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L'Ambrosiano

Il limite

È una conquista che la politica abbia detto che Netanyahu ha esagerato, che la disumanità di Hamas non legittimava altre disumanizzazioni. Si pone il problema se arriva la tregua. Alla comunità internazionale (con fiducia va recuperata l’espressione) oltreché bloccare l’assalto a Rafah spetta dare un limite ad Israele: come fermarsi e correggersi negli insediamenti. Sennò è illusione il “due popoli due Stati”: sarebbe una formula-bandiera per fare maquillage a impotenze, imbarazzi, ignavie ch’han fatto degenerare la situazione in Terra Santa. Ad esempio c’è cattiva coscienza in Occidente e in Europa per aver chiuso un occhio al non-limite all’espansione dei coloni israeliani in Cisgiordania e territori occupati; nell’aver elargito aiuti alla parte palestinese voltandosi dall’altra parte mentre i fondi servivano un po’ alla sopravvivenza, a corruzione, a sedare sensi di colpa collettivi ma rendevano fragile l’Autorità in governo e potere negoziale, precarie e discriminanti le condizioni di vita della popolazione (islamica in stragrande maggioranza ma anche cristiana), contribuivano a giustificare integralismo e fanatismo di componenti che non smettono purtroppo di nutrire l’obiettivo terroristico di distruggere Israele. Dare e darsi un limite per Israele sarebbe modo convincente per ribadire il diritto legittimo a difendersi, sapendo che la difesa più efficace è far tutto ciò che dipende da noi se vogliamo creare condizioni di pace e giustizia. Si toglierebbero anche argomenti a chi imputa solo a scelte di Tel Aviv rigurgiti antisemiti ed emergerebbero ambiguità e ipocrisie in Europa. Si tollerano sfilate nazi in Ungheria senza vedere i nessi: le SS glorificate oggi a Budapest realizzarono la Shoah senza mai segni di ravvedimento. In Italia si va con Liliana Segre al Binario 21: bello! Ma poi non si dice antifascista la Costituzione come se non fosse stato il duce a far le leggi razziali e Salò non avesse aiutato i nazisti nel deportare Ebrei nei lager. Un post-repubblichino che chiedesse perdono sarebbe un bel segnale contro l’antisemitismo. Meloni ha l’occasione d’un “riequilibrio” (cui tiene in Rai e Enti) dopo il perdono chiesto per il silenzio istituzionale verso le foibe titine.

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Appunti sulla mondialità

La rivolta dei trattori del protezionismo

L’Europa dei trattori ha ottenuto una grande vittoria: impedire per l’ennesima volta la firma dell’Accordo di libero scambio tra UE e Mercosur, il mercato comune sudamericano formato da Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay. È una storia di equivoci lunga 25 anni, quella delle trattative per l’accordo, sempre boicott­­ate dalla politica europea e, soprattutto, dalle pressioni esercitate dal mondo dell’agricoltura. Gli agricoltori europei, in particolare quelli francesi, totalmente contrari all’accordo con il Mercosur, non agiscono sulla base di motivazioni ideologiche o di preoccupazioni etiche, magari per la situazione dei diritti umani o per le questioni ambientali in Sudamerica. Più prosaicamente, temono che l’arrivo di derrate alimentari dai giganti agricoli Brasile e Argentina, senza più quote, dazi o restrizioni, metta fuori mercato alcune produzioni europee, quali grano e mais, diversi tipi di frutta, carne e pollame. Il notevole differenziale dei prezzi tra i due mondi agricoli, europeo e sudamericano, non nasce dal differenziale sul costo della manodopera, ma dal fatto che gli imprenditori agricoli d’oltreoceano possono fare economia di scala grazie a produzioni quantitativamente enormi e a una disponibilità di terre pressoché sconfinata.

Per la Francia, che esporta carne e grano nel resto dell’Europa, sarebbe una débâcle; ma per l’Italia, importatrice netta degli stessi prodotti, e per altri Paesi europei ci sarebbe un vantaggio economico. Il nodo resta quindi politico. Durante gli anni in cui il Brasile era guidato da Bolsonaro le trattative erano state interrotte, poiché dall’altra parte dell’Atlantico si stava mettendo a sacco l’Amazzonia per guadagnare nuova terra coltivabile. Ora che al governo c’è Lula, e che in un solo anno il Brasile ha dimezzato gli incendi boschivi, la pregiudiziale ambientale non avrebbe più ragione d’esistere. Tuttavia, è bastato il blocco di qualche strada europea perché la Commissione si affrettasse a dichiarare che l’accordo era sospeso per mancanza di garanzie ambientali. Nelle stesse ore, il gigante del caffè Illy spiegava alla stampa come l’entrata in vigore del Regolamento europeo sulla deforestazione sia destinato a bloccare l’import di materie prime da molti Paesi terzi. Si fa riferimento alla nuova normativa europea secondo la quale, per autorizzare l’import di alcuni prodotti agricoli tropicali, dal gennaio 2025 occorrerà non solo che quei prodotti siano coltivati nel rispetto dei diritti umani e delle normative di legge locali, ma anche che i terreni utilizzati non siano stati deforestati dopo il 2020. Una misura che sulla carta è sicuramente di buon senso, ma che risulterà di difficilissima applicazione in diversi Stati, a partire dall’Etiopia, che produce caffè di qualità superiore, per non parlare del resto dell’Africa e dell’Estremo Oriente. La differenza, rispetto alla situazione di concorrenzialità tra produttori che frena l’accordo UE-Mercosur, è che qui si tratta di prodotti che non possono essere coltivati in Europa.

L’UE si dibatte quindi tra il blocco dei negoziati con il Sudamerica, iniziativa esclusivamente politica e protezionista, e una regolamentazione “woke” che pretende di imporre al resto del mondo elevati standard etico-ambientali, richiedendo certificazioni oggettivamente difficili da ottenere in molti Paesi. Il punto di contatto tra queste due vicende è la sopravvivenza del bastione agricolo europeo, ultimo fortino protetto dell’Europa comunitaria. I processi di privatizzazione, le vendite a gruppi stranieri, le delocalizzazioni che hanno radicalmente trasformato l’industria e i servizi dell’Occidente, si sono fermati davanti a uno dei totem della storia recente dell’Europa: quello della sicurezza alimentare. Anche se antistorica e antieconomica, è ancora vivissima la pretesa di soddisfare internamente il proprio bisogno di alimenti investendo ingenti risorse pubbliche e alzando barriere protettive contro la concorrenza. Tutto ciò, anche se talvolta dettato da buone intenzioni e buoni sentimenti, finisce con l’essere un freno per la presenza europea nel mondo. Sempre più spesso ascoltiamo le lamentele dei nostri politici sull’accerchiamento economico messo in atto dalla Cina, che ormai è diventata il primo cliente e fornitore di Africa e America Latina: ma quale alternative hanno Paesi come Brasile, Costa d’Avorio o Vietnam, se per una ragione o per l’altra l’Europa continua a ostacolare il loro export? L’UE, che da decenni chiede in tutti i forum internazionali che si aprano i mercati del mondo, non intende aprire i propri a quelle importazioni che per molti Stati terzi sono l’unica vera risorsa e merce di scambio… Di logico qui c’è poco. Forse si tratta soltanto di un riflesso condizionato dalla memoria della fame, delle carestie e delle sofferenze che l’Europa ha sofferto in passato.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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L'Ambrosiano

Il virus psichico della vittoria

La carica eversiva del premierato è ormai chiara. L’accordo tecnico di maggioranza viaggia con due mantra: sapere la sera del voto chi ha vinto e governerà; il Capo dello Stato dovrà far quanto diranno i vincitori come si va dal notaio a registrare atti tra privati. Stabilità, anti inciuci, ribaltoni, governi tecnici, come Meloni e corifei ripetono alla noia son retorica che nutre le radici dell’antipolitica impiantata nel Paese da anni di populismo destro-grillino e errori a sinistra. Con 4 articoli (tono minimalista ingrediente per manipolare l’opinione pubblica) si mina l’impianto costituzionale. La Carta antifascista (parola-lisca nella gola di Meloni e La Russa) è inclusiva, prevede equilibri, contrappesi, mediazioni, organi di garanzia, dialoghi, compromessi in vista d’un bene comune di cui condividere i valori e perseguirli col concorso di tutti. Le norme costituzionali, nate dalla lotta di Liberazione, son frutto d’una civiltà del diritto volta a comprensione e convivenza tra culture, interessi, visioni del mondo, assetti e politiche di pace. Il premierato meloniano invece risponde ad una concezione del “diritto al comando” da parte del più forte, di colui (o di colei) che sa individuare singoli, gruppi, idee, situazioni come nemici da combattere; innescare meccanismi vittimistico-proiettivi; riscrivere la storia come frutto d’errori di chi c’era prima e promessa di palingenesi grazie a chi è legittimato dal voto diretto d’un popolo in cui, con condoni e interventi di parte ad efficace persuasione, pancia ed egoismi prevalgano su ideali, incontri, dialoghi, mete condivise. La destra pone al centro la vittoria degli uni contro gli altri; istituzioni e leggi son mezzi dei primi per sopraffare gli sconfitti, ai quali non resta che farsene una ragione (mantra di Meloni) e coltivare frustrazioni, rancori, rivincite: scenari bellici mortificanti l’umano, esiziali per il futuro. Col premierato i post repubblichini scaricano sul Paese una rivalsa covata per non aver accettato la sconfitta della storia. Rimosso il Covid, la vittoria è culto, virus psichico che mina le istituzioni. Campagna d’immunizzazione urge, col vaccino d’una politica che rilanci la Costituzione coltura di pace!

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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Tra Buddha e Jimi Hendrix

Reggae in lutto: ci ha lasciato Aston “Family Man” Barrett

Mentre il mondo del reggae è in subbuglio e finalmente di nuovo sulla bocca di tutti grazie alle premiere mondiali del biopic su Bob Marley, ieri se n’è andato l’immenso Aston “Family Man” Barrett, che insieme al fratello Carlton è stato l’anima di quell’incredibile sezione ritmica che fece grandi Bob e i suoi Wailers.
Nato a Kingston il 22 novembre del 1946, Aston ha lasciato il corpo ieri a Miami dopo una lunga malattia. È morto nella stessa città di Marley e come Tuff Gong, suppongo, il suo corpo verrà presto trasportato a Kingston e seppellito con tutti gli onori che merita un musicista entrato di diritto nelle leggenda.
Nato nei ghetti, Aston si è arrangiato come meccanico e riparatore di motociclette finché, giovanissimo, non è entrato – insieme al fratello Carlton, batterista di raro pregio – nelle grazie di quel geniale “matto” che risponde al nome di Lee “Scratch” Perry. I Barrett sono stati la spina dorsale degli Upsetters di Perry e, poi, dei Wailers.
“La batteria è il battito del cuore, e il basso la spina dorsale”, ha detto una volta Aston “Se il basso non è a posto, la musica ha il mal di schiena e si paralizza.”
Ed è vero: se il suono di Perry prima e di Bob poi, è riuscito a diventare così denso, potente e preciso, il merito va certamente condiviso con la sezione ritmica che hanno fornito Aston e Carlton. Marley adorava il tocco di quei due, e nutriva una particolare simpatia per Aston. Tutto nacque dal fraintendimento sul suo soprannome, “Family man”. Bob aveva pensato lo chiamassero così perché era un uomo giudizioso e saggio, come un capo famiglia, e magari avesse più anni di quelli che dimostrava. Non era quello il motivo, e quando Scratch gli spiegò il perché di quel soprannome stava per soffocare dal ridere. A ventiquattro anni, pare che Aston avesse già oltre venti figli. E non si è fermato, raggiungendo, si dice, la cifra record di cinquantatré!!!
Dopo la scomparsa di Marley – e di suo fratello Carlton, assassinato dalla moglie in combutta con l’amante il 17 aprile del 1987 – Aston ha continuato a portare in giro per il mondo la musica dei Wailers, senza tralasciare interessanti progetti solisti e collaborazioni con altri grandi del reggae, da Augustus Pablo ad Alpha Blondy, e poi Burning Spear, Peter Tosh, gli Israel Vibration, Jacob Miller, Bunny Wailer, eccetera eccetera eccetera. Praticamente non esiste un disco epocale nell’era d’oro del roots in cui non abbia suonato “Family Man” Barrett, anche detto, e non a caso, “The Man”.
In una vita piena, ricca di successi e riconoscimenti, Aston ha commesso un unico errore, diciamo di “lesa maestà”: si è messo contro la Island Records e la famiglia Marley!
Nel 2006 ha infatti intentato una causa contro la Island, chiedendo 60 milioni di sterline per royalties non pagate sia a lui che al suo defunto fratello Carlton. La tesi difensiva della casa discografica, coadiuvata dalla famiglia Marley, era che Barrett avesse ceduto i suoi diritti su eventuali ulteriori royalties in un accordo siglato nel 1994 in cambio di diverse centinaia di migliaia di dollari. E il giudice gli ha dato ragione. Per pagare i circa 2 milioni di sterline di spese legali, “Family Man” ha dovuto vendersi due case in Giamaica. State tranquilli, non è finito sul lastrico, è sempre stato uno molto attento e previdente nel gestire il proprio denaro.
Keith Richards, notoriamente grande appassionato di reggae, una volta ha detto: “La prima volta che i Wailers andarono in Inghilterra li sentii suonare per caso a Tottenham Court Road. Pensavo che fossero piuttosto deboli rispetto a quello che avevo sentito in giro. Ma poi è entrato nella band “Family Man” e a quel punto Bob aveva tutto quello che gli serviva”.
E noi, ovviamente, concordiamo!
Riposa in pace grande anima del reggae…

  • Federico Traversa

    Genova 1975, si occupa da anni di musica e questioni spirituali. Ha scritto libri e collaborato con molti volti noti della controcultura – Tonino Carotone, Africa Unite, Manu Chao, Ky-Many Marley – senza mai tralasciare le tematiche di quelli che stanno laggiù in fondo alla fila. La sua svolta come uomo e come scrittore è avvenuta grazie all'incontro con il noto prete genovese Don Andrea Gallo, con cui ha firmato due libri di successo. È autore inoltre autore di “Intervista col Buddha”, un manuale (semi) serio sul raggiungimento della serenità mentale grazie all’applicazione psicologica del messaggio primitivo del Buddha. Saltuariamente collabora con la rivista Classic Rock Italia e dal 2017 conduce, sulle frequenze di Radio Popolare Network (insieme a Episch Porzioni), la fortunata trasmissione “Rock is Dead”, da cui è stato tratto l’omonimo libro.

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Appunti sulla mondialità

#Lulanomics, un anno di governo Lula.

Dopo il grande rumore mediatico scatenato nel gennaio 2023 dall’assalto dei bolsonaristi ai palazzi del potere di Brasilia, di Brasile si è parlato relativamente poco, e soltanto per il rinnovato protagonismo internazionale sotto la guida di Lula da Silva, in particolare insieme agli altri Paesi BRICS. Ma per Lula la vera sfida è stata restituire la fiducia nello Stato ai brasiliani, provati dalla disastrosa gestione della pandemia, e insieme rilanciare un’economia ristagnante. A distanza di un anno, i numeri confermano la capacità del “presidente operaio” di gestire un’economia complessa, che per quasi sei anni era stata trascurata dalla politica. L’agenzia di rating Standard & Poor’s ha appena alzato il rating del Paese sudamericano da BB- a BB, il tasso di sconto è stato ridotto all’11,75%, il dato più basso dal marzo 2022, ed è scesa anche l’inflazione annua, prevista dalla Banca Centrale al 3,25% per il 2024. Una riforma sostanziale è stata quella tributaria, rimandata da decenni, che offrirà agli investitori internazionali un quadro certo. Riprendendo la tradizione industrialista del suo partito, Lula ha appena annunciato un maxi-piano di investimenti di quasi 60 miliardi di dollari USA per le imprese dell’agroindustria e della sanità, ma anche per quelle attive nella trasformazione digitale e nella decarbonizzazione.

Resta sempre delicato il dossier Amazzonia, dopo il calo dei minatori illegali, dimezzati dalle espulsioni operate in questi mesi dall’esercito, e il ripristino dei sistemi di sorveglianza satellitare per la prevenzione degli incendi. La foresta soffre però le conseguenze di una grave siccità prodotta dai cambiamenti climatici e ripristinare l’equilibrio naturale è sempre più difficile. Gli ambientalisti hanno criticato la richiesta di adesione all’OPEC avanzata del governo brasiliano, che l’ha giustificata come misura di accompagnamento verso l’abbandono dell’energia fossile: è da vedere se la promessa sarà mantenuta. Sul piano sociale, i programmi di sostegno alimentare e alle famiglie sono stati riportati ai livelli di otto anni fa, dopo i tagli della presidenza Bolsonaro.

In un lasso di tempo molto breve, appena un anno, la situazione del Brasile appare indubbiamente migliorata: la stabilità macroeconomica del Paese è stata riconquistata, il suo profilo industriale rilanciato, gli aspetti sociali più emergenziali tamponati. In realtà, non erano questi i temi centrali quando i brasiliani scelsero Lula. Si trattava di salvare la democrazia ipotecata da un presidente fortemente ideologizzato e sostanzialmente incapace di governare un grande Paese. Lula ci ha aggiunto del suo, ben sapendo che Bolsonaro era figlio degli anni di instabilità che lo avevano preceduto, dopo l’impeachment contro Dilma Rousseff. Ora il punto è capire se basterà un Paese stabile, che difende l’ambiente, dà speranza ai poveri e fa crescere l’economia per neutralizzare i tribuni alla Bolsonaro o alla Milei. Questo è il principale interrogativo che in molti si pongono in questi tempi dominati dai social network, attraverso i quali si costruiscono realtà parallele, si diffondono fake news, si alimenta l’odio e si costruiscono leadership. Con Lula, in Brasile è tornata la politica dei fatti, a dimostrazione che le promesse elettorali possono essere rispettate e che, per governare, non occorre gridare o insultare. Ma il mondo è ancora capace di apprezzare una classe politica che fa seriamente il suo lavoro e non passa il giorno a twittare? La domanda rimane senza risposte, almeno per ora. Al di là di queste riflessioni, valide a livello globale, l’esperienza appena iniziata del terzo mandato di Lula sarà il banco di prova per tutta la vecchia sinistra latinoamericana, schiacciata tra populismi fallimentari e utopie irrisolte: il pragmatismo e i conti in ordine possono convivere con politiche progressiste e con una giustizia sociale e ambientale? Parrebbe di sì, ma bisogna vedere se gli elettori sono d’accordo.

  • Alfredo Somoza

    Antropologo, scrittore e giornalista, collabora con la Redazione Esteri di Radio Popolare dal 1983. Collabora anche con Radio Vaticana, Radio Capodistria, Huffington Post e East West Rivista di Geopolitica. Insegna turismo sostenibile all’ISPI ed è Presidente dell’Istituto Cooperazione Economica Internazionale e di Colomba, associazione delle ong della Lombardia. Il suo ultimo libro è “Un continente da Favola” (Rosenberg & Sellier)

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    Metroregione - 01-08-2025

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    Canzoni vuole essere un programma sulla musica italiana cantautorale e non, aperta soprattutto a quelle realtà, già molto note a un pubblico attento e in qualche modo di culto, che però faticano ad avere uno spettro di ascolto più ampio. Sono in genere gruppi, ma anche singoli artisti che sanno giocare molto bene sulla parola e costruiscono testi intelligenti e molto piacevoli da ascoltare. Il programma prevede molte ospitate in cui si ascolteranno i loro repertori, ma anche quelle musiche che li hanno influenzati creando così un ampio cerchio di ascolto. Dal 2 luglio al 3 settembre 2025 dalle ore 23.00 alle ore 24.00. Per coloro che non tirano tardi la sera sarà possibile ascoltare il programma in podcast già dal mattino successivo.

    Canzoni - 06-08-2025

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    News della notte di mercoledì 06/08/2025

    L’ultimo approfondimento dei temi d’attualità in chiusura di giornata

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    Conduzione musicale di mercoledì 06/08/2025 delle 21:00

    Un viaggio musicale sempre diverso insieme ai nostri tanti bravissimi deejay: nei giorni festivi, qua e là, ogni volta che serve!

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    Jazz in un giorno d'estate di mercoledì 06/08/2025

    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

    Jazz in un giorno d’estate - 06-08-2025

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    Popsera di mercoledì 06/08/2025

    Il progetto del ponte sullo Stretto di Messina visto con gli occhi di chi si troverà in città il cantiere così fortemente voluto dal ministro Matteo Salvini. Con Giuseppina Caminiti, sindaca di Villa San Giovanni (Rc). Il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata sulla realizzazione di quest'opera che vedrà miliardi di euro di investimenti pubblici. Con Alberto Vannucci, studioso di fenomeni corruttivi all'università di Pisa. Il nuovo incontro al Cremlino tra l'inviato Usa Steve Witkoff e Vladimir Putin sulla guerra in Ucraina. Resta difficile pensare di arrivare presto all'accordo per un cessate il fuoco. Con Giovanni Savino, storico ed esperto di Russia. In studio insieme a Martina Stefanoni e a Chawki Senouci abbiamo visto gli ultimi aggiornamenti sulla Striscia di Gaza. Con Marco Schiaffino, autore della nostra trasmissione Doppio Click, abbiamo approfondito l'inchiesta del Guardian che ha rivelato come la sezione dei servizi segreti dell'esercito israeliano intercetti e si avvalga dei server di Microsoft per archiviare milioni e milioni di telefonate di palestinesi. L'intervista di Mattia Guastafierro a Lam Magok, vittima e testimone diretto delle torture di Almasri nelle carceri libiche. L'intervento di Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà, sulle centinaia di richiedenti asilo abbandonati in strada in questi giorni a Trieste. In chiusura, l'approvazione alla Camera del decreto Sport ha prorogato fino al 2033 l'esistenza della Società infrastrutture Milano-Cortina, a sei mesi dall'inaugurazione dei Giochi olimpici invernali del 2026. Con Natalie Sclippa, giornalista della Via libera, la rivista dell'associazione Libera.

    Popsera - 06-08-2025

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    Kennedy, il ministro no vax, taglia la ricerca sui vaccini da premio Nobel

    Il dipartimento della Salute americano di Robert Kennedy Jr. ha bloccato dei progetti di investimenti per lo sviluppo dei vaccini a mRNA per un totale di circa 500 milIoni di dollari e messo fine a 22 contratti federali di ricerca. Secondo Kennedy Junior, che è noto per le sue posizioni anti-vaccini, quei finanziamenti saranno spostati verso tecnologie “più sicure”. Per molti esperti la decisione di Kennedy è puramente ideologica e avrà un impatto a lungo termine sulla salute degli americani. Ascolta il commento di Nicoletta Dentico, esperta di politiche sanitarie globali e di diritto alla salute.

    Clip - 06-08-2025

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    Sound Queens #3 - Debbie Harry

    Le donne nella musica hanno costantemente sfidato difficoltà e infranto barriere, hanno lottato attraverso esperienze potenti e stimolanti e conquiste significative, spesso in un modo fatto e gestito dagli uomini. Le loro vite, le storie complesse, le loro canzoni e le esibizioni hanno contribuito in modo determinante alla storia della musica e all’emancipazione femminile. C'è ancora molta strada da fare per le donne nell'industria musicale, ma è un motivo in più per celebrare le pioniere, le portatrici di cambiamento e le donne che con la loro determinazione, libertà, nonostante le difficoltà e le tragedie e tormenti personali hanno sfidato le aspettative, il sessismo la misoginia e le avversità nel corso della loro carriera musicale. La protagonista di questa puntata è Debbie Harry. Scritto e condotto da Elisa Graci.

    A tempo di parola - 06-08-2025

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    Parla con lei di mercoledì 06/08/2025

    PARLA CON LEI: a tu per tu e in profondità con donne la cui esperienza professionale e personale offre uno sguardo sul mondo. Con Serena Tarabini.

    Parla con lei - 06-08-2025

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    “Danzando con l’evoluzione sull’Astro Vivente“: la vita sulla Terra raccontata ai più piccoli

    E' uscito il libro “Danzando con l’evoluzione sull’Astro Vivente“, scritto da Fabio Regis (psicoterapeuta specialista del potenziamento cognitivo) e Elena Sposito (pedagogista della Cooperativa Tempo per l'infanzia e della Fattoria del Parco Trotter), illustrato da Carola Viscardi – primo volume della collana di libri illustrati per bambini “Il Gatto Esploratore Dell’Evoluzione“. Il progetto, in linea con l’esperienza in ambito didattico degli autori, intende avvicinare i bambini alla storia della vita sul nostro pianeta, grazie ai racconti e all’immaginazione di Oliver, un simpatico gatto lasciatosi incuriosire dai musei di storia naturale. Partendo dal libro, Cecilia Di Lieto ha parlato con i due autori di educazione, di musei di storia naturale, di evoluzione, di riforme dei programmi scolastici, di prospettive e di multidisciplinarietà.

    Clip - 06-08-2025

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