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L'Ambrosiano

Nemici

Il Sindaco di Firenze ha chiesto ai concittadini di esporre alle finestre la bandiera d’Europa per accogliere domenica Matteo Salvini, Geert Wilders leader dell’estrema destra olandese e Marine Le Pen. Nardella mette le mani avanti e fa una scelta di campo. Anticipa le distanze rispetto a eventuali gesti d’intolleranza che l’iniziativa del leader della Lega può innescare. Il vice Meloni è maestro di provocazioni. È fatto così ed esprime un governo che vive di attacchi a sagome di nemici, frittate rivoltate, social, smemoratezze, afasie. Proiettare le proprie inadeguatezze su altri e predecessori, ordire campagne di distrazione di massa, lotte interne per voti o scranni sono esperienze di premierato Meloni, ultradestra post repubblichina, Carroccio post bossiano, evanescenza post berlusconiana. Comunque conta la politica cui Nardella si ispira: Firenze di La Pira e don Milani, Europa di David Sassoli, il sogno di Altiero Spinelli, dei democratici ch’han lavorato per Bruxelles e Strasburgo e lavorano a “lo Stato Europa” per dirla con l’ultimo Draghi. Alla formazione continua di tale realtà l’Italia che con l’Europa ha sconfitto il nazifascismo contribuisce con la Costituzione, art. 11: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Ripudiare la categoria stessa di nemico (questo è il clou del testo) è cardine di umano, convivenza. La guerra tra Stati e popoli, o di gruppi terroristici nasce quando si ritiene l’altro un nemico: migrante, nero, ebreo, musulmano, cristiano, donna (sì, i femminicidi son da collocare qui!). Ma nemici non si nasce. Il nemico lo si costruisce con cultura, interessi, potere. Politici, partiti, governi possono far propaganda, favorire appartenenze e categorie con privilegi e condoni, ignorare poveri ed emarginati, intimidire sindacati, magistrati, giornalisti, occupare i social, impossessarsi dei media, incensarsi con inni tipo «Noi je dimo e n’je catamo / Che più semo e mejo stamo!». Le bandiere d’Europa alle finestre di Firenze sono un gran poster monito di civiltà, fiducia, speranza: «Qui non si costruiscono nemici». Colonna sonora: Beethoven, il coro, l’Inno alla gioia!

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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L'Ambrosiano

Rumore, vita, riscatto

Il minuto di silenzio per Giulia convertito in rumore rivela l’ineludibile necessità di disporsi a un cambiamento: individui e comunità-Paese. Forse da adulti stiamo sbagliando nel sorprenderci e disquisire sull’iniziativa di Elena sorella di Giulia che ragazze e ragazzi han fatto invece propria. Il silenzio è sconfitta, capitolazione all’ineluttabilità del male, rassegnazione come non potessimo far niente tanto accadrà ancora; è resa a una visione dell’umanità senza riscatto, riabilitazione, redenzione; il silenzio è Ombra che risucchia, non ha futuro. Il rumore è rivoluzionario: sembra caos, indifferenziazione, babele; ma dissonanze e acuti son premesse d’un possibile concerto. Lo intuì Fellini in Prova d’orchestra (1979) film profetico: non capito a sinistra. È l’apologo d’una società in cui se da egoisti ci limitiamo a trarre il suono dal nostro strumento, se puntiamo tutto su di noi (la prestazione per consensi, plauso, vantaggi) non c’accorgiamo del nuovo che travolge autoriferimenti personali, appartenenze, interessi. Se invece affiniamo suoni, maestria di ciascuno, ci accordiamo siamo sinfonia. Dopo Giulia educare all’affettività come risposta all’intollerabile violenza alle donne conta se è rispetto di tutti: assoli, suoni acuti, stridii; se è ascolto, accoglienza di valori insiti in ogni voce flebile o possente; se rinuncia a precomprensioni, presunzioni, ovvietà, ideologie, conformismi. Educare è “tirar fuori” il tesoro che l’altro ha dentro per il solo fatto d’esser qui oggi, individuo e parte d’una comunità: luci e ombre, valori e pregiudizi, slanci e ossessioni. Educare è crear le condizioni perché ragazze e ragazzi si sentano liberi e protetti, s’esprimano; è costruire spazi per silenzi, incertezze: riconoscersi in impotenze, incompetenze, crederci e cercare ancora. Educare è esser testimoni coerenti, porre basi per una fiducia in chi ci sta davanti, occhi negli occhi. Rumore di giovani, piazze, sindacati, del Paese reale: persone non riconosciute (donne in testa!), emarginati, poveri, migliaia di ragazze e ragazzi che aspettano ius soli e ius culturae (ah, sinistra distratta!), assetati di giustizia. Evitiamo provocazioni da destra. Il rumore copre slogan, ideologie, soliloqui social, cliché identitari.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Mia cara Olympe

Pensando a Giulia, ad un figlio oggi direi…

Ad un figlio oggi direi che, mentre pensiamo alla morte orribile di un’altra Giulia, occorre guardarla con coraggio, questa violenza maschile. E che a questo serve il coraggio.

Gli direi di non mettersi sulla difensiva. Di non pensare che non lo riguardi, perché lui è diverso. Di non pensare che glielo ho detto mille volte. Gli direi di parlare di cosa gli fa paura e di cosa gli piace, del desiderio e della libertà. Gli direi che io sono io e tu sei tu, che ci sono i confini, i segreti, anche le bugie e tutto quello che ognuno  e ognuna vuole tenere per sè. Gli direi che innamorarsi è bellissimo. Gli direi di sostenere e non di proteggere. Gli direi di fidarsi ma non di affidarsi. Di stare in piedi da solo e di non pretendere di essere sorretto. Gli direi che il conflitto esiste sui tanti tavoli della vita e che bisogna imparare ad agirlo e gestirlo, e non si impara mai abbastanza. Gli direi di uscire a farsi un giro quando è troppo. E poi di tornare e riparlarne. Gli direi di non lasciare la polvere sotto il tappeto. Gli direi di essere (molto) amico delle sue amiche, di sua sorella, delle sue cugine, delle donne con cui lavora. Gli direi che, ogni giorno, ciascuno di noi è insieme la versione migliore e la peggiore di se stesso e che continuare a lavorarci sopra è una fatica ma necessaria. Gli direi che ogni tanto ci si sente soli, non capiti, infelici e bisogna starci dentro. Gli direi che può fare qualcosa, anzi tanto: lui e i suoi simpatici amici. Parlarne per esempio, anche giocando alla play o dopo gli allenamenti o alla macchinetta del caffè in ufficio. Gli direi di non lasciare correre, che come si parla è importante. Gi direi che non esistono ‘le donne’, ma quella donna e quell’altra. Gli direi di leggere, ascoltare, riprendere in mano la storia, per capire com’era ieri e perché siamo ancora qui oggi, perché non è eguale tra uomini e donne.
Gli direi di non avere paura di sbagliare un calcio di rigore, ovvero di fallire, ovvero di non arrivare primo: non è da questi particolari che si giudica un giocatore. Gli direi di continuare ad andare a prendere la palla e continuare a giocare con le altre e con gli altri, e di non stancarsene.

E  gli direi che oggi, mentre penso a Giulia, sono triste e sfiduciata, che mi sembra di non capire e di non fare abbastanza e che mi spaventa – guardando tutti questi ‘bravi ragazzi’ –  quanto non sappiamo degli altri, anche delle persone più care, anche di quelli che abbiamo cresciuto. E che però io ci credo, continuo a credere ad un diverso parlarsi tra uomini e donne e che una delle cose cui tengo di più è continuare a parlare con lui.

  • Assunta Sarlo

    Calabromilanese, femminista, da decenni giornalista, scrivo e faccio giornali (finché ci sono). In curriculum Ansa, il manifesto, Diario, il mensile E, Prima Comunicazione, Io Donna e il magazine culturale cultweek.com. Un paio di libri: ‘Dove batte il cuore delle donne? Voto e partecipazione politica in Italia’ con Francesca Zajczyk, e ‘Ciao amore ciao. Storie di ragazzi con la valigia e di genitori a distanza’. Di questioni di genere mi occupo per lavoro e per attivismo. Sono grata e affezionata a molte donne, Olympe de Gouges cui è dedicato questo blog è una di loro.

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Appunti sulla mondialità

Un mondo di plastica

C’è dappertutto, dalle cime delle montagne alle profondità degli oceani. E anche nell’organismo degli animali, esseri umani inclusi. Sua maestà la plastica ha rivoluzionato il nostro mondo: oggi è il terzo materiale prodotto  dopo acciaio e cemento. La prima materia sintetica nacque in laboratorio subito dopo la metà dell’Ottocento, era un tipo di celluloide; di poco successiva fu l’invenzione della “seta artificiale” derivata dalla cellulosa, il rayon, materiale prodotto industrialmente già alla fine del XIX secolo. Attorno al 2000 sono nate le bioplastiche, elaborate con il mais e altri prodotti naturali. In mezzo c’è stata l’invenzione di PVC e PET, diventati parte essenziale della nostra vita quotidiana: materiali duttili, leggeri, durevoli e soprattutto economici, adatti a mille usi diversi. Ma i problemi creati dalla diffusione capillare delle plastiche stanno proprio nel concetto di “durevole”, oltre che nell’utilizzo delle materie prime necessarie per fabbricarle: soprattutto cellulosa, carbone, gas naturale e tanto petrolio.

Il “boom” della plastica si deduce facilmente dai numeri. Nel 1964 se ne producevano in tutto il mondo 15 milioni di tonnellate; nel 2017 le tonnellate prodotte erano 310 milioni. Secondo i dati del WWF, ogni anno finiscono negli oceani circa 8 milioni di tonnellate di plastiche: si stima che in acqua ve ne siano già più di 150 milioni di tonnellate. Se si confermasse l’attuale tendenza, nel 2025 avremo nei mari una tonnellata di plastica ogni 3 tonnellate di pesce, mentre tra vent’anni la plastica supererebbe la fauna marina. Nel corso del tempo, la plastica si degrada rilasciando le cosiddette microplastiche, cioè minuscole particelle che vengono ingerite dalla fauna marina e poi anche da noi, quando mangiamo pesce o semplicemente quando beviamo acqua potabile, perché entrano nel ciclo dell’acqua.

La plastica è però anche un materiale democratico, che permette di vendere a basso costo tantissimi prodotti che in molti Paesi, soprattutto per le classi sociali più basse, sono gli unici a portata d’acquisto: dalle ciabattine ai secchi per trasportare l’acqua, dai vestiti ai contenitori del cibo, la plastica è sempre presente nella vita dei più poveri della Terra. Difficilmente se ne potrà fare a meno, ma bisognerebbe regolamentarne l’uso e soprattutto lo smaltimento. È il compito che si è dato il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP), che dal 13 al 19 novembre ha organizzato un incontro a Nairobi per cercare di far approvare un trattato globale sull’uso della plastica. È un percorso lento, che ha già avuto due tappe in Uruguay e in Francia, e che si prevede di concludere entro il 2025. La bozza attorno alla quale si sta lavorando si articola su tre punti fondamentali per quanto riguarda la produzione di plastica: fissare un obiettivo di riduzione, sulla scia del Protocollo di Montréal sull’ozono; fissare dei target globali definendo tabelle di marcia per ogni singolo Paese, come nel Trattato di Parigi sul Clima; evitare che siano i singoli Governi a fissare gli obiettivi, perché potenzialmente ricattabili da parte dell’industria del petrolio. Per le compagnie del comparto oil, infatti, il progressivo calo del consumo di idrocarburi fossili nel settore energetico, dovuto all’uso di energie rinnovabili, dovrebbe essere “compensato” anche dall’aumento della fabbricazione di plastiche. È l’ennesimo collegamento tra temi apparentemente lontani che racconta la complessità e soprattutto l’interconnessione dei problemi della Terra. Più energie rinnovabili si usano, più plastica si rischia di fabbricare: questo perché si continua a rimandare il confronto sul tema centrale, quello del nostro modello di sviluppo, impostato ancora sull’utilitarismo. Tutti sappiamo quanto siano utili le plastiche, ma al contempo evitiamo di fare i conti con le ricadute sull’ambiente e sulla salute umana.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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L'Ambrosiano

Il dopo

Macerie a Kiev, macerie a Gaza e Cisgiordania, macerie istituzionali (ci sono anch’esse) a Roma. Putin, Hamas, Netanyahu, Meloni: centrali distrutte, stragi terroristiche orrende, civili inermi bombardati ed esiliati, l’indigerita sconfitta di padri repubblichini vendicata. I leader non san però cosa sarà dopo. Come non lo sanno l’Europa sospesa tra non politica estera e retorica di aiuti all’Ucraina sino alla vittoria; Biden che ammonisce Israele a non compiere gli errori Usa dopo l’11 settembre ma ha le elezioni; la Cina presente nell’economia eppur lontana. La sfida è il dopo non pensato; il dopo di città rase al suolo, umanità umiliata, geopolitica rimescolata; il dopo in ispecie d’imprevedibili processi psichici inconsci avviati. La distruttività non immaginabile due anni fa ha mostrato il circolo vizioso paura-odio-violenza. Chi spara per primo attiva paura in chi è colpito e negli spettatori. Scattano processi d’identificazione con la vittima e d’imitazione dell’aggressore, reazioni per simpatia (gli esplosivi deflagrano a catena); figli della paura son risentimento e odio, il quale genera solo odio; l’odio cova ulteriori pretesti di violenze. I violenti credono d’esser loro i protagonisti, ma la coscienza è cieca, agita dal ribollire d’oscurità magmatiche. L’autodistruzione è un destino? Lo fan temere volti coperti di terroristi, bombe di eserciti, insolenze istituzionali, parole violente, politici simili a zombi socialdipendenti. Ma l’ineluttabile non esiste. La storia è fatta di processi. Conscia e inconscia anche la psiche è storia: lavora per fasi che vengono da lontano e più lontano vedono. Maestra di vita anche per chi la nega la storia insegna che l’uomo cresce e procede nella complessità. Paga prezzi intollerabili quando qualcuno punta tutto all’eliminazione dell’altro. Ma il peggior crimine contiene in sé la propria fine: l’horror vacui della morte e il seme della libertà. Italia e Europa ce l’han fatta con la Liberazione. Han creduto fosse per sempre. Ma la bella addormentata è lì per esser risvegliata. Meloni (premierato, Capo dello Stato svilito, Sindacati avversati) e Salvini (allergico ai diritti) ripassino la storia prima di fantasticare autocrazie o nostalgie o di flirtare con la Le Pen.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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    Canzoni vuole essere un programma sulla musica italiana cantautorale e non, aperta soprattutto a quelle realtà, già molto note a un pubblico attento e in qualche modo di culto, che però faticano ad avere uno spettro di ascolto più ampio. Sono in genere gruppi, ma anche singoli artisti che sanno giocare molto bene sulla parola e costruiscono testi intelligenti e molto piacevoli da ascoltare. Il programma prevede molte ospitate in cui si ascolteranno i loro repertori, ma anche quelle musiche che li hanno influenzati creando così un ampio cerchio di ascolto. Dal 2 luglio al 3 settembre 2025 dalle ore 23.00 alle ore 24.00. Per coloro che non tirano tardi la sera sarà possibile ascoltare il programma in podcast già dal mattino successivo.

    Canzoni - 13-08-2025

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    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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    Popsera di mercoledì 13/08/2025

    Popsera è lo spazio che dedicheremo all'informazione nella prima serata. Si comincia alle 18.30 con le notizie nazionali e internazionali, per poi dare la linea alle 19.30 al giornale radio. Popsera riprende con il Microfono aperto, per concludersi alle 20.30. Ogni settimana in onda un giornalista della nostra redazione.

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    Lampedusa, due naufragi, recuperati i corpi di 26 persone. “Sono morti annunciate” denunciano le Ong

    Sono almeno 26, ma le ricerche dei dispersi stanno continuando, i morti nel duplice naufragio avvenuto oggi a poche miglia dal largo di Lampedusa. Tra i cadaveri anche quello di una neonata. Secondo le prime informazioni le due imbarcazioni erano partite dalle coste libiche per raggiungere l'isola. A una quindicina di miglia dal porto lampedusano, una delle due ha iniziato a imbarcare acqua fino a ribaltarsi. Le persone finite in mare hanno cercato a quel punto di raggiungere l’altra imbarcazione che si è a sua volta ribaltata per il troppo peso a bordo. Al momento sono ancora in corso le operazioni di ricerca dei dispersi, tra le 20 e le 40 persone secondo le testimonianze dei superstiti. Dall'inizio dell’anno sono quasi 700 i migranti morti nel Mediterraneo. “Quelle di oggi sono morti annunciate”, denunciano le Ong che salvanno vite in mare, criticando l’atteggiamento del governo italiano. “La tragedia di oggi dimostra che i soccorsi non bastano”, ha detto la presidente del consiglio Giorgia Meloni. Abbiamo raggiunto Francesca Saccomandi, un'operatrice di Mediterranean Hope che è al molo di Lampedusa, e Filippo Ungaro, portavoce dell’agenzia Onu per i rifugiati, secondo il quale servono canali regolari per l’immigrazione...

    Clip - 13-08-2025

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