Approfondimenti

Aiuti umanitari tra mine e macerie

Una squadra di aiuti umanitari di stanza nella guerra della ex Jugoslavia, alle prese con un cadavere buttato in un pozzo che avvelena l’acqua. Un’impresa impossibile, perché forse il corpo non è lì per caso.

Sfidando stereotipi o imprecisioni storiche, il regista spagnolo Fernando Leon De Aranoa racconta una storia possibile, con l’aiuto di un’ironia spiazzante, una buona scrittura e un cast adeguato. La tragicità della guerra con la violazione dei diritti umani, va di pari passo con un lato comico che ne sottolinea l’assurdità.

Perchè la guerra nei Balcani come sfondo per il film?

In realtà pensavo che la storia raccontata in questo film si potesse ambientare in qualsiasi guerra. La mia volontà non era quella di parlare di questa in particolare, ma di una qualsiasi. Volevo dargli un valore universale, mostrare come la guerra si pone tra il sentimento comune e la razionalità. E’ un film che vale per qualsiasi altro conflitto. Il punto di vista che ho utilizzato è quello degli operatori umanitari e di come entrano a far parte di un conflitto armato. Il perché di questa scelta nasce da un’esperienza personale: io sono stato lì nel 1995 per girare un documentario, quindi il fatto di conoscere già i luoghi e la gente mi ha aiutato a scrivere meglio il film e a spiegare agli attori le sensazioni che avevo provato allora.

Gli attori, da Benicio del Toro a Tim Robbins, sono tutti internazionali. Sono stati coinvolti dall’inizio?

Cercavo per il film un cast da utilizzare in modo corale e internazionale, come di fatto sono nella realtà le squadre che portano aiuti umanitari, costituiti da persone che arrivano da paesi differenti, sono come piccole torri di Babele. E questo mi sembrava, oltre che realistico, interessante per la narrazione. Tra loro parlano tutti in inglese, ma ognuno con il proprio accento. Il primo attore a cui ho pensato è Benicio Del Toro, il suo personaggio Mambrù è un personaggio centrale, che mantiene l’equilibrio all’interno del gruppo. Ho pensato a lui perché è una attore che mi piace molto e mi pareva che avrebbe potuto esprimere molto bene questo conflitto interno, del personaggio e degli operatori umanitari: tra rabbia, stanchezza, desiderio di tornare a casa e nello stesso tempo il bisogno di aiutare e di cercare di migliorare le cose, per la gente che vive una guerra. Benicio è stata la mia prima opzione e ho avuto la fortuna di averlo. Poi è arrivato Tim Robbins, Olga Kurylenko e Mélanie Thierry e passo dopo passo abbiamo costruito la squadra.

Nel suo cinema il tema del lavoro è spesso presente, come per esempio in I lunedì al sole, il film che ha reso famoso anche in Italia Javier Bardem. Quanto è importante il lavoro in Perfect Day?

Anche in questo film il lavoro è importante, forse perchè a me piace molto il mio, cioè fare film e documentari. Mi sembra che il lavoro ci condizioni molto, spiega chi siamo e come siamo e nel film vediamo molte persone caratterizzate dall’assenza di un impiego. Soprattutto per quella che era la classe lavoratrice, che prima era caratterizzata così e il fatto di non avere più un lavoro compromette le proprie identità. Nel caso della squadra umanitaria, il lavoro è particolare e ben identificato; è un lavoro duro, molto pratico, difficile, probabilmente con una ricompensa non adeguata, ma che dà molta soddisfazione a chi lo fa. Ogni personaggio del film porta dentro di sé, in maniera diversa il senso del lavoro. Con Javier Bardem abbiamo in programma di lavorare ancora insieme. E’ da tanto che vogliamo farlo, siamo anche molto amici. Stiamo pensando a un film sulla figura di Pablo Escobar, il narcotrafficante colombiano. E’ una storia molto intensa, complicata e interessante. Sarà una nostra produzione, quindi speriamo di farcela.

Ascolta l’intervista in spagnolo a Fernando Leon De Aranoa

De ARANOA

Per il messaggio di pace che Perfect Day trasmette, la Teodora Film a Natale devolverà il 10% degli incassi di tutte le proiezioni di quella giornata ad Emergency.

  • Autore articolo
    Barbara Sorrentini
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    Marco Sioli insegna Storia dell'America del Nord all'Università degli Studi di Milano La Statale. Nei suoi libri indaga sotto molteplici sfaccettature alcune peculiarità della storia, della cultura e della politica degli Stati Uniti d'America. Il suo ultimo libro, "In difesa della natura selvaggia" (edito da Elèuthera), è un viaggio attraverso i più noti parchi nazionali nordamericani e, nel contempo, una riflessione sul lascito dei capostipiti dell'ambientalismo statunitense (Thoreau, Olmsted, Muir e Leopold). A Cult, Roberto Festa ha intervistato Marco Sioli che sarà al FestivaLetteratura di Mantova 2025, iniziato proprio oggi, mercoledì 3 settembre.

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