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Sean Penn e la resilienza dei profughi liberiani

Con una mano scrive di diritti umani, con l’altra incide parole di un amore complicato e impossibile. Sean Penn, in concorso a Cannes 69, con The Last Face porta un film complesso e importante per i temi che tocca e la documentazione raccolta. Se i suoi fan e critici, soprattutto italiani, non gli perdonano di aver ceduto a un romanticismo non totalmente gestito che coinvolge i due protagonisti Javier Bardem e Charlize Theron, bisogna riconoscere al regista di film fondamentali come Lupo solitario, La promessa, Into the Wild di aver cercato di portare sul grande schermo storie scomode e dimenticate come i massacri in Liberia e in Sierra Leone, le odissee dei profughi e la fatica dolorosa dei medici e delle Ong internazionali che cercano ogni giorno di salvare persone, vittime civili di guerre e dittature sanguinarie.

Miguel Leon è un chirurgo di Medici senza Frontiere, Wren Patersen una dottoressa che ha passato l’infanzia al fianco del padre nelle zone di guerra e ne ha seguito le tracce dopo la morte dirigendo un’organizzazione non governativa. Leon è presente sul campo, il suo aiuto è per pochi ma concreto, lei si batte perché sia la politica internazionale, guidata da Stati Uniti ed Europa a risolvere le tragedie umanitarie del mondo. La storia d’amore si colloca in questo contesto, tra le sabbie, i suoni e i colori dell’Africa. In mezzo ad arti mutilati, bambini feriti, donne moribonde. È ovvio che stride, come può stridere e risultare fuori luogo la legittima ricerca di bellezza dove c’è solo morte e sofferenza. Del resto Penn ci mette in guardia fin dall’inizio scrivendo che “noi occidentali non potremo mai capire la sofferenza di quei popoli e che i nostri conflitti più violenti riguardano le nostre storie d’amore”.

E forse è anche per questo che un po’ ingenuamente e sicuramente spinto dai produttori di Hollywood, ha pensato di poter attirare più pubblico con la coppia Bardem e Theron. Ma la vera potenza di questo film, al di là degli inserti romantici che rappresentano il sogno all’interno di quella cruda realtà, è l’indagine quasi analitica di una situazione insanabile, di cui Sean Penn da cittadino del primo mondo, si assume la propria responsabilità invitando tutti a prenderne atto. È il suo film più impegnato, che mette insieme il suo attivismo sociale e politico con la passione per il cinema. L’imperfezione di questo film ne è la prova più evidente.

Sean Penn ha raccontato a Cannes l’esperienza di lavorare a stretto contatto con la gente del luogo, condividendo il loro stato di resilienza e riuscendo ogni tanto a sorridere insieme. Inoltre, ha detto, il suo film è anche contro la colonizzazione culturale, motivo per cui ha scelto la musica africana per la colonna sonora e ancora una volta Eddie Vedder per alcune canzoni. “Il cinema americano ha dimenticato le tragedie mondiali per privilegiare il divertimento; con il mio film voglio portare sul grande schermo delle situazioni estreme, che in pochi conoscono davvero”.

Mandatory Credit: Photo by James Gourley/REX/Shutterstock (5689476t) Iggy Pop and Jim Jarmusch 'Gimme Danger' photocall, 69th Cannes Film Festival, France - 19 May 2016

 

Nella serata sulla Croisette che ha celebrato Iggy Pop e la sua storia musicale raccontata da Jim Jarmusch nel documentario Gimme Danger, è passato l’ultimo film italiano nella sezione Un Certain Regard. Pericle il Nero di Stefano Mordini, già uscito nelle sale italiane, è tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Ferrandino. Prodotto e interpretato da Riccardo Scamarcio, con la collaborazione dei fratelli Dardenne che hanno aiutato a spostare la storia da Napoli in Belgio, il film segue la trasformazione di Pericle Scalzone, sicario senza pietà del boss camorrista Don Luigi, che lo manda a comando a regolare i conti e che da un giorno all’altro deve scomparire dall’ambiente criminale per la condanna a morte lanciata dal clan su di lui. Un percorso e una ricerca di libertà, di fuga dall’inferno, raccontato in prima persona dal protagonista.

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    Barbara Sorrentini
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    "Aprire lo sguardo" (Garzanti) è un libro in cui Alessandra Mauro ha scelto 15 immagini che compongono un “mosaico visuale” dell'Italia. In una selezione di grande forza evocativa, sfilano volti, luoghi e momenti: dall’arresto Benito Mussolini, immortalato da Adolfo Porry-Pastorel nel 1915, ai ritratti di Wanda Wulz, ai manicomi documentati da Gianni Berengo Gardin nel 1968, fino alla fotografia di moda di Ferdinando Scianna e allo studio del tessuto urbano di Gabriele Basilico. L'intervista di Tiziana Ricci a Alessandra Mauro.

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