Approfondimenti

K-Flex, prendi i soldi e scappa

“La trattativa con l’azienda? Sì, certo. La proprietà è passata di qui più volte, ci siamo confrontati dai vetri chiusi delle loro macchine. Ecco come ci siamo confrontati”.

K-Flex di Roncello, provincia di Monza e Brianza. Giorno 51 di sciopero.

Quando alle 15 arriva la telefonata dai sindacalisti in trattativa a Roma tra gli operai in presidio davanti ai cancelli dell’azienda c’è ancora un po’ di speranza. Speranza che 51 giorni di sciopero siano serviti a far cambiare idea all’azienda, che i 187 licenziamenti siano ritirati e che quel cancello che hanno presidiato giorno e notte possa riaprirsi, i macchinari dentro riaccendersi.

“Come sapete l’azienda non ha partecipato all’incontro al ministero dello Sviluppo Economico”, spiega megafono in mano Luisa Perego, funzionaria della Filctem Cgil. Ha appena parlato con i suoi colleghi a Roma. “I licenziamenti non sono stati ritirati, il ministero si impegna a convincere l’azienda ad attivare gli ammortizzatori sociali”.

Non sono le parole che avrebbero voluto sentirsi dire. “Abbiamo perso”, dice qualcuno sottovoce. “E ha perso anche lo Stato, incapace di tenere in Italia un’azienda che ha sostenuto economicamente fino all’altro giorno”.

C’è delusione, “ma la lotta va avanti, da qui non ci muoviamo”.

Ora la palla passa alle istituzioni, nei prossimi giorni azienda e sindacati saranno riconvocati in Assolombarda, Regione Lombardia con il presidente Maroni ha detto di essere pronta al piano B: avviare tutte le politiche attive per formazione e ricollocamento. Di ritiro dei licenziamenti non se ne parla.

Con le sue 31 nazionalità diverse, raccontare la K-Flex è raccontare il mondo in miniatura. Provenienze diverse, religioni diverse, seduti al tavolo del presidio si sentono tutte queste lingue e questi accenti mischiarsi.

I lavoratori le lavoratrici della K-Flex sono in sciopero da 51 giorni. Oggi è una giornata particolarmente simbolica: è il 15 del mese e sarebbe dovuto essere il giorno di paga. Sarà invece il primo senza stipendio, poi verrà aprile. Lo sciopero costa, fisicamente, economicamente e psicologicamente. “Ma è l’unica arma che abbiamo”.

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La K Flex è una fabbrica di isolanti che funziona, non è in crisi. Ha un fatturato annuo di 320 milioni di euro e punta ad aumentarlo nei prossimi anni. Ha duemila dipendenti sparsi per il mondo e alcuni di questi operai che l’azienda oggi vuole buttare in strada sono tra quelli che hanno aperto le altre sedi e collaudato i macchinari. Anche in Polonia, dove la dirigenza di K-Flex ha deciso di trasferire la produzione fatta fino ad oggi qui a Roncello. Non è una sede qualunque questa di Roncello, è quella dove l’azienda è nata, ed è cresciuta insieme a queste persone che oggi non hanno più un lavoro.

“L’anno scorso abbiamo fatto 200 ore di straordinario”, ci dice Antonio. “Non sto esagerando, 200. Questa è un’azienda che negli ultimi anni ha preso 36 milioni di finanziamenti pubblici e ora se ne va così”.

36 milioni di finanziamenti pubblici. Il governo non è riuscito fino ad oggi a far valere al tavolo della trattativa questo prezioso aiuto pubblico per impedire la delocalizzazione.

La chiusura dello stabilimento di Roncello significa 187 persone a casa. Resteranno in organico una sessantina di dipendenti tra amministrazione e uffici.

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“Negli anni abbiamo dato tutto, abbiamo fatto straordinari. La proprietà non sta concedendo niente. Dicono che i licenziamenti sono irrevocabili. Non si presentano al ministero perché la loro linea non cambia, lo dicono loro stessi”.

La proprietà in queste settimane l’hanno vista solo dai finestrini chiusi delle auto che ogni tanto la mattina entrano in azienda.

Noi non possiamo abbandonare il presidio perché dobbiamo controllare che i macchinari non vengano portati in Polonia” ci dicono gli operai. “Dobbiamo vigilare che i beni dell’azienda restino in azienda”.

La multinazionale brianzola, colosso della gomma isolante, sostiene che per restare competitiva non c’è altro modo che delocalizzare. Oltre al danno c’è la beffa. “La proprietà è arrivata a dire che vogliono chiudere perché hanno un problema logistico, una grave perdita dal tetto dell’azienda. Una perdita in un’azienda di isolanti termici. Ma vi rendete conto?”.

Domani sarà un nuovo giorno di sciopero e i lavoratori si ritroveranno in assemblea per discutere di quanto uscito dall’incontro al ministero dello Sviluppo Economico.

In mezzo a queste persone si sente quanto la politica sia distante e inadeguata a gestire situazioni di questo tipo.

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  • Autore articolo
    Roberto Maggioni
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    Pubblica ha ospitato il giurista Luigi Ferrajoli, allievo di Norberto Bobbio. Ferrajoli è professore emerito di filosofia del diritto all’Università Roma Tre. Tra i suoi libri, due titoli legati al progetto di costituzione planetaria che ha elaborato negli ultimi anni: si tratta di “Progettare il futuro. Per un costituzionalismo globale” (Feltrinelli 2025), e “Per una Costituzione della Terra. L’umanità al bivio” (Feltrinelli 2022). Come si ricostruisce la sovranità del diritto internazionale fatta a pezzi dai vari Netanyahu, Putin e Trump? Ferrajoli ha già risposto da tempo a questo interrogativo, da quando ha proposto una "Costituzione della Terra", una costituzione che contiene diritti e principi fondamentali validi per tutti gli abitanti del pianeta e con l’indicazione di espliciti strumenti per realizzarli.

    Pubblica - 16-09-2025

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