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Schengen, Grecia verso la sospensione

Il trattato di Schengen è ancora a rischio: secondo quanto riporta il Financial Times, se la Grecia non rafforzerà i controlli alle frontiere, potrebbe essere messa fuori dall’accordo. Per i greci, quindi, sarebbe di nuovo tempo di mostrare il passaporto per viaggiare all’interno dei confini europei. La decisione verrà presa dai leader europei in un summit convocato per metà dicembre, ma le prime indicazioni potrebbero arrivare già il 3 dicembre dall’incontro dei ministri dell’Interno.

Motivo delle minacce, la lentezza con la quale Atene ha risposto al nuovo piano di rafforzamento dei controlli alle frontiere, guidato dall’agenzia Frontex, nei Paesi di confine dell’Unione. All’inizio dell’anno Atene ha ricevuto tardi anche una prima tranche di aiuti da 30 milioni per gestire l’emergenza migranti a causa di pratiche burocratiche inadempiute. L’ultimo ritardo ha fatto traboccare il vaso, provocando le ire soprattutto di Berlino, che guida la truppa di Paesi che vogliono sospendere Schengen per la Grecia.

Per il governo greco il tema Frontex, però, è molto sensibile: significa lasciare che l’Europa decida in questioni di sicurezza nazionale. L’Italia, a differenza di Atene, si è già adattata al nuovo giro di vite imposto dai vertici dell’Ue e ha introdotto gli hotspot, punti di smistamento dei profughi a gestione mista con l’Agenzia Frontex. Secondo le ong il primo effetto è stato un aumento dei respingimenti, anche ingiustificati.

S’allarga, intanto, il fronte contrario ad un ricollocamento dei profughi che si trovano nei Paesi di confine dell’Ue. Robert Fico, primo ministro slovacco, è tra coloro che premono di più per punire la Grecia: “Non possiamo sopportare che un Paese membro che ha palesemente abbandonato il controllo dei confini dell’area Schengen. Altrimenti Schengen non serve a nessuno”. Bratislava ha fatto ricorso alla Corte di Giustizia europea contro il provvedimento voluto dalla Commissione europea per la redistribuzione di quote di migranti tra i Paesi membri. A conferma dell’ostilità nei confronti del mutuo aiuto tra Paesi membri imposto da Bruxelles.

Gli arrivi nelle isole greche sono ricominciati, dopo qualche giorno di pausa: il 1 dicembre almeno 3 mila profughi sono arrivati al porto del Pireo da Lesvos e Samos. Intanto in altri duemila sono approdati sulle coste elleniche in queste ore, in partenza dalla Turchia. Le condizioni che devono affrontare sono “inaccettabili”. A scriverlo in una lettera destinata a Jean Claude Junker, intercettata dal giornale belga Le Soir, Vytenis Andriukaitis, politico lituano che è commissario europeo alla Salute e al cibo. Nel testo si legge poi che ad attendere i migranti a terra “non ci sono nemmeno ambulanze”. E i profughi muoiono di ipotermia: gli ultimi due bambini, citati dal Commissario nella lettera.

Al Nord, intanto, proseguono i problemi con la frontiera macedone: sono ricominciati gli scontri con la polizia macedone e i manifestanti hanno impedito a 1.800 camion di transitare. Di nuovo, la città calda è Idomeni, sulla frontiera, dove possono passare solo i profughi siriani e afghani, mentre agli altri è impedito l’ingresso. Secondo la Reuters si tratta di migliaia di persone, provenienti soprattutto da Iran Marocco e Pakistan, accampati dal 18 novembre. Quattrocento hanno cercato di passare dal filo spinato al confine con la Macedonia, ma poi sono stati respinti.

L’Unhcr locale sta cercando 7 mila hotel e appartamenti per profughi che entreranno nel progetto di ricollocamento entro la fine dell’anno (il piano della Commissione è inserire 66.400 persone nel piano).

Alla critica al piano di ricollocamento si è aggiunta una nuova accusa mossa da Viktor Orban, il leader dell’Ungheria. “L’Unione europea e i leader turchi potrebbero annunciare un accordo siglato dietro le quinte questa settimana per ricollocare tra i 400 e i 500 mila rifugiati siriani direttamente in Europa”, ha detto ai giornalisti ungheresi.

  • Autore articolo
    Lorenzo Bagnoli
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    Troppo caldo, lavoratori in sciopero. 36 gradi nel capannone dove si producono componenti per i condizionatori. Il paradosso è che, in quella ditta, si producono scambiatori di calore, componente fondamentale per gli impianti di climatizzazione. Che però, nei capannoni della Emmegi di Cassano d’Adda, non ci sono. La conseguenza, temperature roventi, che superano i 36 gradi, e condizioni di lavoro inaccettabili. Per questo lavoratori e lavoratrici stanno scioperando, per ottenere almeno un po’ di refrigerio, che però al momento viene negato dalla proprietà, che anzi ha incaricato un consulente per farsi dire che “la temperatura è acettabile”. Maurizio Iafreni è Rsu Fiom alla Emmegi e responsabile della sicurezza: (foto Fiom Cgil)

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