Questa mattina Trump e Xi Jinping si sono incontrati in Corea del Sud. L’incontro era l’evento più atteso della settimana, del viaggio in Asia del presidente statunitense, ed era guardato con grande attenzione da tutto il mondo, nel contesto della crescente instabilità dell’economia mondiale. I due leader hanno effettivamente trovato un accordo.
L’accordo mette fine a mesi di scontro commerciale e politico tra Stati Uniti e Cina. La Cina acconsente a sospendere, per un anno, i limiti posti alle esportazioni di minerali rari, di cui è in larga parte detentrice e che sono fondamentali per la produzione di molte cose: dai cellulari ai computer, fino alle armi. Inoltre, la Cina promette di fare di più per bloccare il flusso di componenti che poi servono a produrre il fentanyl e di aumentare i suoi acquisti di soia. In cambio, gli Stati Uniti si impegnano a far scendere al 10 per cento — dall’attuale 20 — i dazi che, a inizio anno, Trump aveva imposto proprio per la questione del fentanyl. Gli Stati Uniti si impegnano anche a una sospensione delle tasse portuali sulle navi cinesi e al rinvio dei controlli sulle esportazioni statunitensi che avrebbero impedito a un certo numero di aziende cinesi di accedere alla tecnologia americana. Durante l’incontro, Trump si è mostrato cordiale, in certi momenti addirittura entusiasta: ha chiamato il presidente Xi Jinping “un mio amico”, “un grande leader di un grande Paese” e ha definito “fantastiche” le relazioni tra Stati Uniti e Cina. Glaciale, invece, Xi Jinping che, almeno in conferenza stampa, ha parlato pochissimo e ha anche avuto una battuta di rivalsa nei confronti di Trump, quando gli ha ricordato come le recenti giravolte nei rapporti con la Cina — dazi, sanzioni, eccetera — non siano servite. Trump torna a Washington con quello che definisce un grande successo, una vittoria per le aziende e gli agricoltori americani. Dovendosi dare un voto da 0 a 10, ha detto che si darebbe 12. Ora, sicuramente l’intesa porta all’auspicata stabilizzazione nei rapporti commerciali tra Cina e Stati Uniti. Ma è altrettanto indubbio che sia Xi Jinping a uscire vincitore dallo scontro di questi mesi. Usando il quasi monopolio sui minerali rari e la leva degli acquisti di soia, la Cina ha costretto Trump a tornare praticamente alla situazione pre-scontro, senza aver risolto nessuno dei problemi per cui i dazi erano stati imposti: dalle strategie commerciali — diciamo così — spericolate della Cina, all’afflusso di fentanyl.
Dopo una pausa di oltre trent’anni, gli Stati Uniti riprendono i test nucleari. L’annuncio è stato fatto dallo stesso Trump, che su Truth Social ha scritto: “A causa dei programmi di test di altri Paesi, ho incaricato il Dipartimento della Guerra di iniziare a testare le nostre armi nucleari su base paritaria”. Non è chiarissimo cosa significhi “su base paritaria”: potrebbe voler dire che i test nucleari americani saranno proporzionali a quelli degli altri Paesi; oppure che, avendo gli Stati Uniti il più potente arsenale nucleare al mondo, ci si limiterà a dichiarare la potenza delle armi. In ogni caso, la cosa piuttosto certa è che l’annuncio è arrivato dopo che la Russia ha dichiarato di aver condotto, questa settimana, i test di un missile con capacità nucleare e di un drone marino. Tra l’altro, durante l’incontro di ieri, Trump ha voluto rassicurare Xi Jinping sul fatto che la decisione non è rivolta contro la Cina. La decisione, comunque, oltre ad alimentare le tensioni internazionali, testimonia la volubilità della strategia internazionale di Trump. Fino a qualche giorno fa, Putin era suo grande amico; oggi, invece, riprendono i test nucleari in funzione anti-russa. È una volubilità, quella di Trump, che a sua volta alimenta tensioni e incertezze internazionali.


