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La solitudine “imposta” del popolo Saharawi

Da sempre, dai primi viaggi pionieri nelle zone considerate inospitali nel mondo, gli etnologi ci hanno messo in guardia: “Il deserto non è desertico..ma è pieno di vita”.

Lo è più che mai quello che ospita la Repubblica araba democratica Saharawi nel deserto algerino.

Accampamenti fatti di tende e piccole costruzioni di sabbia che rappresentano una forma di resistenza che prosegue da quarant’anni.

Quello Saharawi è uno Stato in esilio che conta ora una popolazione di almeno 300 mila profughi, dopo che nel 1975 il Marocco ha invaso la regione a sud del Paese, il Sahara Occidentale, fino ad allora conosciuta come il Sahara Spagnolo.

E’ in quegli anni che prende il via un processo di decolonizzazione planetario. Approfittando del ritiro di Madrid dalla regione, il re del Marocco Hassan II annuncia una “marcia verde” di 350mila volontari – veri e propri coloni – che si svolge nell’autunno del 1975; è l’inizio di una nuova occupazione sempre più capillare.

Mentre echeggiano i bombardamenti degli aerei di Sua maestà, circa 200mila saharawi scappano per salvarsi e trovano rifugio nel deserto dell’Hamada, a ridosso di Tindouf, l’ultima propaggine meridionale dell’Algeria. Una terra arida, lontana da fonti d’acqua, con temperature che d’estate raggiungono i 50 gradi e d’inverno, di notte, scendono sotto i 5.

In poco tempo Rabat dichiara l’ex colonia spagnola annessa al Marocco. Il Sahara Occidentale è un bottino prezioso, perché ricco di fosfati e di giacimenti di idrocarburi. Per questa terra si combatte al confine tra Marocco-Algeria, fino a che le Nazioni Unite riescono a negoziare un cessate il fuoco nel 1991.

Non si spara più ma inizia un lungo, doloroso percorso per far cadere la causa saharawi nell’oblio. Viene innalzato un muro di 2700 chilometri che attraversa il deserto dell’Algeria e del Marocco. Iniziano colloqui infiniti sul metodo per realizzare un referendum nel Sahara Occidentale per censire la popolazione saharawi. Intanto passano gli anni, appunto quaranta.

Questa in breve la storia del popolo saharawi i cui effetti collaterali pesano su intere generazioni. A partire da chi vive nei campi profughi, dove sono state mantenute per ciascun accampamento i nomi delle città del Sahara Occidentale, come Rabouni, El Ayun, Dakhla, dove oltre all’arabo si parla ancora castigliano. Dove l’acqua resta un tesoro pari all’oro. Dove l’elettricità è arrivata solo ora. Ma anche dove le donne hanno in mano l’autogestione dei campi. Dove la scuola è di primaria importanza. E anche dove intercetti all’orizzonte dall’aria bollente, un orto rigoglioso.

E non è un miraggio.

Dall’altra parte della frontiera invece, in Marocco, la vita di chi invoca l’autodeterminazione nel Sahara Occidentale è fatta di carcere, tortura e repressione. Ad aprile, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha rinnovato per un altro anno il mandato della Missione dell’Onu per l’organizzazione di un referendum nel Sahara Occidentale ma ancora una volta senza prevedere alcun strumento di monitoraggio sui diritti umani.

Ma tra Marocco e l’Onu la tensione è alta. L’attuale re Mohamed VI non ha gradito la dichiarazione del segretario generale dell’Onu Ban Kii Moon che lo scorso marzo in visita in Algeria, a Tindouf, ha parlato di occupazione del Marocco nella regione del Sahara Occidentale. Per tutta risposta Rabat ha cacciato una settantina di esponenti della Missione Onu e soprattutto minaccia di tagliare i contributi finanziari. Ma più che le minacce è il parterre di amici che il Marocco può vantare: anzitutto Francia e Spagna.

Per gli Europei Mohamed VI è un alleato importante per molti aspetti, tra cui il freno ai flussi migratori. Ma il monarca è pronto anche a oltrepassare il sodalizio con gli Europei, pur di mantenere il proprio controllo sulla regione. Infatti ha recentemente stretto rapporti con la Russia di Putin. Il popolo Saharawi ha invece appena eletto il nuovo leader del Fronte Polisario, Brahim Gali, dopo la scomparsa del presidente Mohamed Abdelaziz. Nella sua prima dichiarazione, ha detto semplicemente che resta di fondamentale importanza la ripresa in piena attività della missione Onu. E’ un’affermazione che si inquadra bene con la vita faticosa di ogni giorno nei campi saharawi e nella realtà occupata, dove si aspetta con pervicace fiducia la sconfitta di Golia da parte di Davide.

Effetti collaterali. Popolazione civile in pericolo è la rubrica a cura di Cristina Artoni, in onda ogni lunedì su Radio Popolare alle 9.20

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Effetti Collaterali I Saharawi

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    Cristina Artoni
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    Gran Bretagna e Germania, i grandi malati d'Europa. Il primo ministro britannico Starmer e il cancelliere tedesco Merz sono entrambi proiettati in una rincorsa della destra estrema. Il laburista britannico Starmer, due settimane fa: «restauriamo ordine e controllo», titolo di un documento presentato alla Camera dei Comuni. Il democristiano tedesco Merz: ci vogliono «controlli ai confini e respingimenti» perchè «l’immigrazione ha un impatto sul paesaggio urbano». Proprio così. Germania e Gran Bretagna, due potenze economiche mondiali: la Germania (80 milioni di abitanti) con il terzo pil del mondo (dopo Stati Uniti e Cina); il Regno Unito (con 60 milioni di abitanti) con il sesto pil mondiale (dopo la Germania c’è il Giappone e l’India e poi il Regno Unito). La “malattia” (la rincorsa ad essere a volte più a destra delle destre) rischia di cambiare i connotati a tradizioni politiche europee centenarie: come il laburismo britannico, il popolarismo democristiano tedesco insieme alla socialdemocrazia, sempre in Germania. Pesa, inoltre, un discorso pubblico sempre più contaminato da un lessico guerresco. Che danni può provocare questa “malattia” in due paesi fondamentali del continente europeo? Pubblica ha ospitato la storica Marzia Maccaferri (Queen Mary, University of London) e il giornalista Michael Braun (corrispondente da Roma del berlinese Tageszeitung).

    Pubblica - 03-12-2025

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    Finanza e Industria, ecco chi ci porta alla guerra

    Politici, industriali e finanzieri sono concordi nel sostenere la strada del riarmo e della militarizzazione europea: per i finanzieri si tratta di far fruttare i propri fondi rapidamente e in maniera sicura, per gli industriali idem, con fortissime iniezioni di denaro pubblico, non a caso anche quest’anno hanno fatto il record di vendite come registra il Sipri di Stoccolma il più autorevole istituto di ricerca sulla spesa militare nel mondo. Il problema, spiega Francesco Vignarca, portavoce della Rete Pace Disarmo, ricercatore e analista (tra i curatori del libro Europa a mano armata curato con Sbilanciamoci) è che così vince il discorso di guerra. Banalizzante, propagandistico e pericoloso perché sequestra la democrazia: “Il complesso militare industriale ha un pensiero medio lungo strategico. Stanno già intervenendo per togliere le leggi sulla limitazione alla vendita di armi, perché sanno che dovranno vendere questa sovraproduzione da qualche parte, così come fanno entrare capitali esteri nella nostra industria, come i sauditi in Leonardo, perché non siamo noi gli acquirenti di queste armi”. Ascolta l'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

    Clip - 03-12-2025

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    A come Asia di mercoledì 03/12/2025

    A cura di Diana Santini

    A come Atlante – Geopolitica e materie prime - 03-12-2025

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    MILANESI BRAVA GENTE SPECIAL - MATTEO LIUZZI E TOMMASO BERTELLI

    MILANESI BRAVA GENTE SPECIAL - MATTEO LIUZZI E TOMMASO BERTELLI - presentato da Francesco Tragni

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    Sguardi, opinioni, vite, dialoghi al microfono. Condotta da Massimo Bacchetta, in redazione Luisa Nannipieri.

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    L’inquietudine della provincia nel film “Ferine”, in concorso al Noir in Festival

    Trattandosi di un film horror si può raccontare poco. Ferine di Andrea Corsini si sviluppa intorno ad Irene, una donna che desidera una figlia ma nello stesso tempo è costretta a difendersi da chi la ostacola. In seguito a un incidente, la donna va in cerca di sangue per sopravvivere. Il tutto si svolge in un paesaggio vuoto e deprimente: “Cercavo una provincia in cui si respirasse solitudine e isolamento, come la villa di architettura brutalista e il centro commerciale esternamente vuoto. Il cemento da una parte e dall’altra le zone boschive, in cui si scatena l’aspetto selvaggio della storia”. Spiega Corsini, che nel film ha ricreato delle atmosfere che ogni tanto ricordano David Lynch, accompagnate dalla musica di Pino Donaggio: “È sempre stato il mio sogno, ma non avrei mai pensato di riuscirci. Non ho dovuto dirgli quasi niente per arrivare a questo risultato”. Un film prevalentemente femminile, con attrici internazionali che recitano in inglese e in cui gli uomini hanno soltanto parti in secondo piano. L'intervista di Barbara Sorrentini ad Andrea Corsini.

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    Presto Presto - Interviste e Analisi di mercoledì 03/12/2025

    Paolo Bergamaschi, già Consigliere Politico Commissione Esteri Parlamento Europeo, analizza lo scontro Europa-Russia, tra minacce e timidi segnali di dialogo. Francesco Vignarca, ricercatore e analista della Rete Pace e Disarmo, racconta l'impatto del piano di riarmo sulla politica dell'Unione, trainato dall'industria e soprattutto dalla finanza. Le mobilitazioni dei lavoratori dell'Ilva non si fermeranno finché i patti non saranno rispettati, perché nessuno comprerà gli stabilimenti se non ci saranno prima degli interventi, come ci spiega Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia della Fiom-Cgil. Giulia Riva giornalista e nostra collaboratrice racconta la giornata internazionale delle persone con disabilità a partire dai dati sul lavoro dove le donne con disabilità sono ancora più penalizzate degli uomini (mentre in Lombardia le aziende preferiscono pagare 82 milioni di multe che assumere persone dalle categorie protette) e poi da atleta paralimpica lancia una sfida alla città di Milano che il lascito delle Olimpiadi invernali in partenza a febbraio sia almeno concretamente utile.

    Presto Presto – Interviste e analisi - 03-12-2025

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    Lista stupri. Una delle ragazze minacciate: “L’educazione sessuo-affettiva serve ad arginare le violenze”

    L’educazione sessuale a scuola si farà solo con il consenso dei genitori degli studenti minorenni, sia alle medie sia alle superiori. Alla Camera ieri è arrivato il via libera agli emendamenti al ddl Valditara tra le proteste delle opposizioni. È stato respinto anche un emendamento che prevedeva di togliere il consenso dei genitori in caso il corso fosse organizzato dalle Asl, quindi non da associazioni ma dal servizio sanitario nazionale. Intanto, prosegue l’indagine della procura di Roma "lista degli stupri” comparsa nei giorni scorsi nei bagni del liceo romano Giulio Cesare. Al momento il reato ipotizzato è istigazione a delinquere finalizzata alla violenza sessuale. Andrea, una delle studentesse del Giulio Cesare il cui nome era presente nella lista, al microfono di Mattia Guastafierro, ci racconta qual è il clima a scuola: “Ci sono stati dei precedenti, sicuramente non così gravi: stati bruciati dei cartelloni contro la violenza sulle donne nel bagno dei maschi, sono state strappate delle petizioni messe in bacheca per sensibilizzare alla violenza di genere. Purtroppo ci sono persone che hanno avuto un'educazione familiare estremamente poco consapevole di certe cose e purtroppo questa è la prova che un argomento così terribile come lo stupro possa essere utilizzato con leggerezza e, anzi, scritto su un muro di un bagno”. Inoltre, Andrea riconosce l'importanza dell'educazione sesso-affettiva nelle scuole: "Noi passiamo tantissime ore all'interno delle mura scolastiche e quindi deve essere la scuola a insegnare ed arrivare dove la famiglia magari non riesce. C'è molta disinformazione su quello di cui si tratta nell’educazione sessuo-affettiva: serve per insegnare il consenso, per conoscere se stessi senza paure, senza timori e stigmi sociali, per accettare ogni parte di sé. Facendo questo percorso dentro la scuola inevitabilmente la violenza di genere, e le violenze in generale, vengono arginate proprio perché la violenza parte da un'insicurezza. Se noi insegniamo che va bene averle, che queste si possono gestire, come gestire le relazioni, i conflitti ed educare al consenso, io credo che queste cose non succederebbero più. La scuola se ne deve far carico".

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