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Prodi: “L’Europa non è reversibile”

“L’uscita della Gran Bretagna sarebbe un danno pesante sul piano politico internazionale perché manderebbe il messaggio che l’Unione europea è un progetto reversibile, non duraturo nel tempo”. Romano Prodi, alla vigilia del referendum, esprime così tutta la sua preoccupazione sul futuro dell’Unione europea. “Ma anche nel caso che gli elettori britannici decidessero di rimanere (remain, ndr) , respingendo l’uscita dall’Unione (leave, ndr), saremmo davanti comunque a un’Europa a due o più velocità” , aggiunge Prodi, che si augura un no alla Brexit (Britain+exit, ndr).

Prodi resta convinto che nel rapporto tra Europa e Gran Bretagna, nel caso di Brexit, si possano comunque trovare dei compromessi  che consentano il mantenimento degli accordi economici fatti in questi anni. “L’eventuale Brexit, comunque, non sarà un’apocalisse”, aggiunge il professore. L’ex presidente della Commissione europea è cauto. Non vuole fare previsioni sul referendum, anche se pensa che la Gran Bretagna resterà nell’Unione. Prodi osserva come in queste settimane siano cresciute forti pressioni internazionali perché la Gran Bretagna rimanga nell’ Unione europea. Ricorda l’intervento di Barack Obama contro la Brexit: “Obama ha fatto capire chiaramente che nel caso di leave gli Stati Uniti non darebbero alla Gran Bretagna un corsia preferenziale nei rapporti commerciali con loro, ma al contrario sarebbero privilegiati gli altri stati europei.

Anche l’India, il Canada, l’Australia si sono schierati per il no alla Brexit. Sono tutti paesi anglofoni su cui i fautori dell’uscita dall’Unione puntano come alternativa commerciale, politica nel caso di vittoria della Brexit.

Professor Prodi partiamo dall’ipotesi Brexit.

“Mi faccia dire subito che io sono per la permanenza della Gran Bretagna nell’Unione . Detto questo la Brexit sarebbe un danno pesante sul piano politico internazionale perché manderebbe il messaggio che l’Unione europea è un progetto reversibile, non duraturo nel tempo. Questa è la vera questione di fondo”.

Che conseguenze ci sarebbero invece secondo lei sul piano economico?

“Con Brexit ci saranno delle negatività ma l’area commerciale rimane. Ci dovranno essere molti adattamenti, resto però convinto che nel rapporto tra Europa e Gran Bretagna si possano trovare dei compromessi, delle mediazioni che consentano il mantenimento degli accordi economici fatti in questi anni e anche le alleanze politico- militari di comune interesse”.

Però c’è chi prevede , nel caso di Brexit, crolli dei mercati e instabilità finanziaria duratura.

“Non non credo che questo avverrà. La City londinese perde qualche punto, qualche multinazionale si trasferirà in altri Paesi, ma è un piazza finanziaria mondiale. Certo la permanenza nell’Unione Europea le giova, ma nel caso di Brexit il ruolo che la City svolge nel mondo verrà intaccato solo in piccola parte”.

Alcuni leader inglesi parlano di migliaia di licenziamenti in arrivo in Gran Bretagna nel caso di Brexit. Lei cosa dice?

“Mi pare un’esagerazione elettorale in questa campagna referendaria”.

Lei ritiene che l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione potrebbe portarsi dietro altri Paesi europei?

“Il rischio è proprio questo. Magari non come uscita diretta dall’Unione europea, perché alcuni Paesi – penso a quelli baltici o alla Polonia – che potrebbero abbandonare l’Unione europea, poi non lo fanno perché prendono dei ‘bei soldi’ da Bruxelles. E alla fine non se ne andranno, ma potrebbero chiedere le stesse condizioni di favore già concesse alla Gran Bretagna”.

Però così ci sarebbe un’ulteriore frammentazione dell’Europa.

“Sì. Tutte queste tensioni, divisioni, egoismi porterebbero ad un’Europa a due velocità, un brutto destino per un’Europa che noi avevamo concepito con valori,  sentimenti comuni e una condivisione di un progetto non solo economico”.

E se invece la Gran Bretagna rimarrà nell’Unione?

“Se rimane, come io credo, le condizioni poste dal primo ministro David Cameron nelle trattative con Bruxelles con le quali ottenne condizioni di favore per Londra per convincere i suoi elettori a restare nell’Ue, sono altrettanto estranee all’idea di Unione europea. Cameron, ad esmpio, ha ottenuto che la Gran Bretagna non partecipi a nessuna decisione comune sui temi che fanno l’Europa più forte”.

Questo cosa significa, che conseguenze ha?

“Significa che hanno già inventato un’Europa a due o più velocità, cioè ci sono dei membri, degli Stati che vogliono andare avanti insieme, altri come la Gran Bretagna, che si chiamano fuori, vogliono essere periferici, senza partecipare agli interessi comuni europei”.

Senta, ma questa Unione ha ancora un futuro?

“Dipende se capiamo la lezione. Io non credo che ci sarà la Brexit, ma anche se ci fosse, il futuro comunque dipende da noi, dalla capacità soprattutto degli Stati fondatori dell’Unione di prendere decisioni forti sul piano politico, economico, dell’immigrazione. O si capisce che dobbiamo stare insieme, o saremo spazzati via dal mondo futuro, di fronte agli Stati Uniti e alla Cina. Un’Europa che non è ‘né cotta né cruda’ non può avere alcun ruolo”.

In concreto cosa occorre fare?

“Da questa situazione non ne verremo fuori se non ci sarà piu giustizia, più equità. La questione non è solo mancanza di solidarietà ai profughi, ma di politica economica e di distribuzione dei redditi e del lavoro. La ricchezza si è concentrata sempre più nelle mani di pochi. Un numero sempre più consistente di persone, anche nella classe media europea si è impoverita… Questo è un contesto che produce timori, insicurezze, divisioni e alimenta le forze antieuropee, xenofobe”.

Che dimensioni ha questo fenomeno?

“E’ più ampio e profondo di quanto molti pensano e non riguarda solo l’Unione europea. Pensi agli Stati Uniti, a Donald Trump che ha ottenuto molti consensi anche tra i ceti più popolari, perché ha capito che sono cresciute queste paure che le dicevo. Ribadisco: non è solo un problema degli immigrati ma di ingiustizie sociali, di distribuzione del reddito sempre più iniqua. Se non si ridiscutono le scelte economiche e la distribuzione dei redditi e del lavoro il problema non si risolverà”.

Germania e Gran Bretagna potevano dare una svolta all’Europa, invece…

“La Germania è lo Stato più forte dell’Europa e quindi ha una responsabilità maggiore, la Gran Bretagna promuovendo questo assurdo referendum si è messa ai margini. Lo dico spesso: la Germania ha una grande responsabilità, un grande potere, ma non lo utilizza per gli interessi generali europei, non ha la coscienza politica per farlo. La Germania segue invece dogmi e regole che si è imposta, senza rendersi conto delle differenze, delle diversità degli altri paesi, come nel caso greco”.

  • Autore articolo
    Piero Bosio
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