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Prima gli aiuti umanitari, poi le questioni geopolitiche

Era dal dicembre 2015 che la Corea del Sud non autorizzava aiuti umanitari per la Corea del Nord. Oggi, a seguito di pressioni del World Food Programme e dell’Unicef cominciate lo scorso maggio, l’amministrazione del presidente Moon ha varato un piano di aiuti da 8 milioni di dollari destinati soprattutto ad alimenti per minori e donne in gravidanza, a medicinali e vaccini.

Il piano, che era annunciato da giorni e che comincerà in data da destinarsi, ha suscitato le critiche di Stati Uniti e Giappone e lascerebbe intendere una frattura nel fronte dei duri e puri contro Pyongyang, ma Seoul deve fare prima di tutto i conti con la propria condizione di separata in casa con il regime dei Kim e con gli ex connazionali che stanno a nord del 38esimo parallelo. Secondo il ministro dell’Unificazione sudcoreano, gli aiuti umanitari non contraddicono le sanzioni decise contro Pyongyang perché non sono assolutamente utilizzabili dall’apparato militare nordcoreano e sono destinati alla componente più svantaggiata della popolazione, afflitta proprio dalle sanzioni. Versione condivisa dall’Unicef che stima in un numero di circa 200mila i bambini del Nord afflitti da malnutrizione, mentre sarebbero 18 milioni i nordcoreani che hanno qualche problema alimentare su una popolazione di 25 milioni.

Il Giappone ha chiesto alla Corea del Sud di riconsiderare la tempistica degli aiuti, ma Tokyo non gode di molte simpatie e ascolto in Corea del Sud per ragioni storiche.

Intanto, un sondaggio riporterebbe che la popolarità di Moon è in calo proprio per la linea morbida assunta verso Pyongyang, nonostante sia sempre molto alta: 65 per cento. Insomma, il presidente sudcoreano sta giocando coraggiosamente le proprie carte.

Moon è un progressista da sempre fautore dell’approccio morbido verso Pyongyang. Fino agli ultimi test missilistico-nucleari della Corea del Nord aveva anche messo in dubbio il dispiegamento del sistema missilistico statunitense Thaad sul proprio territorio. Poi, dopo la recente escalation, ha sdganato il progetto e ha compiuto alcuni atti simbolici, come simulazioni di bombardamenti al confine con la Corea del Nord nell’ambito delle esercitazioni congiunte con Washington.

Però sostiene che gli aspetti umanitari vengano prima delle questioni geopolitiche.

Un’altra mano tesa al regime dei Kim è venuta quando il presidente sudcoreano ha offerto ai dirimpettai di allestire una squadra nazionale congiunta per le prossime olimpiadi invernali, che si terranno proprio in Corea del Sud il prossimo febbraio. Finora le risposte di Pyongyang sono state fredde se non sprezzanti, ma si sa che la Corea del Nord cerca soprattutto un canale diretto con gli Stati Uniti, più che un appeasement con Seul.

Nel gioco a tre, stanno alla finestra Cina e Russia, che vorrebbero portare Moon nel proprio schieramento. Per loro, di fronte al fallimento delle sanzioni, la soluzione alla questione nordcoreana verrebbe dal cosiddetto “doppio congelamento”: basta ai test missilistico-nucleari di Pyongyang in cambio dello stop alle esercitazioni congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud, poi trattative. Pechino crede che l’unica via d’uscita alla crisi nordcoreana sia costituita da colloqui diretti tra Stati Uniti e Corea del Nord nell’ambito di negoziazioni più ampie, a cui partecipano anche gli altri Paesi dell’area. Quindi, dopo l’ultimo lancio di missile compiuto da Pyongyang la Cina si è opposta a nuove sanzioni, mentre il segretario di Stato Rex Tillerson aveva chiesto il taglio netto delle esportazioni di petrolio.

Non si sa tuttavia al momento quanto i diretti interessati siano disponibili alla soluzione proposta da Cina e Russia: Washington, almeno a parole, non intende sedersi al tavolo con Pyongyang finché il programma missilistico e nucleare di Kim Jong-un continuerà. I nordcoreani hanno già dimostrato di ritenersi a tutti gli effetti potenza nucleare e non considerano questo status merce di scambio.

Si chiude qui il cerchio di un percorso iniziato nel 2002, quando George Bush, nel discorso sullo stato dell’Unione, inserì la Corea del Nord nel cosiddetto “asse del male” insieme a Iran e Iraq. L’anno dopo, ci fu l’invasione dell’Iraq e quindi l’uccisione di Saddam Hussein. Da quel momento in poi, Pyongyang non ebbe più alcun dubbio nel perseguire il proprio programma nucleare, che era cominciato già negli anni Novanta. Molti gli errori anche delle amministrazioni Clinton e Obama, sempre titubanti tra bastone e carota.

In questi giorni c’è da tenere d’occhio l’attivismo russo. Nell’Eastern Economic Forum di Vladivostok del 6-7 settembre, Putin ha lanciato un progetto di cooperazione a tre con le due Coree e i sudcoreani non sono apparsi contrari. Altro che sanzioni, la strategia di Mosca è di maggiore coinvolgimento economico di Pyongyang, che però vuole soprattutto risolvere il contenzioso aperto con gli Stati Uniti fin dalla guerra degli anni Cinquanta.

Per Moon e la Corea del Sud, tante opzioni sul tavolo, ma nessuna ottimale. Intanto, ecco il gesto umanitario verso l’anello debole della società nordcoreana.

  • Autore articolo
    Gabriele Battaglia
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