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17 milioni di spose bambine

La guerra ha reso ancora più profonda la piaga dei matrimoni precoci per le bambine e le ragazzine siriane. Non solo in Siria ma anche all’interno delle comunità siriane ospitate nei paesi vicini. Quello dei matrimoni precoci però non è un problema siriano, è un problema che interessa anche molti altri paesi.

Suhad Ahmed Ali, una sociologa giordana che segue diversi progetti di assistenza alle categorie più disagiate, si occupa anche di prevenzione dei matrimoni precoci. In questi giorni è stata in Italia ospite della ong Terre des Hommes, con la quale collabora in Giordania dal 2005.

Questo il documentario sulle spose bambine in Giordania, Palestina e Siria realizzato da Terre des Hommes Italia

Tra le altre cose Suhad Ahmed Ali è General Manager della Soldier’s Family Walfare Society, un’associazione nata per assistere le famiglie povere dei soldati giordani. Le abbiamo chiesto di spiegarci come sia possibile evitare che le bambine siano costrette a sposarsi.

Quanto è profondo il problema dei matrimoni precoci nel mondo arabo?

Innanzitutto quello dei matrimoni precoci non è un problema dei paesi arabi, è un problema del mondo intero. Ogni anno nel mondo sono costrette a sposarsi 17 milioni di donne, di ragazzine, sotto i 18 anni. Se ci pensate è un numero impressionante. Nel mio paese, la Giordania, si sposa prima dei 18 anni quasi il 20% delle donne. All’interno della comunità siriana ospitata in Siria invece la percentuale è in continuo aumento, anno dopo anno: nel 2012 era il 18%, l’anno dopo era già al 25%, e nel 2015, l’ultimo dato disponibile, eravamo al 35%. Il fenomeno è sempre più grave. Come prima cosa dobbiamo riuscire a fermare questa tendenza.

Per quale motivo questo aumento nella comunità siriana?

Qui sono centrali la questione economica e la questione sicurezza. Le famiglie siriane hanno fatto ricorso sempre più spesso ai matrimoni precoci per le loro figlie perché non sono più in grado di mantenerle, per evitare che sposino altri uomini, oppure per garantirle un futuro fuori dalla guerra.

Come è possibile fare prevenzione e fermare questo fenomeno?

In questo momento la cosa più importante è creare consapevolezza. Far capire alla società giordana che c’è un problema di questo tipo. Abbiamo fatto una serie d’incontri e abbiamo prodotto un breve filmato, che abbiamo proiettato in diciassette governatorati. Questo spiegare alla gente quali siano le conseguenze di un matrimonio precoce, per le singole comunità e ovviamente per le donne, le ragazze, che ne sono protagoniste.

E qual è stata la risposta? Come rispondono le donne e come reagisce la società?

Non è facile rispondere. Anzi, la risposta sta nel fatto che ai nostri incontri partecipano quasi solo donne. Non ci sono uomini. Ma per affrontare e risolvere il problema dei matrimoni precoci dovremmo riuscire a parlare con gli uomini. Altrimenti non ne veniamo a capo. Le donne ci raccontano sempre che non sono assolutamente felici di essersi sposate presto. Odiano questa pratica, ma vengono forzate dalla loro famiglia e dalla loro stessa comunità di riferimento. Spero che presto saremo in grado di coinvolgere anche gli uomini, è un passaggio indispensabile senza il quale non possiamo essere efficaci.

Quindi siamo ancora alle prime mosse di questa campagna, giusto?

Certo, abbiamo ancora molto, moltissimo lavoro da fare. Dobbiamo sensibilizzare tutta la società e dobbiamo fare in modo che la società si assuma le sue responsabilità.

Ci racconta una storia rappresentativa in grado di spiegare cosa sia un matrimonio precoce?

Certo, ci sono molte storie. Vi racconto quella di Fatima, una donna siriana che si sposò a 12 anni e che allora, ci ha raccontato, non aveva idea di cosa fosse un matrimonio. Suo marito ha sempre mantenuto una posizione dominante. Lei non ha mai potuto prendere una decisione. Ma la cosa più forte, che è anche la cosa più rappresentativa, è che è stata la sua stessa famiglia a forzarla al matrimonio. Da allora Fatima, che oggi ha 28 anni, si è sentita spogliata di tutto, anche della sua stessa personalità. Fatima è venuta nella nostra clinica per un aborto spontaneo alla sua settima gravidanza. Ha già sei figli, dai due ai dieci anni. I medici le hanno consigliato di usare degli anticoncezionali, ma lei ha risposto che suo marito non lo avrebbe mai accettato. Ancora una volta non ha potuto prendere una decisione. Nella condizione di Fatima ci sono moltissime altre donne.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    L’Europa e il bellicismo crescente delle sue classi dirigenti. L’ultimo caso, quello dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone e la postura aggressiva che dovrebbe tenere la Nato. Cosa possono fare il pensiero e la cultura della pace per contrastare l’escalation bellicista e la normalizzazione della violenza? Le risposte possono non essere quelle consuete, soprattutto perché in Occidente stiamo assistendo ad un cambio delle coordinate geopolitiche costruite negli ultimi ottant’anni. Un esempio. Il settimanale «The Economist» ha scritto nella sua rubrica di geopolitica «The Telegram» apparsa oggi sulle pagine online: «In Europa le preoccupazioni per l’inaffidabilità dell’America sotto Donald Trump stanno lasciando il posto a un timore più grande: che, pur presentandosi come il campione della civiltà occidentale, egli consideri ormai le democrazie occidentali reali come avversarie. “Nella Washington di oggi” - scrive il nostro editorialista di The Telegram - l’Europa “è spesso descritta con maggiore disprezzo rispetto alla Cina o alla Russia”. Pubblica oggi ha ospitato Donatella Della Porta, scienziata della politica, e Agostino Giovagnoli, storico.

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