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Se diventare papà è un reato

Si definiscono “aspiranti papà” Marco e Paolo. I nomi sono di fantasia, perchè il percorso di GPA, “Gestazione per Altri”, che hanno intrapreso, vietata in Italia, presto potrebbe diventare reato anche per chi come loro la sta portando avanti all’estero.

È il contenuto di un emendamento presentato dai cattolici del Pd, che prevede “l’estensione della punibilità delle pratiche di maternità surrogata se realizzate all’estero da cittadini italiani”. Che in italia fosse illegale lo sapevamo perfettamente quando ci abbiamo pensato, dice Paolo, “ma confrontandoci con altre coppie, abbiamo visto che all’estero, è una strada già battuta e praticabile”. L’emendamento imporrebbe l’obbligo di documentare che non si è ricorsi alla GPA, altrimenti scattano il carcere fino a 12 anni e le sanzioni fino a un milione di euro. Un modo palese per scoraggiare una coppia omosessuale che voglia adottare un figlio.

Eppure la storia di Marco e Paolo è una tra le tante storie di milioni di altre coppie in Italia. Entrambi lavorano in una azienda di forniture elettromedicali, stanno insieme da dieci anni e convivono da otto, da due sono sposati, ovviamente all’estero. Ora vivono in una cittadina della Lombardia.

“Ci siamo sposati in Danimarca, poi abbiamo chiesto se fosse possibile registrare la nostra unione. Ma nel nostro comune non è stato possibile”, continua Paolo. Il desiderio di allargare la famiglia arriva quando il rapporto si fa più solido. “Quando ero single non avevo mai pensato di avere un figlio. Con Marco poi siamo cresciuti come coppia, è cresciuto il nostro amore, ed abbiamo iniziato a pensare ad un progetto per la nostra famiglia, per capire se eravamo in grado di costruire qualcosa di importante che completasse e fosse più grande della nostra coppia. È un desiderio naturale. Ci siamo rivolti a dei terapeuti: è legittimo quello che desideriamo? È giusto? Ci hanno sempre rassicurato: vi amate, siete una famiglia stabile, non può che nascere qualcosa di bello”.

Così inizia la strada da “aspiranti papà”. E per una coppia di uomini, col divieto in Italia, la via è solo una. Racconta ancora Paolo: “Ci siamo confrontati con altri genitori che hanno già avuto questa esperienza per farci consigliare nel modo migliore. Abbiamo scelto il Canada, dove c’è una dimensione più umana e sono molto professionali. Ci siamo rivolti ad un’agenzia specializzata che segue la coppia in tutto il percorso: le donne sono volontarie, il controllo ed i criteri sono rigorosissimi. I costi sono veramente elevati e non sappiamo ancora con precisione cosa comporterà: la procedura prevede che dopo la gravidanza, la partoriente disconosca legalmente il neonato e il giudice sancisca l’adozione, dopo la verifica che sia effettivamente uno di noi il padre biologico. È tutto pubblico e trasparente, nella piena dignità e tutela di tutte le persone coinvolte”.

L’eventuale emendamento porebbe ostacolare questo sogno. “Stiamo a vedere, vedremo poi se questa legge passerà davvero – sospira Paolo -. Ma è assurdo, queste famiglie già ci sono! Ed è fondamentale che venga riconosciuto il diritto di questi bambini. Altro che tutela: adesso è lo stato che viola i loro diritti”. Per questo per Paolo e Marco è fondamentale la “battaglia pacifica e di civilità”, per una legge che riconosca le unioni “non solo delle famiglie omogenitoriali, ma di tutti coloro che decidono di non sposarsi. Perché è una questione di amore: tra noi e per i figli che già ci sono, e che potrebbero arrivare”.

  • Autore articolo
    Massimo Alberti
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