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Cape Canaveral: la sicurezza nello Spazio

Umberto Guidoni è stato due volte nello Spazio. Conosce bene il Kennedy Space Center, la base di Cape Canaveral in Florida. Da lì è partito per le stelle nel 1994 e nel 1996. Gli abbiamo chiesto di spiegarci quanto è grave e importante l’incidente che ha coinvolto un razzo dell’azienda aerospaziale SpaceX, il Falcon 9.

Il vettore, che avrebbe dovuto essere lanciato in orbita sabato, portando il primo satellite di Facebook per il programma che dovrebbe portare internet negli stati dell’Africa sub-sahariana, è esploso durante un teste effettuato sulla rampa di lancio.

“L’incidente è grave per due motivi. La SpaceX è una delle prime società private a occuparsi dei rifornimenti della stazione spaziale internazionale. Il secondo motivi è forse ancora più importante. I vettori di quella società, in prospettiva, dovrebbero portare nello spazio gli astronauti della Nasa. E quindi adesso c’è un problema di sicurezza”.

Come cambia la natura della Nasa alla luce dei rapporti con questa società privata?

“La Nasa ha fatto un accordo con la  SpaceX e con altre due società private, la Boeing e la Sierra Nevada per trasportare gli astronauti sulla stazione spaziale internazionale. E’un’intesa che riguarda le orbite più vicine alla Terra. Per quanto riguarda invece le grandi missioni, la Nasa sta costruendo un nuovo vettore, Orione, che porterà gli astronauti sulla Luna e poi, in un futuro prossimo, su Marte”.

Ma perché si punta ancora sull’esplorazione dello Spazio? Anche i cinesi vogliono andare sulla Luna…

“Beh…come dice Stark Trek, lo spazio è l’ultima frontiera. Il nostro pianeta è quasi completamente esplorato e quindi continuiamo ad andare nello Spazio per trovare nuove frontiere. Andiamo alla ricerca di risorse, ma anche per poter trasportare in futuro società umane su altri pianeti. Ci vorranno anni, naturalemente, ma questa sfida permette di sviluppare sulla Terra nuove tecnologie. Una sfida che ha coinvolto anche società private, interessate allo sviluppo tecnologico e all’eventuale reperimento di materie prime nello Spazio”.

guidoni

Ma secondo lei riusciremo ad andare su Marte?

“E’sicuramente realizzabile. Dobbiamo sviluppare le tecnologie necessarie. Quello che conta è l’intensità con cui vogliamo andare su quel pianeta. Per andare sulla Luna ci abbiamo messo dieci anni. Per Marte magari ci vorrà di più, ma se c’è la volontà, i tempi si accorciano. Prima di andare fino a là sarebbe però interessante raggiungere gli asteroidi che si trovano vicino alla Terra, possibili fonti di materie prime, motivo per cui, come dicevo, le società private si interessano allo Spazio”.

Come è stare lassù?

“Beh…indimenticabile. E’ una realtà diversa. Le leggi fisiche della Terra non valgono. Galleggi. E poi vedi dall’alto la Terra, isolato in mezzo a un buio immenso. E questo ti fa capire quanto sia importante e quanto male noi esseri umani trattiamo il nostro pianeta”.

Lei era partito dal Kennedy Space Center…

“Si, nel primo volo siamo tornati lì. Nel secondo, invece, siccome c’era condizioni meteo difficili sulla Florida, siamo atterrati in California”.

Ma è come atterrare con un aereo?

“Beh..insomma. Quando rientri nell’atmosfera viaggi a una velocità enormente più elevata, una decina di volte più veloce del suono. E poi, atterri senza motore. Hai quindi una sola possibilità di centrare la pista. Momenti che non si scordano. Hai voglia id riabbriacciare i tuoi cari, ma hai già nostalgia dello Spazio”.

 

 

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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