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Dopo il riconoscimento del genocidio armeno

Il Parlamento tedesco ha votato sì ad una risoluzione che riconosce come genocidio il massacro degli armeni avvenuto nel 1915 per mano dell’Impero Ottomano. “Un errore storico”, risponde il governo turco, che della questione armena ha sempre fatto un elemento chiave della costruzione dell’identità nazionale turca. Ankara ha ritirato l’ambasciatore a Berlino, anche se il premier Binali Yildirim ha cercato di gettare acqua sul fuoco, dichiarando che le relazioni tra alleati storici non possono essere del tutto compromesse da un voto su una vicenda storica.

Come ricorda al Demone del tardi il professore di Scienze politiche dell’Università Cattolica di Milano Gianluca Pastori, la tempistica dell’innalzamento della tensione tra i due Paesi è quantomeno infelice. Le scacchiere sulle quali le diplomazie dei due Paesi stanno giocando sono diverse. La più importante riguarda l’accordo Ue-Turchia per la gestione dei migranti.

Gianluca Pastori, perché proprio adesso si sta consumando questo scontro Ankara-Berlino?

È il risultato di un processo lungo, che sta occupando il Parlamento tedesco da diverso tempo. Sicuramente non si tratta di una risoluzione adottata con la tempistica migliore. Bisogna però ricordare che le dinamiche con cui un Parlamento si muove non sono necessariamente quelle di un governo. Che questo voto sia importante e suoni quasi come una sconfessione dello stesso governo, lo dimostra l’imbarazzo con il quale Angela Merkel ha cercato di sminuire la portata della decisione del Bundestag. Lo ha fatto ripetendo che il voto non intacca le relazioni tra Berlino ed Ankara.

Merkel, il vice cancelliere Sigmar Gabriel e il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier non erano presenti al Bundestag deurante il voto. Assenze più politiche che simboliche.

Sicuramente. Come accade con tutti i governi, anche in questo caso l’esecutivo si deve destreggiare tra due esigenze: quelle della politica estera e quelle della politica interna. Ricordiamo che questo voto, in ultima analisi, riguarda l’Olocausto, un tema a cui la Germania è molto sensibile.

La Germania ebbe un ruolo nel genocidio degli armeni nel 1915. I tedeschi avevano ruoli importanti nell’esercito turco si macchiò di quel misfatto. Sembra che con questa vicenda ritornino i fantasmi della storia d’Europa, catalogata erroneamente come un affare da ascriversi ad un pezzetto di Medio Oriente.

È una delle pagine tragiche della costruzione della nazione in Europa. Al di là delle motivazioni militari, allora addotte dai tedeschi, ossia la considerazione degli armeni come una sorta di quinta colonna della minaccia zarista, la decisione di sterminare questo popolo nacque dalla volontà dell’autorità dei Giovani turchi (il movimento di fine Ottocento che voleva trasformare l’impero in una monarchia costituzionale, ndr) di costruire uno stato etnicamente compatto, pulito. E questo dell’etnonazionalismo è uno dei grandi fantasmi dell’Europa del 900.

Tornando all’oggi e a quello che potrebbe accadere: Ankara ha ritirato l’ambasciatore e non è la prima volta che Erdogan lo fa nei confronti di uno Stato che vota a favore del riconoscimento del genocidio. Poi tornò sui suoi passi, riportando in sede l’ambasciatore. Il caso tedesco può essere diverso, visto, sullo sfondo, l’accordo con la Germania sulla gestione dei migranti?

Sì, è questo il punto. Siamo abituati alle reazioni a caldo di Erdogan, fino ad oggi mostrate in contesti profondamente diversi. Il convitato di pietra a questo punto è l’accordo sui migranti fra Berlino e Ankara. Cosa succederà è difficile da dire. Sicuramente la Germania in questo momento ha bisogno dell’aiuto turco per gestire la questione migranti. La Turchia pare quindi in una posizione di forza. Non dimentichiamo però che l’aiuto che la Turchia fornisce all’Europa non è disinteressato. Il pacchetto finanziario associato all’accordo è considerevole e personalmente ho delle riserve sul fatto che Erdogan ci possa rinunciare solo per una questione di principio. Sicuramente nel breve periodo dovremo assistere a delle reazione forti. Perché quella armena è una questione importante nell’opinione pubblica turca. Fra qualche settimana ci sarà poi un raffreddamento, perché gli interessi da salvaguardare valgono di più.

Il regime di Erdogan, islamico moderato, è molto diverso dal laicismo autoritario fondato sul nazionalismo di Ataturk. Eppure il nazionalismo resta un perno centrale per l’identità turca. E ha bisogno di rifiutare l’idea del genocidio turco. Ma è così monolitico il fronte nazionalista?

Il nazionalismo è importante nella composizione dell’identità turca. È un secolo abbondante che il discorso politico turco si basa sul sentimento nazionale. Normalmente si sottolinea il carattere islamico del partito di Erdogan, ma in realtà stresserei di più l’elemento nazionalista. È un elemento turco islamico, dove la questione religiosa è molto legata a quella nazionalista. Certo, delle brecce si stanno aprendo al livello minoritario, con elite culturali che attraverso il superamento del nazionalismo cercano di scavalcare anche quella componente di autoritarismo che era implicita in Ataturk e nei suoi successori al comando del Paese, fino ad oggi di fatto.

Ascolta l’intervista a Gianluca Pastori a cura di Gianmarco Bachi e Luigi Ambrosio

Gianluca Pastori

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    Politici, industriali e finanzieri sono concordi nel sostenere la strada del riarmo e della militarizzazione europea: per i finanzieri si tratta di far fruttare i propri fondi rapidamente e in maniera sicura, per gli industriali idem, con fortissime iniezioni di denaro pubblico, non a caso anche quest’anno hanno fatto il record di vendite come registra il Sipri di Stoccolma il più autorevole istituto di ricerca sulla spesa militare nel mondo. Il problema, spiega Francesco Vignarca, portavoce della Rete Pace Disarmo, ricercatore e analista (tra i curatori del libro Europa a mano armata curato con Sbilanciamoci) è che così vince il discorso di guerra. Banalizzante, propagandistico e pericoloso perché sequestra la democrazia: “Il complesso militare industriale ha un pensiero medio lungo strategico. Stanno già intervenendo per togliere le leggi sulla limitazione alla vendita di armi, perché sanno che dovranno vendere questa sovraproduzione da qualche parte, così come fanno entrare capitali esteri nella nostra industria, come i sauditi in Leonardo, perché non siamo noi gli acquirenti di queste armi”. Ascolta l'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

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    L’educazione sessuale a scuola si farà solo con il consenso dei genitori degli studenti minorenni, sia alle medie sia alle superiori. Alla Camera ieri è arrivato il via libera agli emendamenti al ddl Valditara tra le proteste delle opposizioni. È stato respinto anche un emendamento che prevedeva di togliere il consenso dei genitori in caso il corso fosse organizzato dalle Asl, quindi non da associazioni ma dal servizio sanitario nazionale. Intanto, prosegue l’indagine della procura di Roma "lista degli stupri” comparsa nei giorni scorsi nei bagni del liceo romano Giulio Cesare. Al momento il reato ipotizzato è istigazione a delinquere finalizzata alla violenza sessuale. Andrea, una delle studentesse del Giulio Cesare il cui nome era presente nella lista, al microfono di Mattia Guastafierro, ci racconta qual è il clima a scuola: “Ci sono stati dei precedenti, sicuramente non così gravi: stati bruciati dei cartelloni contro la violenza sulle donne nel bagno dei maschi, sono state strappate delle petizioni messe in bacheca per sensibilizzare alla violenza di genere. Purtroppo ci sono persone che hanno avuto un'educazione familiare estremamente poco consapevole di certe cose e purtroppo questa è la prova che un argomento così terribile come lo stupro possa essere utilizzato con leggerezza e, anzi, scritto su un muro di un bagno”. Inoltre, Andrea riconosce l'importanza dell'educazione sesso-affettiva nelle scuole: "Noi passiamo tantissime ore all'interno delle mura scolastiche e quindi deve essere la scuola a insegnare ed arrivare dove la famiglia magari non riesce. C'è molta disinformazione su quello di cui si tratta nell’educazione sessuo-affettiva: serve per insegnare il consenso, per conoscere se stessi senza paure, senza timori e stigmi sociali, per accettare ogni parte di sé. Facendo questo percorso dentro la scuola inevitabilmente la violenza di genere, e le violenze in generale, vengono arginate proprio perché la violenza parte da un'insicurezza. Se noi insegniamo che va bene averle, che queste si possono gestire, come gestire le relazioni, i conflitti ed educare al consenso, io credo che queste cose non succederebbero più. La scuola se ne deve far carico".

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