einstein poteva dormire sonni relativamente tranquilli. Se non fosse che Hawking scoprì l’evaporazione dei black holes: per effetto quantistico i bh possono emettere energia seppure molto debolmente, insomma sono grigi, cioè almeno il profumo della singolarità si propaga nello spaziotempo. Qui il genio di Hawking enuncia il “Principio di Ignoranza”. Diciamolo così: se ammettiamo che i buchi neri possano evaporare, la rottura della validità delle leggi fisiche non è il risultato della nostra ignoranza della teoria corretta ma rappresenta una limitazione intrinseca alla nostra capacità di predire il futuro dal presente, la quale deriva direttamente dalla struttura causale permessa dalla Relatività Generale. In modo più preciso: un collasso gravitazionale che produce un buco nero è un esempio di una situazione nella quale la regione d’interazione non è limitata solamente da una superficie iniziale dei dati e da una superficie finale delle misure, ma egualmente da una superficie “nascosta” per rapporto alla quale l’osservatore ha soltanto delle informazioni limitate (nel caso dei buchi neri, energia, momento angolare e carica). Per questa superficie “nascosta”vale il “principio d’ignoranza”: tutti i dati sulla superficie compatibili con le informazioni limitate che l’osservatore ha, sono equiprobabili.

Si capisce a colpo d’occhio quanto questa concezione proposta da Hawking sia esplosiva, vien voglia di dire sovversiva, rispetto all’idea di un Cosmo ordinato come un orologio, un Universo dove nulla si crea e nulla si distrugge, e tutto si conosce ab initio. Invece l’Universo di Hawking è continuamente creativo di nuovi fenomeni e oggetti, imprevisti e imprevedibili, mentre altri si distruggono, e la conoscenza cresce con l’inevitabile ignoranza.

Oltre all’evaporazione dei bh e al Principio di Ignoranza, tra i risultati maggiori va citato il teorema di Hawking e Penrose (1970) dove si dimostra  con assunzioni molto semplici e del tutto generali, che la gravità, la forza attrattiva che tiene insieme il nostro Universo, comporta inevitabilmente la formazione di singolarità, un punto dove tutte le grandezze fisiche assumono valori infiniti. Si badi bene, il teorema non è legato alla Relatività Generale e neppure a altre teorie, ma solo a alcuni principi e alla natura della forza di gravità. Per dirla in altro modo: è un teorema fisico che non abbisogna di equazioni specifiche. Cioè un vero e proprio teorema cosmologico molto potente. Uno dei più belli nella storia del pensiero.

Col che fino a qualche anno fa non erano pochi i fisici che stentavano a credere all’esistenza reale dei buchi neri. Non si poteva con questi oggetti, oltre alle speculazioni teoriche, applicare in modo completo e inteso in senso stretto il metodo galileiano, dell’esperimento riproducibile in laboratorio. Si potevano osservare gli effetti della presenza di un buco nero ma non l’oggetto in sè.

Siamo nell’ambito di un paradigma che potremmo chiamare “indiziario” (mutuo il concetto da Carlo Ginzburg come lo enuncia nel Formaggio e i Vermi), deducendo il profilo di un colpevole dalle tracce che lascia, ma senza trovare la cosidetta prova – la pistola fumante – che lo indichi al di là di ogni ragionevole dubbio. Insomma manca l’esperimento che li osservi e misuri direttamente. Finchè non arrivò tre anni fa la scoperta delle onde gravitazionali, limpidamente previste dalla equazioni di Einstein ma mai osservate sperimentalmente, fin quando i sensori hanno registrato una increspatura dello spaziotempo, l’onda gravitazionale tanto cercata che è corsa in un intervallo di tempo di 0.25 sec, un quarto di secondo. Ma da dove è venuta quest’onda. Le cronache cosmiche la spiegano così. Abbiamo due buchi neri all’incirca di trenta masse solari ciascuno, distanti un miliardo di anni luce da noi, che hanno girato l’uno attorno all’altro per centinaia di milioni d’anni, prima lentamente poi sempre più svelti e noi abbiamo visto  le ultime orbite e la loro fusione captando la fine (0.2 secondi) del segnale emesso che ha viaggiato per un miliardo d’anni prima d’arrivare sulla terra. C’è da averne il capogiro. E il fenomeno più notevole è proprio la dinamica dei due buchi neri, osservata quasi in diretta per la prima volta. Ovvero la finestra gravitazionale si è aperta su un panorama mai visto prima. A questo proposito Giovanni Bignami, già Presidente dell’Istituto Nazionale d’Astrofisica, purtroppo scomparso nel 2017, commenta: “Secondo gli autori gli oggetti responsabili (dell’onda, ndr) erano due, diventati uno: due buchi neri (..) A prima vista, ci vuole fortuna. Perchè buchi neri di quella massa, nella storia dell’astronomia, non erano mai stati osservati. Né tantomeno un sistema binario di due buchi neri così, ancora più raro. Osservarlo poi proprio nel momento finale della sua vita, è ancora più raro. E questo succede appena hai acceso il tuo rivelatore nuovo di zecca…Ma la fortuna aiuta gli audaci (..)Le onde gravitazionali passano e non tornano più, sono come il gatto che sorride in Alice nel Paese delle Meraviglie. Per una conferma, che nella scienza non guasta mai, bisognerebbe trovare il gatto, o quel che ne resta, che pure deve essere da qualche parte.”

Per l’intanto Science concludeva così il suo articolo sulla scoperta: “E’ di gran lunga la più potente esplosione che gli umani abbiano rivelato se si  eccettua il Big Bang.”

Non so se Bignami di fronte alla “prima foto di un buco nero” come quasi tutti hanno titolato, avrebbe concluso che era il gatto, finalmente catturato in immagine. Certamente è fortemente evocativa e colpisce la fantasia, dando l’impressione di una finestra aperta sull’Universo in una visione accessibile a chiunque. Quando ero giovane i ragazzi americani, specie contestatori, nei campus indossavano spesso magliette con soprascritto “I am a black hole”. Chissà se da domani sarà in sovraimpressione la fotografia del buco nero. Oppure se si terranno al riparo.

“La natura primigenia ama nascondersi“ e “ l’armonia nascosta è più forte di quella manifesta” così Eraclito sapiente alle origini.

  • Autore articolo
    Bruno Giorgini
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