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Il primo discorso di Trump, il solito Trump

E’ stato un discorso sullo stato dell’Unione lungo, quello di Donald Trump alla Camera USA. Quasi un’ora e mezza, il secondo più lungo degli ultimi cinquant’anni, in cui Trump ha rivendicato quanto fatto nell’ultimo anno: i risultati in campo economico, i tagli alle tasse, il boom in borsa, la fiducia delle imprese e la riduzione della disoccupazione. E’ stato un discorso in cui Trump ha cercato un nuovo modus operandi con i democratici, soprattutto in tema di immigrazione e infrastrutture. In realtà, al di là dell’offerta di collaborazione, toni e idee sono apparsi tutt’altro che concilianti e in sostanziale continuità con la fase di scontro che gli Stati Uniti hanno conosciuto negli ultimi mesi.

Trump ha iniziato salutando  il “nuovo momento americano”, un’era di prosperità e potenza per gli Stati Uniti. C’è stata poi la promessa di investimenti in infrastrutture per 1500 miliardi di dollari – il presidente non ha però spiegato come, né in che tempi. E c’è stata soprattutto l’offerta di una nuova legge sull’immigrazione, che, nelle intenzioni della Casa Bianca, dovrebbe articolarsi in quattro punti: legalizzazione per 1 milione e 800 mila migranti irregolari; finanziamento del Muro con il Messico; aumento delle forze di polizia alla frontiera; riordino delle norme che hanno sinora governato l’intero sistema.

Difficile che i democratici possano accettare. Anzitutto perché la possibilità di finanziare il Muro è stata ormai respinta (ufficialmente proprio dal capogruppo democratico al Senato, Chuck Schumer). E poi perché Trump ha intessuto la sua proposta sull’immigrazione di toni fortemente anti-immigrazione. Per esempio, quando ha richiamato le storie di due ragazzine uccise da una gang, la MS- 13 (i genitori delle vittime erano tra il pubblico). Trump ha anche continuato a definire “chain migration”, migrazione a catena, quella che invece è la normale politica dei ricongiungimenti familiari.

Chi si aspettava, nel discorso, qualche riferimento esplicito alla Russia è andato deluso. Trump ha citato Mosca una sola volta, accomunandola alla Cina sotto il termine di “avversari”. Per il resto sono stati pochissimi gli accenni alla politica internazionale: un solo riferimento al nucleare iraniano, nessuno agli alleati europei, la rivendicazione della vittoria contro l’ISIS in Siria e in Iraq, la sottolineatura della “crudele dittatura nord-coreana”, nei confronti della quale non è possibile “alcun compiacimento e concessione”. Nell’insieme, è parso che la dottrina dell’America First abbia ormai occupato le linee ufficiali dell’amministrazione.

In molti momenti il discorso di Trump è apparso incline a sottolineare gli aspetti più reazionari, quelli più cari al cuore conservatore del suo elettorato. Per esempio, quando il presidente ha enfatizzato la nomina di giudici che interpretano la Costituzione “come è stata scritta”; quando ha esaltato il rispetto della bandiera, il ruolo dei militari, l’orgoglio patriottico; quando ha spiegato che l’America si fonda su “religione e famiglia e non sul governo federale”; quando, infine, ha annunciato la firma dell’ordine esecutivo per tenere aperto il carcere di Guantanamo. I terroristi catturati saranno detenuti come “enemy combatants”, combattenti nemici, ha detto Trump, ribaltando l’intenzione più volte espressa da parte di Barack Obama di chiudere uno dei simboli più infausti della guerra al terrorismo.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    Stringono i tempi nella procedura di vendita dello stadio Meazza. Nel giro di pochi giorni è prevista la delibera di Giunta e il voto in Consiglio comunale per autizzarla. In una procedura che sembra quasi gia scritta, nelle ultime ore appare qualche fatto nuovo: un'assemblea molto partecipata a Milano, una proposta per prendere più tempo, il ritorno alla carica di chi chiede un referendum per decidere. In zona Cesarini potrebbero decideresi i tempi supplementari? Ospiti: Roberto Maggioni, redazione locale di RP; Franco D'Alfonso, Centro Caldara di Milano, estensore della proposta; Gabriele Mariani, Comitato Referendum per San Siro; Bruno Ceccarelli, Pd Milano, Commissione urbanistica; Lia Quartapelle, parlamentare Pd. In studio Massimo Bacchetta, in redazione Luisa Nannipieri.

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    “Quelle che arrivano dalla maggioranza sono delle sciocchezze, che sarebbero grottesche se non fossero pericolose perché tradiscono una chiara volontà di creare un clima di paura e di allarme, criminalizzando tutta la galassia dell’opposizione”. Così Benedetta Tobagi, intervistata da Luigi Ambrosio all'Orizzonte delle Venti, sui reiterati attacchi del Governo alle opposizioni accusate di fomentare la violenza. “Anche per ciò che porto nel mio nome, l’Italia ha nella sua storia una sinistra antifascista e democratica che non è mai stata violenta. Figure come mio padre e Aldo Moro sono state colpite addirittura dal terrorismo di sinistra. Questa è la storia che vergognosamente Meloni, Tajani e Salvini non riconoscono e che, invece, deve essere la nostra forza”.

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    In diretta dall'Ucraina Sabato Angieri ci racconta delle profonde differenze che ormai segnano il paese tra territori in guerra e retrovie, di chi non vuole andarsene nonostante la guerra abbia distrutto spazi e vite e di come il fronte insista da due anni sugli stessi campi. Gianpaolo Scarante, docente all'Università di Padova ed ex-diplomatico analizza lo scontro verbale tra Russia e Nato e invoca il ritorno della ragione per evitare una escalation dei fatti. Emanuele Valenti ci aggiorna sull'entrata dei carri armati a Gaza City dopo giorni di bombardamenti mirati a distruggere tutti i palazzi principali della città per forzare la popolazione ad andarsene. Ma la popolazione non ha nessun posto dove andare. E anche chi avrebbe un visto di studio in Italia non riesce a uscire dall'inferno della Striscia lo raccontano le voci di alcuni degli studenti palestinesi che hanno vinto una borsa di studio nelle università italiane. Molti di loro hanno diffuso appelli sui social per chiedere di fare pressione sulle autorità italiane affinché organizzino la loro evacuazione immediata. Sentiamo le loro voci e ci spiega come stanno, chi sono e perché non si riesce ad aprire un corridoio umanitario per loro Stefano Simonetta, Prorettore ai Servizi agli Studenti e al Diritto allo Studio della Università Statale di Milano.

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