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Una sfida nazionale

Il ballottaggio di Bologna è tra quelli che hanno destato meno interesse a livello nazionale.

Si pensa che, nel capoluogo dell’Emilia Romagna, la sfida tra un sindaco ricandidato del Pd e una leghista lanciata da Matteo Salvini sia abbastanza prevedibile.

E invece il ballottaggio sotto le due Torri ha molto da dire anche alla politica nazionale.

Quella tra Virginio Merola e Lucia Borgonzoni è una sfida nella quale saranno centrali i voti del M5S che a Bologna è arrivato terzo, certificando però un’ascesa notevole dei grillini. Il M5S a Bologna cresce e quasi raddoppia rispetto alle ultime amministrative mentre tutti gli altri partiti cedono voti.

Dove finiranno questi voti, visto che non sono arrivate indicazioni?

Di sicuro si può dire che esistono due tensioni: quella che porterebbe a indirizzarsi verso Borgonzoni per contribuire a dare una spallata anche a livello nazionale (con Roma e Torino); e invece quella che porterebbe a votare Merola perché i grillini a Bologna hanno una matrice originaria di sinistra e perché con la vittoria del sindaco Pd in consiglio comunale entrerebbe un grillino in più (l’argomento è stato sottolineato dall’ex candidato sindaco in questi giorni).

Secondo Marco Valbruzzi dell’Istituto Cattaneo la maggioranza degli elettori del M5S che andrà a votare lo farà per Merola, che ieri sera ha chiuso la sua campagna elettorale in una piazza fuori dal centro ma molto significativa per la storia del partito che rappresenta: piazza dell’Unità in Bolognina, quella della svolta dell’89.

Il sindaco ha chiuso con un discorso in tanti punti anti-Lega, evocando il cuore di una città di sinistra che è accogliente e che mette al primo posto le sfide dell’integrazione e della convivenza. Ha ricordato la deputata britannica Jo Cox uccisa tragicamente e ha detto: “Abbiamo diritto alla felicità”, indicando in un possibile governo della Lega un periodo di oscurantismo e declino.

Merola è un politico affezionato alla formula del centro-sinistra ma a Bologna l’alchimia si è rotta in questi anni e la lista a sinistra del Pd, Coalizione Civica, ha raccolto un ottimo 7 per cento e non ha dato indicazioni di voto. Il sindaco si è insomma giocato la carta identitaria, anche se “la Lucia”, come la chiama Salvini, è stata una sfidante decisamente trasversale (l’ha certificato anche l’analisi dei flussi elettorali), capace di agguantare voti in fuga anche dal Pd. Nonostante la presenza continua del leader della Lega a Bologna (con relativi scontri), Lucia Borgonzoni ha passato il suo tempo elettorale a togliersi l’aspetto di leghista estremista, puntando molto sul buon governo leghista in campo amministrativo e ispirandosi al sindaco di Padova Massimo Bitonci, che ha strappato la città al centro-sinistra e figura come uno dei sindaci più amati d’Italia.

Lucia Borgonzoni
Lucia Borgonzoni

Se vincesse la Lega – la coalizione di centro-destra è unita ma è il Carroccio a farla da padrone – sarebbe un risultato clamoroso. Dalle parti del Pd c’è un cauto ottimismo, anche se la campagna di questi quindici giorni è stata improntata a ricucire il rapporto con i cittadini. Il segretario provinciale dei democratici ieri ha scritto: “Vi chiedo con umiltà di votare Virginio Merola”. Un sindaco ricandidato che chiede di finire le cose che ha iniziato perché “da troppi anni Bologna non ha continuità dal punto di vista amministrativo”.

Merola conta sul buon governo di cinque anni, in cui solo un marziano potrebbe dire che non sono state fatte scelte importanti come la pedonalizzazione del centro e la gestione di un bilancio che ha i conti in ordine e addirittura un tesoretto da 19 milioni di euro.

Ma la leghista che a vent’anni faceva la barista al centro sociale Link (difficile per un giovane bolognese di qualsiasi connotazione politica non averli frequentati) è li che tallona. Ha anche prudentemente messo da parte la questione dell’omofobia di cui è accusato il suo partito e ha detto che celebrerà le unioni civili “anche se quella è una legge che lo stesso mondo gay non ama”. Merola vorrebbe essere il primo sindaco a unire civilmente una coppia dello stesso sesso; era stato uno dei primi d’altronde a porre la questione della trascrizione delle nozze all’estero, ingaggiando una battaglia col ministro Alfano.

Una sfida tutt’altro che banale in una città che tra poche ore conoscerà il suo destino.

 

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    Giusi Marcante
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    Nel cinquantenario della morte di Šostakovič il Teatro alla Scala inaugura la Stagione con il suo capolavoro Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, tratto dal racconto di Nikolaj Leskov in cui una giovane sposa con la complicità dell’amante uccide il marito e il tirannico suocero, ma viene scoperta e finisce per suicidarsi in Siberia, tradita da tutti. Dopo il debutto a San Pietroburgo, l’opera, che avrebbe dovuto essere il primo capitolo di una trilogia sulla condizione della donna in Russia, ebbe enorme successo in patria e all’estero. Stalin assistette a una rappresentazione a Mosca nel 1936; due giorni dopo apparve sulla Pravda la celebre stroncatura dal titolo “Caos invece di musica” con cui il regime metteva all’indice l’opera e il compositore. Anni dopo Šostakovič preparò una nuova versione che andò in scena a Mosca nel 1963 con il titolo Katarina Izmajlova, dopo che il sovrintendente Ghiringhelli aveva invano cercato di ottenerne la prima per la Scala. Oggi il Teatro presenta la versione del 1934 con la direzione del M° Chailly e il debutto del regista Vasily Barkhatov. Ascolta Riccardo Chailly nella presentazione dell’opera.

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