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Il silenzio elettorale, i referendum illegali nel Donbass, le proteste in Iran e le altre notizie della giornata

elezioni politiche 2022

Il racconto della giornata di venerdì 23 settembre 2022 con le notizie principali del giornale radio delle 19.30. Il giorno precedente alle elezioni è tradizionalmente “muto” ma all’epoca dei social network non è più così. I referendum in Donbass non sono riconosciuti dalla comunità internazionale e la Russia risponde con la minaccia nucleare. Si dirada la nebbia sul caso dell’omicidio di Saman Abbas. In Iran non cessano le manifestazioni per la libertà, nonostante la violenza della polizia.

Elezioni: un giorno di silenzio elettorale solo sulla carta

Ancora poche ore e poi si vota per le elezioni politiche. Urne aperte dalle 7 alle 23.

Oggi  giornata di silenzio elettorale. Ormai solo sulla carta.
Perché tra newsletter, mail, Whatsapp, post sui vari social network, non sono mancati per tutta la giornata gli appelli dei partiti a votare e far votare. Le destra ci ha aggiunto del suo. Il pretesto è stata una bandiera con la falce e martello comparsa durante la manifestazione conclusiva del PD, che ha dato modo a Lega e Fdi di gridare al pericolo comunista: prima il segretario della Lega Matteo Salvini su Instagram, poi con una dichiarazione stampa del il capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Francesco Lollobrigida, che ha chiesto ai responsabili del partito di smentire di aver  autorizzato quelle bandiere.

Russia ancora più isolata, anche la Turchia non riconosce i referendum nel Donbass

L’indizione dei cosiddetti referendum per annettersi le regioni ucraine occupate sta continuando a provocare una serie di prese di distanza dalla Russia, anche da parte dei paesi che non hanno mai interrotto i canali col Cremlino. Ultima oggi la Turchia, il paese che più si è speso per ergersi a possibile mediatore con l’Ucraina. il portavoce del presidente turco Erdogan Ibrahim Kalin, ha riferito che Ankara non riconoscerà i risultati del voto. Le operazioni nelle regioni  di Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia continuano tra minacce e intimidazioni per portare alle urne più persone possibile, entro il 27 di settembre.

Sul fronte interno Mosca irrigidisce le norme per aumentare il numero di militari sul terreno, e cercare di frenare le manifestazioni di protesta.

Il presidente russo Vladimir Putin ha firmato un pacchetto di emendamenti al codice penale relativo al servizio militare. La diserzione o la mancata comparizione alla leva è punita con la reclusione da cinque a15 anni, riporta la Tass. Mentre un’altra una legge facilita l’accesso alla nazionalità russa per i cittadini stranieri che servono nell’esercito.

Non mancano i problemi interni, per il Cremlino, che ha rimosso dal suo incarico il generale Dmitry Bulgakov, massimo responsabile della logistica, destituito da viceministro della Difesa e sostituito dal generale Mikhail Mizintsev,  soprannominato “il macellaio di Mariupol” e colpito da sanzioni occidentali.

Intanto cresce il numero di cittadini russi che cercano di lasciare il Paese . La Bbc riferisce di code ai confini con la Georgia, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha detto che l’Unione Europea dovrebbe mostrare “apertura a quelli che non vogliono essere strumentalizzati dal Cremlino”.  Ma per ora  le porte europee restano chiuse. A Milano oggi di fronte all’ufficio della commissione europea c’è stata una manifestazione per chiedere di aprire ai visti per i disertori russi, ma per ora solo la Germania ha autonomamente aperto all’accoglienza, la Turchia è l’altro paese dove i disertori russi stanno cercando di fuggire. E oggi all’Ansa, un portavoce della Commissione ha detto che, in sostanza, le cose non cambieranno: “gli Stati membri possono ancora rilasciare visti ai cittadini russi, anche se con un processo più lungo e macchinoso.” le sue parole. Insomma ogni stato faccia come crede.

L’Ue, che si prepara a nuove sanzioni, fa sapere di prendere sul serio le minacce nucleari russe. L’Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera, Josep Borrell, ha usato parole allarmate: “È certamente un momento pericoloso perché l’esercito russo è stato messo all’angolo e la reazione di Putin che minaccia di usare armi nucleari è molto grave. Quando le persone dicono che non è un bluff, bisogna prenderle sul serio“.

Un cugino di Saman ha raccontato come è stata uccisa la ragazza pakistana

E’ stata tenuta ferma dai cugini, così da permettere allo zio di strangolarla. Sarebbe morta così Saman, la giovane di origine pachistana scomparsa nell’aprile del 2021, secondo quanto raccontato da uno degli indagati, il cugino, a un altro detenuto che a sua volta l’avrebbe riferito alla polizia penitenziaria. Il corpo di Saman sarebbe poi stato infilato in un sacco e gettato nel fiume Po, sempre stando a queste dichiarazioni che però i carabinieri di Reggio Emilia ritengono credibili solo in parte. Ieri in un’altra intercettazione era emersa la confessione del padre di Saman, fuggito in Pakistan, che al telefono con un parente aveva detto di essere l’autore dell’omicidio.

Continuano in Iran le proteste seguite all’uccisione di Mahsa Amini

La polizia iraniana ha arrestato 739 persone,tra cui 60 donne, nella sola provincia di Guilan durante le proteste dell’ultima settimana in seguito alla morte della 22/enne curda Mahsa Amini mentre era sotto la custodia della polizia morale che l’aveva arrestata perché non indossava correttamente il velo. 

Almeno quattro bambini sono rimasti uccisi, secondo Amnesty International.  Complessivamente secondo Teheran, sono 35 le persone morte dopo una settimana di proteste, mentre Ong e fonti dell’opposizione parlano già da ieri di almeno 50 morti, con centinaia di feriti e centinaia di arresti, inclusi giornalisti, studenti e attivisti politici.“Le forze di sicurezza non prendano di mira i manifestanti con i proiettili.” E’ l’appello lanciato da oltre 100 personalità del cinema iraniano, tra attori e registi.

Le manifestazioni sono proseguite anche oggi.

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    Redazione
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    Violenza: riprendersi il potere sulla propria vita

    Nel giorno mondiale contro la violenza sulle donne, raccontiamo con Cristina Carelli, presidente di D.i.Re Donne in Rete contro la violenza, i centri antiviolenza, oltre 110 in Italia con differenze però tra Nord e Sud, con quasi 4mila operatrici in stragrande maggioranza volontarie e quasi 30mila donne “ascoltate” all’anno. “Siamo realtà aperte e sempre presenti, le donne arrivano da noi spesso senza appuntamento e si rivolgono a noi quasi sempre liberamente - spiega Carelli - perché il presupposto del nostro intervento è la libertà di scelta della donna, lo sottolineiamo perché è in corso un tentativo di trasformarci in realtà di servizio e per imporre alle donne dei percorsi standardizzati, più istituzionali e di sistema, e non costruiti per ciascuna partendo dal consenso e dalla libera scelta di ogni donna”. Sottofinanziamento, soluzioni solo punitive, negazione della dimensione politica e culturale della prevenzione, la frontiera è sempre la società. Se sono le famiglie a decidere cosa è giusto o meno per l’educazione sessuale, stiamo riproponendo il problema. “Chiediamo al governo di essere coerente: bisogna lavorare sul fronte della cultura e della prevenzione”. La violenza non è solo un atto individuale, ma è resa possibile da scelte politiche e culturali che limitano la libertà delle donne, scrive Di.Re nella campagna “Tutto nella norma” che potete trovare sul sito: direcontrolaviolenza.it

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