Nelle carceri della Thailandia c’è un italiano che è stato condannato a morte.
Si chiama Denis Cavatassi, ha 50 anni e si trova nelle prigioni thailandesi con l’accusa di essere il mandante dell’omicidio del suo socio, Luciano Butti, ucciso nel 2011 a Phuket, dove entrambi gestivano un ristorante. Si è sempre professato innocente. Arrestato dopo l’omicidio, fu poi rilasciato su cauzione.
Sarebbe potuto scappare, invece rimase in Thailandia convinto di poter dimostrare la sua innocenza.
Non è stato così, nonostante i suoi legali e la famiglia insistano nel dichiarare che non sono emersi in questi anni prove della sua colpevolezza.
Sono passati anni e soprattutto il primo grado ha prodotto una sentenza di condanna a morte, dopo la quale è tornato in prigione, sentenza che è stata come un pugno nello stomaco per la famiglia, gli amici e da oggi si spera anche per le istituzioni in Italia che si battono in difesa dei diritti umani.
La sorella, Romina Cavatassi e il fratello Adriano, combattono da tempo per dimostrare l’innocenza del fratello e anche per fare luce sulle condizioni di detenzione in cui versano le carceri in Thailandia. “Ci aspettiamo una sensibilizzazione pubblica affinché la Corte Costituzionale thailandese si concentri sulla documentazione, sulle carte processuali dalle quali non si evincono prove a carico di mio fratello. Spero che possa avere un processo equo, e che ci sia una attenzione maggiore per il modo in cui i prigionieri vengono trattati nel paese del Sud est asiatico”, questo racconta a Radio Popolare la sorella di Denis Cavatassi, Romina, che oggi terrà una conferenza stampa al Senato, accompagnata dall’avvocatessa che segue il caso, Alessandra Ballerini, la stessa che difende la famiglia Regeni.
Accanto a lei anche Luigi Manconi della commissione del Senato sui diritti umani, e l’associazione Prigionieri del silenzio.
Ora Denis Cavatassi è in ospedale per subire un intervento, ma la detenzione è stata ed è ai limiti del sopportabile: “I primi mesi, racconta la sorella Romina, stava in una stanza di 150 metri quadrati con altri duecento prigionieri, non c’era spazio nemmeno per stare supino, se si girava, ha raccontato Denis alla famiglia, non ritrovava lo spazio per sdraiarsi di nuovo”.
Legato con le catene ai piedi, in una cella di isolamento, con condizioni igieniche indegne, senza coperte e senza privacy, ora si trova in un penitenziario in un’area dove sono detenuti con lui altri 42 prigionieri, eppure, continua la sorella, il trattamento riservato agli stranieri appare migliore di quello che subiscono i prigionieri thailandesi”.
Denis Cavatassi ha saputo dalla sorella che si è recata a trovarlo all’inizio dell’anno dell’intenzione ora di mobilitare le istituzioni affinché abbia un processo equo, nel quale si possano rivedere le carte processuali e arrivare alla dimostrazione della sua innocenza.
“Intanto, racconta ancora la sorella Romina, Denis ha imparato il thai per poter leggere gli atti del processo, e trovare svago nei libri, visto che dall’Italia possiamo mandarne solo quattro”.
Denis Cavatassi si trovava in Thailandia da non molti anni: “Nasce come agronomo, spiega la sorella, dopo un progetto con una Ong in Nepal, si era recato in Thailandia dove aveva conosciuto Luciano Butti, che gestiva un ristorante poi distrutto dallo tsunami. Con un amico, Denis Cavatassi aveva deciso di investire una piccola quota di denaro nella ristrutturazione di una guest house da gestire insieme a Luciano Butti”.
Nel frattempo, l’italiano, originario di Tortoreto, si era innamorato di una donna dalla quale ha avuto una bambina, che ora ha sei anni. Si tratta della piccola Asia che insieme alla zia Romina ha incontrato il padre in carcere poco tempo fa e la speranza di poterla riabbracciare, insieme al resto della sua famiglia – racconta ancora la sorella di Denis – “E’ l’unico pensiero che gli dà la forza di andare avanti”.
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È morta Patrizia Arnaboldi. Aveva 78 anni. Storica militante comunista, protagonista del femminismo a Milano e del movimento studentesco, negli anni Ottanta è stata deputata per Democrazia Proletaria. Legata a Rifondazione Comunista, negli ultimi anni ha partecipato a molte battaglie a difesa della città. Una delle ultime, quella legata agli alberi di piazzale Baiamonti. Patrizia Arnaboldi, 50 anni fa, è stata anche una delle firmatarie, davanti al notaio, dell’atto di nascita di Radio Popolare.
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Fa troppo caldo: scioperano i lavoratori della Emmegi, che costruisce condizionatori a Cassano d’Adda
Troppo caldo, lavoratori in sciopero. 36 gradi nel capannone dove si producono componenti per i condizionatori. Il paradosso è che, in quella ditta, si producono scambiatori di calore, componente fondamentale per gli impianti di climatizzazione. Che però, nei capannoni della Emmegi di Cassano d’Adda, non ci sono. La conseguenza, temperature roventi, che superano i 36 gradi, e condizioni di lavoro inaccettabili. Per questo lavoratori e lavoratrici stanno scioperando, per ottenere almeno un po’ di refrigerio, che però al momento viene negato dalla proprietà, che anzi ha incaricato un consulente per farsi dire che “la temperatura è acettabile”. Maurizio Iafreni è Rsu Fiom alla Emmegi e responsabile della sicurezza:
(foto Fiom Cgil)
Gaza, ipotesi di tregua tra le bombe d’Israele, con Paola Caridi, giornalista, saggista, esperta di Palestina. La trattativa sui dazi e la debolezza dell’Europa, con Giuliano Noci, prorettore del Politecnico di Milano, editorialista del Sole 24 Ore. Il caso del libro di storia che non piace a Fratelli d’Italia, con uno degli autori del libro, lo storico Carlo Greppi. Milano sempre più cara, chiudono anche i negozi per gli affitti troppo alti: il microfono aperto. Mao Valpiana del Movimento Noviolento ricorda Alex Langer a 30 anni dal suicidio. La quarta puntata di “Racconto Lucano” con Sara Milanese.
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