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Minniti a Tripoli, la missione impossibile

Quella del ministro dell’Interno Minniti a Tripoli è una missione impossibile. Tentare non certo di fermare ma soltanto di ridurre gli imbarchi dai porti occidentali della Libia verso l’Italia non è praticabile. Semplicemente perché le milizie che controllano il territorio sono le prime a sorvegliare sulla prosperità di questa industria criminale.

Il realismo del ministro Minniti lo porta a proporre una linea che “scavalca” il governo centrale guidato da Sarraj e interloquisce con i sindaci dei comuni della frontiera medionale dela Libia. Se non è possibile fermare gli imbarchi dai porti libici – pensano al ministero a Roma – si potrebbe controllare meglio i confini territoriali nel Sahara. In questo settore, in effetti,  si potrebbero sfruttare le conoscenze italiane nel settore della mediazione diplomatica dal basso, giocata negli anni passati dalla Comunità di Sant’Egidio, che aveva raggiunto un accordo di pace tra Tuareg e Tabou, le due etnie che si contendono il controllo del Fezzan, la regione meridionale della Libia, al confine con Sudan, Ciad e Niger.

Minniti a Tripoli è sempre il benvenuto. In Libia è considerato l’esponente del governo italiano più affidabile, concreto, sicuro e determinato. Questa sua visita è importante perché oltre agli incontri al vertice governativo, che produrrano in realtà poco o nulla, perché il governo Sarraj non controlla il territorio, il ministro dell’Interno avrà un incontro collettivo con i sindaci delle città della regione meridionale ai confini sud della Libia. Per non far partire dai porti libici migranti o farne partire pochi, bisognerà farne arrivare di meno e creare le condizioni perché questi migranti trovino lavoro in Libia.

Oltre all’approccio generale del lavoro diplomatico per la stabilizzazione del paese, l’Italia – secondo il pensiero espresso dal ministro in varie interviste – dovrebbe agire in collaborazione con le realtà locali libiche per mettere un argine all’economia del traffico di esseri umani.

Se a Varsavia, al tavolo tecnico dei paesi Frontex, l’Italia ha ricevuto un diniego esplicito per l’accoglienza in altri porti europei (Spagna, Francia e Malta) dei migranti salvati in mare, oggi Minniti a Tripoli affronterà la questione partenze. In un precedente incontro a Roma con i sindaci libici, sono state espresse le preoccupazioni che sul flusso di migranti sia ormai nata e prosperi un’economia specifica ed avevano espresso un loro parere chiaro: se si vuole frenare il flusso di migranti che attravera il Sahara, risalendo dai paesi africani verso la Libia e poi non trovando collocazione in un’economia locale, sono costretti a tentare l’approdo verso l’Europa – avevano spiegato – occorre che nasca un’altra economia.

Dal ministero dell’Interno, qualche idea è stata messa a punto. Ci sarebbe il progetto di arruolare in una nascente Guardia di frontiera un certo numero di miliziani dei clan Tuareg e Tebou per utilizzare questa nuova formazione di polizia nella a difesa delle frontiere. Molte milizie attualmente funzionano come garnati per i trafficanti di esseri umani in cambio di commissioni finanziarie, che fruttano milioni di dollari. Altri soggetti lavorano come passatori. E’ un’economia di frontiera che viene alimentata dal bisogno di lavoro di migliaia di africani che ogni giorno passano verso Nord.

In un documento pubblicato sulla stampa libica, i sindaci del Fezzan chiedono al governo di Tripoli prima di tutto ed al governo italiano in secondo piano, di passare dalle parole ai fatti anche su altri dossier, come sanità, acqua, elettricità, strade, aeroporti e ripresa degli investimenti per creare posti di lavoro. Insomma, chiedono che ci sia attenzione del governo centrale alle periferie dello Stato, da tempo dimenticate dalla burocrazia della capitale.

Tra le idee che il ministro Minniti porterà c’è quella dei gemellaggi tra comuni italiani e libici. E’ un incontro interlocutorio dal quale non ci si aspettano grandi svolte, ma andare a sentire cosa dicono dall’altra parte del Mediterraneo, prendere nota e riportare a Roma ed a Bruxelles, per tentare di scardinare l’economia del traffico di esseri umani, non è una cattiva idea. Anzi, è l’unica che potrebbe scongiurare quella brutta gara a chi la spara più grossa in materia di ‘cattivismo‘ anti immigrati, come quella della chiusura dei porti di fronte alle navi di salvataggio dei naufraghi.

  • Autore articolo
    Farid Adly
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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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