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Mia cara Olympe

Israele e Palestina: il dialogo silenzioso di noi ammutoliti

Saltabeccando qua e là per la rete, tra news, social, eccetera mi sono imbattuta nel titolo bellissimo di un testo, sulla meditazione, di Chandra Livia Candiani: Il silenzio è cosa viva, recita, e per eterogenesi dei fini o per libera associazione, mi è sembrato insieme la descrizione e l’augurio migliore possibile, per noi ammutoliti da tutto ciò che accade, tra Israele e Palestina, dal 7 ottobre in avanti, ogni giorno.

Ammutoliti: non saprei come altro definire la condizione di tante e tanti ormai da quasi un mese mentre aumenta la dose  quotidiana di orrori che passa sotto i nostri occhi, tra il pogrom nei kibbutz del sud e i bombardamenti crudeli che martellano l’agonia di Gaza. Vorrei spiegarlo e spiegarmelo questo silenzio, che non è estraneità, tantomeno inconsapevolezza o lontananza, né – anche se qualcuno potrebbe così definirlo e sbaglierebbe – una equidistanza, termine che mi sembra così logoro e inadeguato da essere, nel tempo presente, inservibile. Da quasi un mese, in realtà, ci si sveglia e si va a dormire nell’ansia di sapere, di capire, di chiarire ragioni e torti dei tanti attori in campo a cominciare dai protagonisti  – ma già su questo c’è da discutere, parliamo di popoli o governi, e la distinzione vale egualmente per gli uni e per gli altri, per Netanyahu come per Hamas? – e, alla fine,  dal bisogno di non arrendersi all’orrore, e di contrastare quella che si potrebbe chiamare l’anestesia della tragedia.

Per rintracciare una delle ragioni dell’ammutolimento bisogna evocare la complessità, parola tanto vituperata da chi pensa che appellarvisi sia il modo vile di non schierarsi. Banale dire che questo è un conflitto in cui le ragioni delle parti  – storiche, politiche, culturali, economiche, militari, psicologiche –  costituiscono un groviglio in cui sciogliere un nodo sembra annodarne un altro. Banale ma tristemente vero: e ciò ci fa sentire sovrastati dalla complessità degli elementi in gioco, a chiederci di quanti difettiamo e se quelli siano o no decisivi per il formarsi di una nostra opinione. E così accade di sentirsi d’accordo con pezzi di ragionamento che vengono – lo dico per semplicità – dalle opposte fazioni senza però aderire allo schierarsi che sembra improprio, manchevole, e alla fine non ci corrisponde. E che fa profondo torto – almeno così ci sembra – alla nostra umanità, all’imperativo morale di non fare gerarchie, di guardare  al dolore degli altri, di tutti gli altri – Susan Sontag ce l’ha ricordato –  con decenza e con la coscienza di una distanza, noi che siamo al caldo delle nostre case.
Di tutto questo spero che sia vivo e brulicante il nostro silenzio, non solo dell’impotenza infinita che ci attanaglia, non solo della rimozione della questione israelo-palestinese che torna oggi a dirci quanto quell’atteggiamento sia stato miope e colpevole, ma dello sforzo di obbligarci a vedere e a capire ancora e ancora e di non derogare al senso dell’umano.

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Appunti sulla mondialità

Al ballottaggio in Argentina la sintesi dei populismi latinoamericani

 

Ancora una volta i sondaggi non hanno fotografato una situazione che è cambiata radicalmente negli ultimi 10 giorni della campagna elettorale. Il risultato del primo turno in Argentina ha dell’incredibile soltanto se analizzato con gli occhi di un anno fa. Nel frattempo l’opposizione di centrodestra si è lacerata per scegliere il candidato, con le due anime, quella liberale e quella radicale in lotta, mentre emergeva la figura bizzarra di Javier Milei, l’anarco-liberista che prometteva guerra alla casta e dollarizzazione dell’economia. Ma il dato meno analizzato è stato il passaggio a ministro dell’Economia di Sergio Massa nel luglio del 2022. Senza nessuna competenza in materia, l’avvocato Massa riuscì però nel suo piano di creare le condizioni per diventare candidato del peronismo contro il volere della stessa Cristina Kirchner. La sua arma è stata l’erogazione a pioggia di soldi, sovvenzioni, esenzioni fiscali e sanatorie. Tutto a debito, tutto a discapito della lotta all’inflazione che quest’anno ha toccato il 143%, senza nessuna incidenza sulla povertà, ormai attestata sulla soglia del 45% della popolazione. Soldi facili e subito. E nel paese dove quasi metà della popolazione dipende dallo Stato, sia come lavoratore, come pensionato o come percettore di aiuti, la campagna mediatica che puntava sulla paura che il candidato Milei togliesse questa pioggia di soldi è funzionata alla grande, anche perché Milei stesso confermava di volerlo fare.

Nel ballottaggio del 19 novembre si scontreranno quindi le due facce della stessa moneta, la sintesi dei populismi latinoamericani. Massa è il populismo progressista sulla carta, ma causa di povertà e inflazione e Milei il populismo di mercato, che ragiona su una società ideale molto lontana dalla realtà. Il populismo di chi dice con me sarai sempre povero ma ti darò una mano e quello di chi dice, ti devi arrangiare da solo perché soltanto nel libero mercato ti puoi realizzare. Sono posizioni estreme su temi universali che non trovano ovviamente una sintesi in paesi come l’Argentina che avrebbe invece bisogno di normalità. Per i moderati, la scelta da fare a novembre è ardua perché l’offerta è appunto radicale, ma anche per i progressisti o per i liberali che devono turarsi il naso e votare uno dei due candidati che agitano bandiere della destra o della sinistra senza però farne parte a pieno titolo. Si è sempre pensato che l’America latina fosse un laboratorio politico per l’Occidente, e se questo è vero, l’Argentina è il laboratorio dello scienziato pazzo, dove vengono preparate strane pozioni colorate e spumeggianti belle da vedersi, ma che alla fine non cambiano la realtà né guariscono nessuno.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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L'Ambrosiano

Dolore dell’altro, speranza

Sperare contro ogni evidenza. Bisogna sembrar folli, far cose diverse da ciò che altri s’aspettano, dal conformismo che ottunde, dalle simmetrie che innescano guerre, vedersi nell’altro; il mondo brucia, l’Italietta soffoca. Se prevale lo schema “noi siam buoni, bravi, giusti, amati da Dio; loro son cattivi, brutti, odiatori, dannati e se negli schieramenti non si distinguano carnefici e vittime, ci si distrugge tutti, si va a «rotolarsi nel fango» con la Premier che pensa di volare alto quando dice di risolver le cose e proietta su chi non la pensa come lei la causa dei guai, non vede le ombre nere a destra. Sperare contro ogni speranza, come le Madri di Women Wage Peace (“Le donne portano la pace”), dal 2014 (altra guerra di Gaza!) movimento che unisce israeliane, palestinesi, cristiane; dopo il 7 ottobre (una di loro è tra gli ostaggi, un’altra ha avuto il figlio ucciso da Hamas) han gridato: «fermatevi, la guerra non è la risposta». Sperare come il Patriarca latino di Gerusalemme Pizzaballa: s’è offerto in ostaggio al posto dei bambini israeliani rapiti, gesto un po’ silenziato: governi, terroristi, media amano più chi riduce Dio a idolo ergendosene a difensore; imbarazza invece chi segue Gesù: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv, 15, 13). Sperare, come Ami Ayalon, già capo dello Shin Bet, servizio segreto israeliano (beffato da Hamas: Netanyahu schierava i militari a proteggere i coloni che osteggiavano i palestinesi) che ha detto da Jacona: «Avremo sicurezza quando i palestinesi avranno speranza». Il Cardinal Martini, profeta dei giorni nostri, diceva: «Se ci sarà pace a Gerusalemme, ci sarà pace in tutto il mondo». Vedeva lontano lui. In Terra Santa Martini era vicino a Parents Circle-Families Forum di famiglie israeliane e palestinesi che persi i propri cari a causa del conflitto lavora a un processo di riconciliazione per raggiungere una pace duratura, bene che gli estremisti d’ogni parte aborrono. Raccomandava Martini: «Impariamo a guardare il dolore dell’altro». Vale per Israele, Palestina, tutto il mondo (Italia pure) dove si scagliano parole come pietre o si alzano spade contro l’altro, il fratello; si sfida la speranza.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

La love song più bella del mondo, quella capace di spiegare l’amore…

Qualche tempo fa un caro amico mi ha chiesto quale fosse, a mio parere, la canzone d’amore italiana più bella di sempre.
“Impossibile stabilirlo, è una cosa troppo soggettiva e influenzata da centinaia di insondabili fattori…” ho risposto ridendo, e pensavo di essermela cavata con una risposta abbastanza figa, da chi la sa lunga. Ma mi sbagliavo.
“No, Fede, non intendo bella in senso lato, intendo quella più profonda, di spessore, capace veramente di spiegare cosa voglia dire davvero amare”.
Wow… una parola! Anche se, questo va ammesso, la sua articolata descrizione restringeva parecchio il campo ed eliminava tutti quei pezzi del tipo “mi ha lasciato, tradito, fatto soffrire, mi manchi, torna, non tornare, vaff, eccetera eccetera”.
“Intendo proprio” proseguì il mio amico “la canzone più di ogni altra capace di custodire le parole che vorresti sentirti dire da chi speri ti ami tanto, da chi sai che sarà sempre pronto ad afferrarti se cadi, la persona per la quale TU sei davvero speciale, unico…”.
A quelle ultime parole, mi illuminai come una torcia, poi mi prese un groppo alla gola mentre aprivo il “tubo” e premevo play sulla canzone d’amore più “bella” di sempre, quella che avrei voluto sentirmi sussurrare nelle orecchie da chi amo.
Già perché ora sapevo…
“Ti proteggerò dalle paure e dalle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via, dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo dai fallimenti che per natura attirerai…”.
“La Cura” di Franco Battiato, è una canzone meravigliosa, un vero manifesto di quell’autentico amore disinteressato che si incontra poche volte nella vita. Probabilmente da piccolini con la propria mamma, molto raramente dopo.
La verità, ammettiamolo, è che la maggior parte di noi non sa cosa sia esattamente l’amore. Conosciamo il desiderio, la paura della perdita, l’orgoglio della conquista, la soddisfazione di sentirci necessari. Ma l’amore vero è questo?
Non lo so proprio, qualcuno ha detto che per chiamarsi tale dovrebbe essere disinteressato. Ma perché sia disinteressato non deve esserci attrazione, altrimenti l’interesse arriva eccome. E allora questo “amore disinteressato”, pare possibile con un figlio, un genitore, un amico, ma non certo col proprio partner.
Magari ci vuole una via di mezzo, chissá…
Quello che so è che la descrizione più simile a un amore nobile e delicato, di quelli che vale veramente la pena vivere, me l’ha regalata il testo di “La Cura” della coppia Franco Battiato/Manlio Sgalambro.
“Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore, dalle ossessioni delle tue manie, supererò le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare, e guarirai da tutte le malattie, perché sei un essere speciale e io avrò cura di te”.
Amo questo passaggio, qui il duo Battiato/Sgalambro non millanta di anelli, viaggi intorno al mondo, pazzie stravaganti e cafonate assortite – tutte cose che paiono più effetti speciali da filmetto per teenager che reali dimostrazioni d’amore – ma va dritto nel seme più puro del rapporto, quello che se accudito cresce, diventa albero e regala frutti. Il protagonista di “La Cura”, semplicemente, dà tutto se stesso, tutto il suo tempo e la sua attenzione perché tu, essere speciale, possa risplendere e stare bene.
E allora il rapporto, questo amore dalla A maiuscola, non si ferma, non può fermarsi, è un viaggio che cresce, che scorre e frantuma le difficoltà come una cascata tra le rocce.
“Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza, porteremo insieme le vie che portano all’essenza”. Un essenza che da spirituale diventa anche una completa fusione fisica “i profumi d’amore inebrieranno i nostri corpi, la bonaccia d’agosto non calmerà i nostri sensi, tesserò i tuoi capelli come trame di un canto, conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono.”
Vedete, l’amore di questa canzone è assoluto. Per il proprio partner, l’autore è padre, madre, compagno, amico e anima nell’anima.
Per questo “La Cura” è il pezzo d’amore più “bello” di sempre.
Dal profondo del cuore auguro di trovare un amore così al mondo intero.
Dal profondo del cuore auguro di trovare un amore così a tutti noi.

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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L'Ambrosiano

Inermi

Mi sento inerme dal 24 febbraio dell’anno scorso: fu svolta, schiaffo, sveglia a una coscienza resistenziale intorpidita Putin che invase l’Ucraina. Inerme non perché privo di armi; inerme senza strumenti umani per parare le aggressioni di chi semina violenza, odio, negatività, morte; non la morte-fine-d’un-ciclo ma annientamento, il nulla, come non si fosse mai esistiti. L’odio è eliminazione, damnatio memoriae, in chi l’agisce e in chi risponde in modo simmetrico. L’orrendo attacco di Hamas a Israele ha chiuso un cerchio? Improprio: le bolge infernali vanno a spirali, più giù. L’odio ha il volto di atti terroristici sconvolgenti, sovversivi; ma il suo è un potere diabolico: genera l’impensabile, il non umano. Sono inumane le stragi: sparare nel mucchio, uccidere per uccidere, esibire crimini efferati come avvertimenti mafiosi; lo sappiamo noi dalle stragi neofasciste: piazza Fontana, piazza della Loggia,
stazione di Bologna. Dal 7 ottobre mi rende inerme un assillo ulteriore: il non umano non è solo la mattanza, ma anche indurre l’impotenza. Non è umano il non trovare in sé – oltre a indignazione, condanna, solidarietà per le vittime d’ogni parte – la pensabilità e l’agibilità d’una reazione: per sé, in gruppo, in piazza. Inerme avverto il non umano di non sapere immaginare cosa posso fare io contro il male perché sia detto un “no” squillante, attivo, che non s’esaurisca in testimonianza, non salvi la falsa pace delle coscienze ma crei inciampi condivisi ai gironi infernali. Se non prendo coscienza che anch’io
posso pensare e fare qualcosa, che fermare le stragi dipende anche da me, dal cambiare qualcosa a casa mia, dal disporre l’animo a uguaglianza, rispetto, giustizia, non seminare odio sui social e contrastare politiche discriminatorie, finirò per divenir corresponsabile del degrado etico, identificato con lo spirito
di tempi bui, agito da un inconscio collettivo caotico, irresponsabile, distruttivo. Inermi, nudi, provata la vergogna d’aver colto il frutto dell’albero della conoscenza e d’aver scelto il male invece del bene ci salva il ritrovare la comune umanità. È poesia Dante che fuori dall’Inferno torna «a riveder le stelle». Realtà noi divenuti forti della coscienza d’essere inermi; lì ripartire.

  • Marco Garzonio

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    Le donne nella musica hanno costantemente sfidato difficoltà e infranto barriere, hanno lottato attraverso esperienze potenti e stimolanti e conquiste significative, spesso in un modo fatto e gestito dagli uomini. Le loro vite, le storie complesse, le loro canzoni e le esibizioni hanno contribuito in modo determinante alla storia della musica e all’emancipazione femminile. C'è ancora molta strada da fare per le donne nell'industria musicale, ma è un motivo in più per celebrare le pioniere, le portatrici di cambiamento e le donne che con la loro determinazione, libertà, nonostante le difficoltà e le tragedie e tormenti personali hanno sfidato le aspettative, il sessismo la misoginia e le avversità nel corso della loro carriera musicale. La protagonista di questa puntata è Cat Power. Scritto e condotto da Elisa Graci.

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