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“43 miliardi dalle tasche degli italiani a finanza e imprese”

autostrade governo

Andrea Di Stefano, Direttore di “Valori“, racconta a Radio Popolare il sistema delle privatizzazioni a partire dalle autostrade: bisogna rivedere le concessioni, senza regolatori indipendenti non c’è partita. Redditi superiori al 50% significano tariffe troppo alte o investimenti rinviati. E questo vale anche per tutti gli altri servizi dati ai privati.

L’intervista di Claudio Jampaglia a Giorni Migliori.

Purtroppo a causa di una tragedia molto grande ci si fa delle domande, ma i numeri sono da vedere in tutto il comparto delle concessioni, non solo quello delle autostrade. Vorrei ricordarlo, perchè questa dinamica investe quelli che possiamo chiamare ex monopoli naturali o monopoli di Stato, come le reti elettriche, quelle dell’acqua o le autostrade. Ma anche le telecomunicazioni, forse l’unico sul quale si è discusso, perchè il business è ancora maggiore di quello delle autostrade. O anche le ferrovie. L’intero sistema strutturale del Paese che è stato creato coi soldi dei contribuenti e che ad un certo punto è stato privatizzato, in molti casi malissimo, e con un’incapacità nel mantenere il controllo e nell’avere quella funzione anglosassone del cane da guardia. Bsti pensare che l’authority sui trasporti è stata creata meno di un anno fa ed è di fatto quasi non operativa. Questo vi dice molto sui buchi e le incapacità dello Stato, e quindi del controllore pubblico, di intervenire quando i concessionari realizzano dei profitti enormi e non investono quanto è previsto anche dagli accordi sottoscritti, secondo i piani finanziari che sono stati allegati alle varie concessioni siglate.

E poi sappiamo, non è caso grandi personaggi del mondo della finanza che hanno girato sempre attorno all’associazione delle imprese. Pensiamo a Palenzona ad esempio

Che ancora oggi è il Presidente di AISCAT, vorrei ricordarlo. Tutti i concessionari che non sono Autostrade gestiscono metà della rete e fanno parte della cosiddetta AISCAT, l’Associazione italiana società concessionarie autostrade e trafori. Noi stiamo puntando molto l’attenzione su Autostrade per l’Italia, ma bisognerebbe mettere il naso nelle altre concessioni e soprattutto in quelle del gruppo Gavio, che è l’altro grande operatore che gestisce circa 2mila chilometri di strade e che dal punto di vista del rispetto degli investimenti ha tassi nettamente inferiori persino sulle manutenzioni di quanto non ne abbia Autostrade. Autostrade, sulle manutenzioni programmate secondo la relazione del Ministero, è molto al di sotto sugli investimenti, soprattutto negli ultimi tre anni ha ridotto gli investimenti rispetto a quanto programmato, in alcuni casi addirittura della metà. Gli altri concessionari sono messi decisamente peggio da questo punto di vista, perchè il gioco dell’operatore privato è quello di rinviare anche con una serie di motivazioni burocratiche e formali gli investimenti. Queste sono le regole che hanno imperato nel sistema finanziario. È normale perchè il regolatore lo permette e perchè non esistono soggetti nemmeno del mondo della Consob: cosa fa e quali regole impone sul sistema finanziario? È normale che una società possa fare un’operazione più grande di sé stessa ricorrendo in parte al debito, ma in queste operazioni in cui c’è di mezzo un’infrastruttura pubblica andrebbero fissate delle regole molto rigide e delle capacità di controllo molto rigide. Quando qualcuno vede, come nel caso di Autostrade, che un’azienda considerata dal mercato una cash cow, una mucca di contante perchè incassa i pedaggi ogni giorno e realizza redditività superiori al 50% del proprio fatturato, secondo me deve porsi degli interrogativi e stabilire che le convenzioni vanno riviste, come viene fatto negli Stati Uniti. Le opzioni sono due: o si pagano tariffe troppo alte e si produce un profitto eccessivo e quindi un rendimento eccessivo al concessionario privato, oppure non vengono fatti gli investimenti che sono programmati e quindi bisogna intervenire. Deve essere il regolatore a farlo, un regolatore indipendente e molto capace di intervenire su questo sistema, altrimenti continueremo con un deflusso di risorse dalle tasche dei cittadini e delle imprese verso gli operatori finanziari nazionali e internazionali. Noi come Centro Studi Valori stiamo completando uno studio sul settore delle società multiservizi – quelle che erogano acqua, energia, rifiuti o gas nel nostro territorio – da cui si evince che in una decina d’anni c’è stato un deflusso di 43 miliardi di euro dalle tasche dei cittadini consumatori agli investitori istituzionali e finanziari a livello nazionale e internazionale. Questo è un sistema che non funziona e che è una delle concause strutturali delle difficoltà del Paese.

autostrada

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intervista a Andrea Di Stefano

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    Gran Bretagna e Germania, i grandi malati d'Europa. Il primo ministro britannico Starmer e il cancelliere tedesco Merz sono entrambi proiettati in una rincorsa della destra estrema. Il laburista britannico Starmer, due settimane fa: «restauriamo ordine e controllo», titolo di un documento presentato alla Camera dei Comuni. Il democristiano tedesco Merz: ci vogliono «controlli ai confini e respingimenti» perchè «l’immigrazione ha un impatto sul paesaggio urbano». Proprio così. Germania e Gran Bretagna, due potenze economiche mondiali: la Germania (80 milioni di abitanti) con il terzo pil del mondo (dopo Stati Uniti e Cina); il Regno Unito (con 60 milioni di abitanti) con il sesto pil mondiale (dopo la Germania c’è il Giappone e l’India e poi il Regno Unito). La “malattia” (la rincorsa ad essere a volte più a destra delle destre) rischia di cambiare i connotati a tradizioni politiche europee centenarie: come il laburismo britannico, il popolarismo democristiano tedesco insieme alla socialdemocrazia, sempre in Germania. Pesa, inoltre, un discorso pubblico sempre più contaminato da un lessico guerresco. Che danni può provocare questa “malattia” in due paesi fondamentali del continente europeo? Pubblica ha ospitato la storica Marzia Maccaferri (Queen Mary, University of London) e il giornalista Michael Braun (corrispondente da Roma del berlinese Tageszeitung).

    Pubblica - 03-12-2025

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    L’inquietudine della provincia nel film “Ferine”, in concorso al Noir in Festival

    Trattandosi di un film horror si può raccontare poco. Ferine di Andrea Corsini si sviluppa intorno ad Irene, una donna che desidera una figlia ma nello stesso tempo è costretta a difendersi da chi la ostacola. In seguito a un incidente, la donna va in cerca di sangue per sopravvivere. Il tutto si svolge in un paesaggio vuoto e deprimente: “Cercavo una provincia in cui si respirasse solitudine e isolamento, come la villa di architettura brutalista e il centro commerciale esternamente vuoto. Il cemento da una parte e dall’altra le zone boschive, in cui si scatena l’aspetto selvaggio della storia”. Spiega Corsini, che nel film ha ricreato delle atmosfere che ogni tanto ricordano David Lynch, accompagnate dalla musica di Pino Donaggio: “È sempre stato il mio sogno, ma non avrei mai pensato di riuscirci. Non ho dovuto dirgli quasi niente per arrivare a questo risultato”. Un film prevalentemente femminile, con attrici internazionali che recitano in inglese e in cui gli uomini hanno soltanto parti in secondo piano. L'intervista di Barbara Sorrentini ad Andrea Corsini.

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    Paolo Bergamaschi, già Consigliere Politico Commissione Esteri Parlamento Europeo, analizza lo scontro Europa-Russia, tra minacce e timidi segnali di dialogo. Francesco Vignarca, ricercatore e analista della Rete Pace e Disarmo, racconta l'impatto del piano di riarmo sulla politica dell'Unione, trainato dall'industria e soprattutto dalla finanza. Le mobilitazioni dei lavoratori dell'Ilva non si fermeranno finché i patti non saranno rispettati, perché nessuno comprerà gli stabilimenti se non ci saranno prima degli interventi, come ci spiega Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia della Fiom-Cgil. Giulia Riva giornalista e nostra collaboratrice racconta la giornata internazionale delle persone con disabilità a partire dai dati sul lavoro dove le donne con disabilità sono ancora più penalizzate degli uomini (mentre in Lombardia le aziende preferiscono pagare 82 milioni di multe che assumere persone dalle categorie protette) e poi da atleta paralimpica lancia una sfida alla città di Milano che il lascito delle Olimpiadi invernali in partenza a febbraio sia almeno concretamente utile.

    Presto Presto – Interviste e analisi - 03-12-2025

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    Lista stupri. Una delle ragazze minacciate: “L’educazione sessuo-affettiva serve ad arginare le violenze”

    L’educazione sessuale a scuola si farà solo con il consenso dei genitori degli studenti minorenni, sia alle medie sia alle superiori. Alla Camera ieri è arrivato il via libera agli emendamenti al ddl Valditara tra le proteste delle opposizioni. È stato respinto anche un emendamento che prevedeva di togliere il consenso dei genitori in caso il corso fosse organizzato dalle Asl, quindi non da associazioni ma dal servizio sanitario nazionale. Intanto, prosegue l’indagine della procura di Roma "lista degli stupri” comparsa nei giorni scorsi nei bagni del liceo romano Giulio Cesare. Al momento il reato ipotizzato è istigazione a delinquere finalizzata alla violenza sessuale. Andrea, una delle studentesse del Giulio Cesare il cui nome era presente nella lista, al microfono di Mattia Guastafierro, ci racconta qual è il clima a scuola: “Ci sono stati dei precedenti, sicuramente non così gravi: stati bruciati dei cartelloni contro la violenza sulle donne nel bagno dei maschi, sono state strappate delle petizioni messe in bacheca per sensibilizzare alla violenza di genere. Purtroppo ci sono persone che hanno avuto un'educazione familiare estremamente poco consapevole di certe cose e purtroppo questa è la prova che un argomento così terribile come lo stupro possa essere utilizzato con leggerezza e, anzi, scritto su un muro di un bagno”. Inoltre, Andrea riconosce l'importanza dell'educazione sesso-affettiva nelle scuole: "Noi passiamo tantissime ore all'interno delle mura scolastiche e quindi deve essere la scuola a insegnare ed arrivare dove la famiglia magari non riesce. C'è molta disinformazione su quello di cui si tratta nell’educazione sessuo-affettiva: serve per insegnare il consenso, per conoscere se stessi senza paure, senza timori e stigmi sociali, per accettare ogni parte di sé. Facendo questo percorso dentro la scuola inevitabilmente la violenza di genere, e le violenze in generale, vengono arginate proprio perché la violenza parte da un'insicurezza. Se noi insegniamo che va bene averle, che queste si possono gestire, come gestire le relazioni, i conflitti ed educare al consenso, io credo che queste cose non succederebbero più. La scuola se ne deve far carico".

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