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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Gli ultimi giorni di Jim Morrison a Parigi in un libro

Da qualche settimana è stato pubblicato in Italia un libro che sta facendo parecchio discutere. Sto parlando di “Jim Morrison – Ultimi Giorni a Parigi” di Hervé Muller, noto giornalista musicale francese che frequentò parecchio Morrison negli ultimi mesi della sua vita. Se un briciolo di verità sulla morte del Re Lucertola negli anni è venuto fuori è proprio grazie all’indagine che Muller realizzerà poche settimane dopo la scomparsa del frontman dei Doors. Un’indagine che lo vedrà parlare con testimoni affidabili e inaffidabili, spacciatori e tagliagole, e che racconterà poi nel suo libro. Un libro potente, visionario, che prima analizza la vita di Jim, la condisce con succose curiosità, ne sviscera influenze letterarie e contesti culturali, soffermandosi su un’esistenza consumata a cento allora e su alcuni aspetti solitamente tralasciati. E poi, una volta ben rosolati al fuoco lento della visione, ci porta nella Parigi del 1971, aprendo lo scatolone dei ricordi personali della sua frequentazione con il Re Lucertola, fino all’oscura indagine successiva alla sua misteriosa morte.
Strana figura Hervé Muller, scomparso un paio di anni fa dopo una vita abbastanza incasinata, fra problemi di salute, centri per i disturbi mentali e tanta, ma tanta musica. E strano è anche come sono entrato in contatto con questo libro. E dico strano per non dire profetico.
Era il 21 gennaio del 2023 ed ero appena uscito dal Père-Lachaise con mia moglie Daria, emozionato dopo una lunga visita alla tomba di Jim. Mentre ci dirigevamo di buon passo verso l’uscita del cimitero, Daria candidamente mi disse: “Dirigi la collana musicale del Castello ormai da tre anni, e non avete ancora fatto niente su Jim, mi sembra impossibile”.
Sorrisi, quasi con supponenza. Morrison è stato, insieme a Marley, la mia più grande influenza culturale, era ovvio che ci avessi pensato ma se non lo avevo fatto c’era una ragione.
“Il punto è” le risposi “che ormai su Jim è stato pubblicato di tutto, a cosa serve un altro il libro di qualcuno che magari è nato dopo che lui è morto? A cosa servono i bla bla bla di gente che non l’ha mai conosciuto? C’è solo un titolo che pubblicherei ma…”
“E quale sarebbe?” chiese incuriosita Daria.
“Quello di Hervé Muller, ma è impossibile”.
“E chi è?”
“Un giornalista francese amico di Jim, con lui a Parigi negli ultimi mesi. Scrisse un libro nel 1973, che poi aggiornò a inizio anni Novanta, e fu grazie alla minuziosa indagine riportata sulle sue pagine che si scoprì che Jim probabilmente non era morto nella famosa vasca di casa ma al locale Rock ‘n’ roll Circus.”
“E perché non ne prendi i diritti e lo pubblichi, come fate di solito coi libri dall’estero?”
“Perché dopo la pubblicazione, Hervé ha avuto problemi personali seri, è diventato un accumulatore compulsivo, la sorella ha cercato addirittura di farlo internare, anzi mi pare che per un periodo ci sia pure riuscita; inoltre si è ammalato di fibromialgia e, travolto da tutti questi problemi, si è dato alla macchia e non ha autorizzato più ulteriori pubblicazioni del libro, che è sparito dagli scaffali.”
Soddisfatta la sua curiosità femminile, mia moglie cambiò discorso e continuammo la nostra passeggiata per Parigi, fino alla metro, diretti a Montparnasse a cercare la casa di Modigliani. E fu lì, a pochi passi dalla Rotonde, dove Pablo, Amedeo e gli altri si riunivano a bivaccare, che vidi, ve lo giuro, l’edizione francese del libro di Hervé Muller in vetrina! Entrai di corsa e chiesi lumi alla libraia. Mi disse che era uscito da pochi giorni! In tempo zero lo comprai, rintracciai l’editore francese e ne trattai immediatamente l’acquisto per il mercato italiano. A quanto capii dalla spiegazione che mi diedero al telefono in un inglese stentato, dopo la morte di Hervé, avvenuta nel 2021, la sorella aveva autorizzato una nuova release del libro, con il testo che era finalmente tornato nelle librerie francesi.
A volte le cose capitano così: giochi dell’universo capaci di togliere il fiato.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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L'Ambrosiano

Piazze, teatri, cittadini

Roma, piazza San Giovanni: in duecentomila sono accorsi per ritrovare “la via maestra” della Costituzione; tutt’Italia: per la prima volta in 135 teatri contemporaneamente s’è condivisa la tragedia dei quasi duemila morti provocati a Longarone 60 anni fa da ingordigia di danaro, potere, latitanza di etica privata e pubblica. Tra sabato 7 e lunedì 9 una scossa ha attraversato il Paese, la democrazia ha battuto un colpo, è emersa dall’ottundimento, s’è ripresa spazi. L’Italia può non essere solo la Bestia social che cerca di distruggere una donna magistrato (Salvini avrebbe usato identico accanimento se a bocciare il decreto “pizzo di Stato” sui migranti il giudice fosse stato un maschio?), che punta a intimidire la Magistratura tutta; né può ridursi a una Premier che rifiuta il confronto e scarica sul CNEL il ruolo di killer del salario minimo. «Ci sono momenti in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un dovere, un imperativo etico. Sono qui con voi per proteggere la Costituzione, come cittadino, come italiano, come sacerdote»: dal palco della manifestazione di CGIL e di decine d’altre associazioni lo ha detto don Ciotti, il prete che vive sotto scorta per le battaglie antimafia di Libera, fondatore del Gruppo Abele da 40 anni al lavoro per «saldare l’accoglienza con la politica e la cultura». L’Italia c’è dunque, un’Italia della sorgività democratica (la Costituzione antifascista), della memoria (il Vajont archetipo di tutti i moniti), dell’attualità; un’Italia che torna a ritrovarsi, a scendere in piazza, a parlare di diritti civili e sociali, di bisogni che hanno nomi precisi: sanità pubblica (prevenzione, cura, medicina di base, sicurezza nei cantieri e nelle fabbriche), scuola, lavoro dignitoso e pagato il giusto, di casa (edilizia residenziale pubblica e alloggi per studenti), di salvaguardia del territorio, di giovani. Mario Apollonio definì il teatro «luogo dove si dispongono e si precorrono le partecipazioni attive». Il grande studioso di drammaturgia nel 1947 creò a Miano con Strehler e Grassi il Piccolo Teatro, motore civile e culturale della Ricostruzione. Teatri, piazze, cultura, socialità, arte ora come allora per una cittadinanza attiva ritrovata ed una nuova Italia.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

Le donne al lavoro meritano un Nobel

In questo inizio d’autunno che pare ancora estate e ci lascia addosso enormi inquietudini rarissime le buone notizie : una è sicuramente rappresentata dal poker di donne che si sono aggiudicate il Nobel – Narges Mohammadi (attivista iraniana, Nobel per la pace), Katalin Karikó (biochimica ungherese, per la medicina),  Anne L’Huillier (Nobel per la fisica)  e Claudia Goldin, ultima ad essere insignita per le sue ricerche economiche in materia di gender gap sul mercato del lavoro.

Un Nobel importante questo ultimo perché va ad una economista – ma anche storica e sociologa Goldin, nata 77 anni fa a New York, prima donna a insegnare Economia  ad Harvard – che  ha messo sotto la lente quell’affare complicato che è la partecipazione femminile al mercato del lavoro, e spiegando come la gara – se di gara si può parlare tra uomini e donne –  sia viziata da una molteplicità di fattori, alcuni dei quali inaspettati, che hanno come risultato non solo la sottorappresentazione delle donne sul mercato del lavoro, ma anche un divario di salario a loro sfavore. Goldin lo ha fatto con competenza di economista e piglio di storica analizzando 200 anni di dati statunitensi sulla partecipazione al mercato del lavoro, dando conto di un andamento non rettilineo e sconfiggendo l’idea che a crescita economica corrisponda automaticamente un dato in aumento di donne al lavoro. Ciò che Goldin ha dimostrato è che i cambiamenti della struttura produttiva nel tempo, le barriere legislative, la difficoltà maggiore o minore a conciliare i ruoli, l’effetto maternità in un’organizzazione del lavoro che premia la presenza più che il risultato, persino le aspettative personali e le scelte di istruzione sono tutti fattori che hanno pesato  e continuano  a pesare – variamente e a seconda dei periodi storici – sul lavoro delle donne e sulla retribuzione. Anche oggi, anche dopo la pillola anticoncezionale che consente di controllare la riproduzione, e anche in quei paesi ad alto reddito in cui ormai le donne studiano più e meglio degli uomini ma, a distanza di qualche anno dall’ingresso nel mondo del lavoro, si ritrovano più indietro nei percorsi di carriera.

Che l’accademia svedese abbia riconosciuto l’enorme valore per la collettività della ricerca di Goldin sul gender gap è bello e importante. Ancora di più che lo abbia declinato al futuro: “Grazie alla ricerca innovativa di Claudia Goldin, ora sappiamo molto di più sui fattori sottostanti e sulle barriere che potrebbero essere affrontate in futuro», ha dichiarato Jakob Svensson, presidente del comitato che conferisce il Nobel per l’Economia. Speriamo non sia un condizionale: gli ostacoli non ‘potrebbero’, ma devono essere affrontati perché la gara di cui sopra non continui a vedere vincitori e vinte, ma sia, finalmente, una corsa equa. Per dare un numero, il Global gender gap report 2023  calcola che per raggiungere la parità di genere nel mondo ci vorranno ancora 131 anni. L’Italia sta peggio: nell’indice complessivo si trova al 79° posto ed ha perso 16 posizioni rispetto al Global gender gap report del 2022.

 

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Appunti sulla mondialità

Il presidente con il megafono

La presenza di Joe Biden a un picchetto di scioperanti dell’industria automobilistica del Michigan non rappresenta solo una “prima volta” per un presidente degli Stati Uniti, ma anche una sterzata epocale per i progressisti nel mondo. Con un gesto che ha sorpreso gli osservatori, Biden ha riportato il Partito Democratico ai valori di un tempo, quando era chiaro quale settore della società rappresentasse e quale fosse la sua visione della società e dell’economia. Dopo decenni di allineamento con le idee scaturite dalla famosa “terza via” di Tony Blair e Bill Clinton, e cioè assecondare le richieste di minore tassazione e di contenimento salariale avanzate dai grandi gruppi economici, Biden prende atto delle enormi distanze sociali che si sono create a causa di un mercato deregolamentato, nel quale l’accumulo di ricchezza è avvenuto solo per i ceti più alti. Da un lato imprese che hanno registrato profitti record, amministratori delegati che negli ultimi 5 anni hanno visto aumentare i loro stipendi del 40%, e dall’altro operai sempre più poveri, con salari congelati e vittime dell’inflazione, che sta spingendo una vasta parte del ceto medio verso la povertà.

È la seconda ondata delle conseguenze della globalizzazione, che in un primo momento ha spostato posti di lavoro dall’Occidente all’Oriente in cerca di un minore costo del lavoro. Ora che le delocalizzazioni si sono fermate, si scopre che in Occidente non solo i lavoratori dell’industria sono notevolmente diminuiti, ma anche che quelli che hanno mantenuto un posto di lavoro sono scivolati nella povertà. La categoria dei lavoratori poveri, cioè le persone che non riescono a soddisfare i propri bisogni elementari malgrado abbiano un impiego, è apparsa per la prima volta in Occidente proprio negli Stati Uniti. Si trattava, in principio, di uomini e donne che svolgevano lavori non qualificati nella filiera dei servizi. Oggi però l’impoverimento è generalizzato. È come se si fosse rotto il patto sociale risalente al secondo dopoguerra, fondato su salari degni e un welfare di qualità. Questi ultimi anni hanno visto, invece, un veloce deterioramento sia dei servizi offerti dallo Stato sia dei salari, e non perché l’economia vada generalmente male. Semplicemente, l’accumulo di risorse al vertice della scala sociale è aumentato. La domanda che si sono posti gli scioperanti negli Stati Uniti è: per chi fabbrichiamo automobili, se noi stessi non possiamo più permettercele? Non è una domanda da poco, perché l’industrializzazione di massa dell’Occidente si sviluppò insieme al progressivo aumento del potere d’acquisto dei lavoratori. Lo stesso fenomeno si è verificato molto più recentemente in Cina, dove fin d’ora si pone la stessa questione. Se la crescita rallenta, la capacità di consumo interna ne soffre, e con essa interi comparti industriali dedicati a soddisfare le richieste dei ceti economicamente emergenti.

Questa situazione era stata letta finora solo con la lente del populismo di destra, che la attribuisce non alla grande sperequazione tra i ceti sociali e al mercato del lavoro, ma alla concorrenza di altri Paesi o degli immigrati. Donald Trump fece la sua fortuna elettorale nel 2016 dicendo di rappresentare i “bianchi impoveriti”, cioè il mondo operario colpito dalle delocalizzazioni. Oggi però è in imbarazzo perché lo sciopero del settore automobilistico porta alla luce problemi, come la concentrazione dei guadagni in poche mani, che un miliardario difficilmente riconoscerà. D’altra parte, Biden e i democratici dovranno fare molto di più di presenziare ai picchetti degli scioperanti. Andrebbero ridiscussi il salario minimo, le tutele, la tassazione dei profitti, gli investimenti industriali e sociali delle grandi multinazionali. Sicuramente, l’immagine del presidente democratico degli Stati Uniti col megafono in mano di fronte ai cancelli di una fabbrica entrerà nei libri di storia, perché segna un prima e un dopo nei processi di cambiamento che sta vivendo il mondo, in eterna transizione dalla fine della Guerra Fredda.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Domare “l’elefante nero” con il pensiero tibetano

Dejanira Bada è tante cose: una scrittrice, una giornalista, un’appassionata di musica, un’insegnante di mindfulness e un’esperta di pensiero tibetano. Non necessariamente in quest’ordine. E infatti è dalla fine che voglio partire, che poi è anche l’inizio parafrasando Terzani, e cioè dalla sua grande conoscenza delle filosofie orientali, con un occhio particolare a quel paese misterioso e magico chiamato Tibet. Patria del Dalai Lama ed esempio per tanti ribelli spirituali che negli anni hanno urlato a gran voce”Tibet libero”. Già perché tecnicamente la nazione tibetana nemmeno esisterebbe, ingiustamente annessa alla Cina un bel po’ di tempo fa. Un massacro culturale di inaudita bestialità e ferocia avvenuto perlopiù nell’indifferenza generale.
Dejanira col suo stile colloquiale, asciutto, da chi ha “il senso della frase” – come avrebbe detto il buon vecchio Andrea G Pinketts che della Bada era buon amico – ci racconta però un altro aspetto del Tibet, decisamente più articolato e spirituale.
Sto parlando del lungo percorso tibetano finalizzato a domare l’elefante nero, cioè la nostra mente, che se viene lasciato libero si può imbizzarrire e distruggere ogni cosa, ma se addomesticato può diventare un inseparabile amico che può dare un gran bel aiuto.
Quello che Dejanira ci racconta nel suo libro “Il pensiero tibetano: Comprendere la via buddhista alla pace della mente” (Giunti)
è un percorso liquido, pagine da sorseggiare ad occhi chiusi e mente aperta, dentro una saggezza antica che ha ancora tanto da insegnarci.
Pagine che non sono solo pagine ma, a modo loro, diventano occasioni per cambiare prospettiva e prendere coscienza di come cavalcare la vita con la sicurezza di chi non è finito schiacciato dall’elefante ma, al contrario, ha saputo viaggiare comodamente seduto sul suo possente dorso.
Dejanira giura che è possibile. Perché non crederle?
E comunque… Tibet libero!

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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    Senti un po’ è un programma della redazione musicale di Radio Popolare, curata e condotta da Niccolò Vecchia, che da vent’anni si occupa di novità musicali su queste frequenze. Ospiti, interviste, minilive, ma anche tanta tanta musica nuova. 50 minuti (circa…) con cui orientarsi tra le ultime uscite italiane e internazionali. Da ascoltare anche in Podcast (e su Spotify con le playlist della settimana). Senti un po’. Una trasmissione di Niccolò Vecchia In onda il sabato dalle 18.30 alle 19.30.

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    Ogni sabato, dalle 17.35 alle 18.30, musica, libri e spettacoli che ci aiutano a 'restare umani'. Guida spirituale della trasmissione: Fela.

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    I reportage e le inchieste di Radio Popolare Il lavoro degli inviati, corrispondenti e redattori di Radio Popolare e Popolare Network sulla società, la politica, gli avvenimenti internazionali, la cultura, la musica.

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    Radiografia Nera è il programma che racconta le storie di cronaca e banditi che, dal dopoguerra in poi, hanno reso Milano la Chicago d'Italia. Condotto da Matteo Liuzzi e Tommaso Bertelli per la regia di Francesco Tragni.

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    Psicoradio, avviata nel 2006 dalla collaborazione tra il Dipartimento di Salute Mentale di Bologna e Arte e Salute Onlus, è una testata radiofonica dedicata alla salute mentale. Include un corso triennale per utenti psichiatrici, guidato dalla prof. Cristina Lasagni, e una programmazione che esplora temi psicologici attraverso vari registri: poetico, informativo, ironico e autobiografico. Psicoradio ha realizzato oltre 220 trasmissioni nazionali, campagne di sensibilizzazione e convegni su temi di salute mentale.

    Psicoradio - 06-12-2025

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    Highlights di sabato 06/12/2025

    Puntata interamente dedicata al racconto della Cisgiordania, degli atleti e delle atlete palestinesi incontrate da un gruppo di politici italiani invitati dal comitato olimpico con sede a Ramallah. Ospite Mauro Berruto, deputato del Pd e coach di pallavolo.

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    Rotoclassica di sabato 06/12/2025

    Benvenuti a Rotoclassica, programma di attualità e di informazione dedicato alla musica classica, che nasce nel 1983 alla fine di una storia della musica iniziata nel lontano 1976, subito dopo la nascita della Radio. Notizie, personaggi, concerti, anniversari, eventi, dischi, libri, film ed altro ancora che danno vita all’universo musicale classico e contemporaneo, dal centro della galassia sino alle sue estreme periferie, con una rinnovata attenzione anche per il dietro le quinte. Ideata da Claudio Ricordi, impaginata e condotta dallo stesso Ricordi e da Carlo Centemeri, si avvale del prezioso contributo di Carlo Lanfossi, Francesca Mulas, Luca Chierici, Margherita Colombo e Emanuele Ferrari che formano attualmente la redazione di musica classica di Radio Popolare. Della storica redazione hanno fatto parte anche Ettore Napoli, Marco Ravasini, Pierfranco Vitale, Luca Gorla, Giulia Calenda, Sebastiano Cognolato, Vittorio Bianchi, Giovanni Chiodi, Michele Coralli, Roberto Festa, Francesco Rossi, Antonio Polignano. Siamo da sempre felici di accogliere qualsiasi tipo di critica, contributo o suggerimento dagli ascoltatori della radio, incluse segnalazioni di notizie, concerti e iniziative.

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    Chassis di sabato 06/12/2025

    "Chassis - Il contenitore di pellicole di Radio Popolare" è un programma radiofonico in onda dal 2002, dedicato al cinema. Ogni sabato offre un'ora di interviste con registi, attori, autori, e critici, alternando parole e musica per evocare emozioni e riflessioni cinematografiche. Include notizie sulle uscite settimanali, cronache dai festival e novità editoriali. La puntata si conclude con una canzone tratta da colonne sonore. In onda ogni sabato dalle 14:00 alle 15:00.

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    I girasoli di sabato 06/12/2025

    “I Girasoli” è la trasmissione di Radio Popolare dedicata all'arte e alla fotografia, condotta da Tiziana Ricci. Ogni sabato alle 13.15, il programma esplora eventi culturali, offre interviste ai protagonisti dell'arte, e fornisce approfondimenti sui critici e sui giovani talenti. L’obiettivo è rendere accessibile il significato delle opere e valutare la qualità culturale degli eventi, contrastando il proliferare di iniziative di scarso valore e valutando le polemiche sulla politica culturale.

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