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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Domare “l’elefante nero” con il pensiero tibetano

Dejanira Bada è tante cose: una scrittrice, una giornalista, un’appassionata di musica, un’insegnante di mindfulness e un’esperta di pensiero tibetano. Non necessariamente in quest’ordine. E infatti è dalla fine che voglio partire, che poi è anche l’inizio parafrasando Terzani, e cioè dalla sua grande conoscenza delle filosofie orientali, con un occhio particolare a quel paese misterioso e magico chiamato Tibet. Patria del Dalai Lama ed esempio per tanti ribelli spirituali che negli anni hanno urlato a gran voce”Tibet libero”. Già perché tecnicamente la nazione tibetana nemmeno esisterebbe, ingiustamente annessa alla Cina un bel po’ di tempo fa. Un massacro culturale di inaudita bestialità e ferocia avvenuto perlopiù nell’indifferenza generale.
Dejanira col suo stile colloquiale, asciutto, da chi ha “il senso della frase” – come avrebbe detto il buon vecchio Andrea G Pinketts che della Bada era buon amico – ci racconta però un altro aspetto del Tibet, decisamente più articolato e spirituale.
Sto parlando del lungo percorso tibetano finalizzato a domare l’elefante nero, cioè la nostra mente, che se viene lasciato libero si può imbizzarrire e distruggere ogni cosa, ma se addomesticato può diventare un inseparabile amico che può dare un gran bel aiuto.
Quello che Dejanira ci racconta nel suo libro “Il pensiero tibetano: Comprendere la via buddhista alla pace della mente” (Giunti)
è un percorso liquido, pagine da sorseggiare ad occhi chiusi e mente aperta, dentro una saggezza antica che ha ancora tanto da insegnarci.
Pagine che non sono solo pagine ma, a modo loro, diventano occasioni per cambiare prospettiva e prendere coscienza di come cavalcare la vita con la sicurezza di chi non è finito schiacciato dall’elefante ma, al contrario, ha saputo viaggiare comodamente seduto sul suo possente dorso.
Dejanira giura che è possibile. Perché non crederle?
E comunque… Tibet libero!

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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L'Ambrosiano

Filastrocche

Luigi Sailer pubblicò nel 1865 “L’arpa della fanciullezza” raccolta per bambini. Una, “La farfalletta” conosciuta come “La vispa Teresa”, gli diede fama. Sailer dedicò la poesia a una principessina di Savoia-Carignano ritenuta «bambina incorreggibile perché mal avvezza». Trilussa ne fece un seguito. La filastrocca viene in mente nel leggere le reazioni della Premier Meloni alla sentenza di Catania che riconosce i diritti dell’uomo-migrante.

La vispa Meloni
avea tra le dita
d’un giudice attento
sentenza inaudita.

Da madre basita
sui media accanita
gridava d’un botto:
«È tutto un complotto!

Eletti siam stati
a gran maggioranza;
diritto s’inchini:
la destra sovranza!»

Ma a lei rispondendo
magistrato obiettò:
«Le leggi applicando
che male ti fò?

Tu sì mi fai male
col telegiornale.

Deh, lasciami! Anch’io
son figlio di Dio!

Giustizia m’è cara
con leggi corrette;
ma se uno le spara
ragione dismette,

poi grida “congiura!”:
che sia una stortura
non posso tacere,
bocciare è dovere».

Confusa, stizzita,
Meloni arrossì,
la mente rapita
dal Palazzo sortì

capro espiatorio
cercando affannata:
la nuova puntata
d’un modo pretorio.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Appunti sulla mondialità

I minerali emersi dagli abissi

Il primo dicembre 1959 a Washington i rappresentanti di 19 Stati firmavano il Trattato Antartico, che regolava le attività sul continente bianco, vietando ad esempio lo sfruttamento economico e la creazione di basi militari e arsenali. Anche se diversi Paesi vi hanno costruito basi permanenti, l’Antartide è tuttora considerato un bene comune dell’umanità e, di conseguenza, nel continente sono autorizzate solo attività scientifiche. In questi anni si sta tentando di raggiungere un risultato simile al Trattato Antartico con i fondali sottomarini che sono situati fuori dalla giurisdizione degli Stati, così da impedirne lo sfruttamento minerario. Equivalgono al 60% dell’estensione totale degli oceani e fanno sempre più gola per la loro ricchezza di minerali e terre rare, presenti in quantità superiore a quanto estratto in tutta la storia dell’industria mineraria. I giacimenti si trovano quasi sempre a grandi profondità, ma l’innovazione tecnologica li rende ogni giorno più a portata di mano. Anzi, già oggi si sta iniziando a raccogliere croste ricche di cobalto, solfuri polimetallici e soprattutto noduli polimetallici, cioè concrezioni delle dimensioni di una palla da baseball che contengono manganese, ferro, rame, nichel e terre rare. L’estrazione avviene con giganteschi aspiratori che portano in superficie tutto ciò che riescono a risucchiare dai fondali, biodiversità compresa. Una società canadese, The Metals Company, ha annunciato che già nel 2024 darà il via all’estrazione di noduli dalle profondità del Pacifico.

L’autorità ONU che sta discutendo come regolamentare queste attività è l’ISA (International Seabed Authority), con sede a Kingston, in Giamaica. L’ISA venne delegata a gestire le questioni minerarie nel 1982 dalla Convenzione ONU sul Diritto del Mare (Unclos), che regola lo sfruttamento e la tutela degli oceani. Divenuta operativa nel 1994, conta 167 Stati aderenti più la UE; è governata da un Consiglio formato da 36 Paesi e da un gruppo di esperti che rilascia i permessi di sfruttamento, 31 finora. Attorno a questa agenzia dell’ONU si concentrano ultimamente molti interessi contrastanti. In teoria, i profitti del ricavato dalle attività minerarie in acque non territoriali dovrebbero essere redistribuiti tra “l’intera umanità”, idea che è ovviamente osteggiata dalle grandi compagnie multinazionali minerarie. D’altra parte, la campagna lanciata da WWF e Greenpeace per difendere i fondali trova la simpatia di diversi gruppi industriali che fanno largo uso di metalli, ma anche dal gigante del web Google. Tutti temono la perdita di biodiversità legata allo sfruttamento dei fondali in una situazione da Far West, senza regole né freni. Per questo l’ISA viene sollecitata anche da diversi Stati europei, capeggiati da Germania e Francia, affinché stabilisca regole definitive per le attività di deep sea mining. Non tutti i Paesi sono però concordi. Gli Stati Uniti, che non hanno mai aderito all’Unclos e nell’ISA sono solo osservatori, non si sbilanciano sulle concessioni minerarie. La Cina attualmente è il paese che ha ottenuto più licenze di sfruttamento minerario oceanico da parte dell’ISA, insieme alla Russia e alla Norvegia, che da parte sua ha autorizzato estrazioni nell’Artico.
Nell’incertezza giuridica circa un bene comune dell’umanità, ancora una volta, anziché ripensare un modello di sviluppo che continua a consumare risorse non rinnovabili senza preoccuparsi delle ricadute ambientali, si fa melina, per lasciare aperti quegli spazi all’attività estrattiva che già sulla terraferma ha causato danni giganteschi.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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L'Ambrosiano

Giorgio & Giorgia

La morte di Giorgio Napolitano ha rivelato l’imbarazzo di Giorgia Meloni e dei suoi. Da Italia e mondo venivano apprezzamenti per la persona e l’uomo delle istituzioni. Da Palazzo Chigi un gelido cordoglio. La postuma riparazione ha reso più evidenti le distanze tra culture, storie, far politica e vivere la cosa pubblica, etica individuale e pubblica, rapporto col divino. Giorgio e Giorgia: accostamento strambo, obbligato per capire quanto accade in Italia, nelle relazioni internazionali e cercar rimedi. A Capo dello Stato Napolitano è giunto dopo aver fatto i conti con scelte personali e del suo partito, critica di ideali originari, trasformazioni del Paese, nuovi equilibri mondiali, tipi di sviluppo. Meloni non ha fatto passaggi autocritici umani, culturali, politici. A Palazzo Chigi l’han portata disaffezione verso partiti e disfunzionalità istituzionali, coerenza sua nello stare all’opposizione così che emergessero insuccesso di esecutivi precedenti e bisogno di cambiare, slogan mirati alla pancia della gente (immigrati, accise, Europa, atlantismo). Ma Giorgia e i suoi non hanno elaborato lutti, né revisioni; han bollato il fascismo, non visto i nessi con nazifascismo, Salò, Msi, frange eversive vicine alla fiamma tricolore. Han nutrito e portato con sé nostalgie, rancori, rivalse. Crisi mal gestite da figli e nipoti della Liberazione e mancate riforme han così consegnato il Paese agli ex missini, complici astensionismo, delusioni, ingiustizie sociali. Giorgia da animale politico ha intuito fragilità sua e del successo d’un anno fa. Giorgio morendo glie l’ha buttata in faccia con la memoria del 2013: lui menava fendenti ai parlamentari che l’avevano ricostretto al Colle non facendo le riforme e loro si spellavano le mani in applausi. Ipocrisia e incapacità di cui Napolitano prese atto due anni dopo: si dimise. Giorgia ora ha la maggioranza ampia, ma che riforme farà alleata con chi equipara nazisti invasori e migranti? L’ombra di Giorgio coi resistenti (da lui amati e citati) messi a morte dai nazifascisti aleggia sul Parlamento: «La politica e la cosa pubblica siamo noi stessi». Cosa altra da presidenzialismo, autonomia, decreti sicurezza, Europa prêt-à-porter di Giorgia e dei suoi.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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L'Ambrosiano

La disfida di Pontida

Da un immaginario Corriere dei Piccoli o da un foglio volante tipo fiera di paese traiamo le strofette d’un’avventura i cui riferimenti alla realtà non sono affatto casuali. Il lettore potrà divertirsi a fantasticare le scene con personaggi, luoghi e fatti corrispondenti, magari a disegnarle. È un’operazione che si può far rientrare nella serie delle “storie che curano”.

Sul pratone di Pontida
è partita la disfida
tra la Lega di Salvini
e gli eredi dei missini.

In Francia il verde caudillo
prende a prestito il vessillo:
bionda, agé, un po’ guascona
per Matteo l’è propri bona;

con lui, lei e i primatisti
a braccetto ai neo nazisti
su Bruxelles sarà bandiera
d’un’Europa nera nera.

«Se lo tolga dalla testa»,
Giorgia attacca lancia in resta:
donna, madre e pur cristiana
ce l’ha lei la durlindana.

Come fosse una crociata
con un’Ursula svagata
vola lesta a Lampedusa:
volto arcigno, un po’ Medusa.

«Quando c’era lui, Salvini,
puff: via tutti i clandestini»
duri sfotton dal Carroccio:
«Cara Giorgia cambia approccio!».

La premier, piccata, in fretta,
la tv a far trombetta
decreti vara, minacciosi:
tanto lei c’ha Piantedosi.

Nove mesi alle elezioni
della destra ‘sti campioni
già in campagna a piene mani
fanno fessi gli italiani!

Riprendiamoci il futuro;
su scriviam sopra ogni muro:
giustizia, cure, libertà,
democrazia, fraternità!

  • Marco Garzonio

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    Le donne nella musica hanno costantemente sfidato difficoltà e infranto barriere, hanno lottato attraverso esperienze potenti e stimolanti e conquiste significative, spesso in un modo fatto e gestito dagli uomini. Le loro vite, le storie complesse, le loro canzoni e le esibizioni hanno contribuito in modo determinante alla storia della musica e all’emancipazione femminile. C'è ancora molta strada da fare per le donne nell'industria musicale, ma è un motivo in più per celebrare le pioniere, le portatrici di cambiamento e le donne che con la loro determinazione, libertà, nonostante le difficoltà e le tragedie e tormenti personali hanno sfidato le aspettative, il sessismo la misoginia e le avversità nel corso della loro carriera musicale. La protagonista di questa puntata è Cat Power. Scritto e condotto da Elisa Graci.

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