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Ritorno al Carillon

Alle 21 e 25 di venerdi’ 13 di un anno fa, un gruppo di terroristi armati di kalashnikov comincia proprio qui l’attacco alle terrazze di uno dei quartieri più giovani e festivi di Parigi. Qui, è l’angolo tra la rue Bichat e la rue Alibert, nel 10° arrondissement. A pochi metri da uno dei canali più romantici e vivaci della città. Qui, è uno slargo tranquillo su cui si affacciano un bar di quartiere e un piccolo ristorante cambogiano alla moda, e molto frequentati, diventati tristemente famosi dopo la morte, quella sera, di 15 persone. Il Carillon e il petit Cambodge hanno riaperto a gennaio di quest’anno, solo due mesi dopo gli attentati. I vicini hanno tirato un sospiro di sollievo quando le sedie colorate hanno sostituito i fiori e le candele sul marciapiede. I clienti sono tornati ad affollare il bancone e ad occupare i tavolini con gli amici. Sul canale Saint Martin, la vita notturna è ricominciata come prima e nuovi ristoranti più o meno alternativi hanno aperto i battenti in questa zona popolare e borghese allo stesso tempo. Per strada gli abitanti si riconoscono, si salutano… Alexa, Loic e Nidal hanno accettato di parlarmi degli eventi di quella notte e delle conseguenze che hanno avuto sul loro quartiere.

Alexa :“Quella sera non c’ero, sono tornata il giorno dopo. Ho visto la segatura per terra, proprio davanti a casa mia, perché abito nell’edificio del Petit Cambodge. I primi 3 mesi dopo gli attentati sono stati molto molto difficili. C’era molto via vai, molta gente, moltissimi giornalisti… E poi avevamo l’impressione di vivere di fianco a un cimitero. Perché c’erano le candele, i fiori, gli omaggi delle persone. Era adorabile, ma quando uno vive li’ è dura, perché non puo’ lasciarsi tutto alle spalle ed era veramente ora che finisse. E in seguito, gli abitanti del quartiere hanno organizzato delle iniziative, sono stati fantastici. Ci siamo sentiti tutti più vicini.”Loïc : “Quando il Carillon ha riaperto,sono stato molto felice di vedere che non era cambiato nulla. Ho visto che le persone che conoscevo e che lavoravano là erano ancora vive perché il caffè ha riaperto. Prima non osavo guardare, non osavo chiedere una cosa del genere… Con Alexis, il mio ragazzo, ci siamo seduti, ci hanno portato due caffè lunghi, con un gran sorriso “Buongiorno, come va?”, non ci siamo detti nulla di speciale e tutto è ricominciato esattamente come prima. Esattamente. Senza una parola su… Ed è stato un vero piacere per tutti, penso.”

I segni lasciati dai terroristi sono spariti, le vetrate sono state riparate, i bambini continuano ad entrare e uscire dalla scuola a qualche metro dall’incrocio, ma in molti ammettono che le conseguenze psicologiche dureranno ancora a lungo.

Alexa : “ Non ho mai avuto paura a Parigi. Ho 43 anni e ho sempre vissuto a Parigi. Ammetto che… si, comincio ad avere un po’ paura. Continuo, ovviamente, ad andare a bere un bicchiere al Carillon, perché è ovvio, sapevamo che avremmo continuato a faro. Ma è vero che quando una macchina rallenta, all’incrocio, è impressionante, tutto il Carillon si gira a guardare la macchina. Questa è la realtà, è davvero la realtà. Quindi… sì, è cambiato qualcosa, decisamente.”

Nidal (ragazzo): “ Il modo di pensare delle persone è cambiato. è chiaro che tutto sembra essere più pericoloso, ma non direi sia un cambiamento radicale. È un piccolo cambiamento, una piccola paura generalizzata nel quartiere.”

Loïc: Mi ricordo che sui mezzi, subito dopo, era un po’ complicato, eravamo tutti molto spaventati. Adesso non è un’angoscia psicologica che mi accompagna nella vita quotidiana, ma appena c’è un gran rumore o vedi 50 camionette della polizia, ed è piuttosto ricorrente da un anno a questa parte, mi succede qualcosa e devo verificare sempre, mi chiedo cosa sta succedendo? Mi è successo spesso di andare a vedere su twitter, cercare “parigi” per vedere se era successo qualcosa. Ma è contestualizzato, circoscritto. Non credo di avere paura in altre parti della città, al di fuori di questo quartiere.”

Un amico di Loïc, seduto in terrazza davanti a lui, assicura invece di non pensare più a quello che è successo, anche se vive a due passi da un altro dei luoghi colpiti. La cosa che lo spaventa di più, dice, è il vedere sempre più soldati e poliziotti nelle strade. La deriva securitaria del paese preoccupa, interroga e sfianca una parte della città, Loic cita un esempio tra tanti:

Loïc: “C’è una cosa che è cambiata e mi fa incazzare parecchio : hanno chiuso degli ingressi dell’ospedale saint louis per dei motivi di sicurezza. È una gran rottura per tutti: per chi vive qui, per chi attraversa, per chi deve andare all’ospedale e non puo’ entrare. È una cosa che rende la vita di tutti i giorni più difficile, sapendo che agli altri ingressi non è che perquisiscono davvero la gente, è solo un problema in più e una cosa che ti ricorda che bisogna avere paura e mi fa incazzare, è davvero triste.”

Domenica, sul muro della rue Bichat verrà inaugurata dal presidente della repubblica una targa commemorativa. Il governo e la città hanno scelto, rispettando la volontà delle famiglie delle vittime, di celebrare questo triste anniversario sobriamente. Una decisione approvata da tutte le persone con cui ho potuto parlare, che sperano che questi giorni in cui si riaccendono i riflettori sul loro quartiere passino rapidamente. Come spiega benissimo Alexa:

Alexa : “credo sia necessario. Perché non bisogna dimenticare. Anche se nessuno potrà mai dimenticare. Pero’ non vorrei nemmeno che diventasse un luogo di pellegrinaggio. Subito dopo gli attentati ho visto cose spiacevoli, gente che si faceva dei selfies, che fotografava i buchi dei proiettili nei vetri… Non era la maggioranza ma c’era chi lo faceva e aggiungeva orrore all’orrore. Si, si c’è un vero disagio, ma dobbiamo parlare di quello che è successo. E si, si, aspetto la riapertura del Bataclan, sarà l’ultimo stabilimento a riaprire, è simbolico e… bisogna festeggiare la vita.”

  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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    “Abbiamo sempre preferito la take imperfetta ma magica”: i Satantango raccontano il nuovo album

    Un debutto interessante quello dei Satantango, nuovo progetto shoegaze proveniente dalla provincia cremonese. Il duo, composto da Valentina e Gianmarco, è oggi passato a Volume per raccontare e suonare in acustico alcuni brani del nuovo album “Satantango”. Il titolo è lo stesso di un film ungherese del 1994 della durata di oltre sette ore: “l’ambientazione e le atmosfere sono molto simili a quelle che ci sono nei nostri posti”, spiega il duo. Tra shoegaze, dream pop e slowcore, l’album dipinge un immaginario bianco e nero tra malinconie di provincia e nebbia, cinema chiusi e un senso di innocenza perduta, ed è ricco di riferimenti a pellicole vintage come “Gioventù Amore e Rabbia”. L'intervista di Elisa Graci e Dario Grande e il MiniLive dei Satantango.

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