Approfondimenti

Io, suora di frontiera, con i figli del vento

“ Sì, mi sento una suora di frontiera. E’ una mia scelta stare vicino ai “ figli del vento”, come li chiamo io quei ragazzi e ragazze che non hanno voce in questa terra meravigliosa ma difficile, dove il male è la cultura mafiosa, killer silenzioso e subdolo”

Suor Carolina Iavazzo parla con noi mentre sta tornando al suo Centro “Padre Pino Puglisi”, luogo di aggregazione giovanile a Bosco S. Ippolito, una piccola contrada del comune di Bovalino in provincia di Reggio Calabria, a pochi chilometri da San Luca, paese nel cuore della Locride.

San Luca è tristemente noto per fatti che portarono alla sanguinaria faida scoppiata nel febbraio del 1991 fra la famiglia di ‘ndrangheta dei Nirta-Strangio contrapposta all’altra cosca dei Pelle-Vottari. Una faida che porterà nel 2007 alla strage di ferragosto a Duisburg, in Germania.

“In queste zone oggi-spiega Suor Carolina- l’ndrangheta, le mafie non hanno spesso la necessità di farsi sentire direttamente,di manifestarsi, le percepisci nell’aria”

E la “missione” del Centro Padre Pino Puglisi è proprio quella di impedire che i giovani siano attratti da queste logiche mafiose, criminali, cercando di costruire un percorso di legalità, di socialità, un nuovo rapporto con le istituzioni,accompagnato da attività ludiche-sportive, di recupero scolastico. Un compito arduo, complicato in questa terra,ma che suor Carolina compie, insieme a altre due suore,con entusiasmo,con il sorriso.

“ Il sorriso che ha sempre avuto don Pino Puglisi -dice Suor Carolina che è stata al suo fianco, fino al momento in cui venne ucciso con un colpo di pistola alla nuca dalla mafia,al quartiere Brancaccio di Palermo,la sera del 15 settembre 1993.

Suor Carolina ha tratto forza, energia dagli insegnamenti di Don Pino Puglisi, trasferendosi in Calabria e fondando, nel 2005, il centro giovanile nella Locride che porta il nome del prete assassinato. Ed è di lui che vuole subito parlare,mentre iniziamo questa conversazione.

suora don pino in mezzo all'articolo

Quale è stata la forza del messaggio di Padre Puglisi ?

Bisogna scegliere la strada della legalità, bisogna parlare alle coscienze” diceva e la scuola, i giovani erano e sono il punto di partenza per combattere la mentalità mafiosa, il vero male. Diceva padre Puglisi: A questo può servire parlare di mafia, parlarne spesso, in modo capillare, a scuola: è una battaglia contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell’uomo per soldi”

Lei ha fatto suo un altro insegnamento di Don Puglisi, quello sui diritti.

“Sì, diceva : “ non dobbiamo chiedere per favore quello che ci è dovuto come diritto”» ed è triste vedere che,anche nella Locride, il diritto spesso non esiste e quindi prospera quella mentalità mafiosa che dobbiamo combattere.”

Cosa intende per mentalità mafiosa?

“Quando si ricorre per ottenere qualcosa che ci spetta alla forza, ai favoritismi,ai clientelismi, quando si cerca scavalcare gli altri per ottenere un lavoro,oppure si usano le bustarelle,le intimidazioni, i ricatti. La cultura mafiosa è un killer silenzioso e subdolo”.

Lei mi diceva che è decisivo il ruolo dello Stato, delle istituzioni.Perchè?

“La presenza dello Stato sul territorio è fondamentale. La cultura mafiosa,le mafie,prosperano quando lo Stato è latitante,non crea servizi,opportunità di lavoro. In mancanza di questo le mafie ne approfittano,offrono lavoro, soldi, macchine, spingendo,in cambio,i giovani a delinquere”.

Lei chiama i giovani che segue “figli del vento” perchè?

Perché sono figli di nessuno, spesso abbandonati dai genitori, persone che non hanno voce, come quelli del Brancaccio ,a Palermo, o come qui nella Locride.Figli del vento in balia di chi li vuole adescare, coinvolgere in attività criminali o mafiose”.

Lei è stato vicino a don Puglisi fino all’ultimo, che riflessione fa?

“Padre Puglisi è stato ucciso perché non ha cercato il compromesso , ha detto no alla mafia, aveva scelto da che parte stare, quella dei valori evangelici, pur sapendo che andava incontro alla morte. Ha guardato negli occhi la mafia e fino alla fine ha detto no.E proprio per aver suggerito ai ragazzi un nuovo modello di vita, don Pino è stato ucciso.” 

Che accadde quella sera in cui padre Puglisi venne assassinato, a Palermo?

“Lo aspettavo, lo aspettavamo. Doveva venire da noi per ricevere gli auguri,era il giorno del suo compleanno. Mi aveva telefonato, dicendo: “tra poco arrivo”. Invece passa prima da casa. Li lo aspettano i killer mafiosi.Gli tolgono il borsello, lui non si scompone, li guarda , non grida, dice solo: “me lo aspettavo”.Poi ,come ammisero gli stessi mafiosi pentiti.gli sorrise”.

Lei suor Carolina è stata prima al Brancaccio,in Sicilia, poi nella Locride, nella zona di San Luca , luoghi difficili , ad alta densita mafiosa, perché?

“Perche io mi sento una suora di frontiera. Ho scelto di stare nei posti più poveri, cerco di dare voce a chi non ha voce, agli ultimi”.

Ma non ha paura dell’ndrangheta ,delle mafie, visto il suo impegno in prima fila?

“No, padre Puglisi mi ha insegnato a non avere paura,. Quando gli chiesi padre perché urla così forte contro i mafiosi, lui mi disse: più che uccidermi non possono farmi altro. Io,come suora ,in questa terra, ho scelto la mia missione, al cui interno c’è tutto, anche i rischi, e io li accetto, nel nome e per amore del Signore”

  • Autore articolo
    Piero Bosio
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    Errando per Antiche Vie è una grande azione performativa in cui artisti e pubblico percorrono a piedi la distanza che separa Cortina e Milano, tra il 5 e il 16 dicembre, a un mese dall’inizio delle Olimpiadi, per raccontare un territorio incredibile, contraddittorio che per la prima volta viene messo in luce dalle Olimpiadi. Un cammino lungo oltre 250 km, spettacoli teatrali e di danza, letture, pasti di comunità, incontri e dibattiti: un racconto della montagna fatto di sostenibilità, di protagonismo dei territori alpini e prealpini, di chi decide di vivere e lavorare in quota e nei territori periferici, al di là della spettacolarizzazione del momento olimpico. Michele Losi di Campsirago Residenza ha raccontato a Cult tutto il percorso. L'intervista di Ira Rubini.

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