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Primo via libera alla legge per i borghi d’Italia

Sono l’ossatura, la spina dorsale dell’Italia. I piccoli comuni sono distribuiti lungo tutto il Paese, incastonati tra le montagne, nei verdi paesaggi collinari, sui crinali appenninici. Belli, ma spesso dimenticati, e a serio rischio spopolamento. Da comuni un tempo vivi, con tradizioni secolari, si avviano in molti casi a diventare borghi fantasma.

Sono 5.585 i piccoli comuni con meno di cinquemila abitanti, e sono tantissimi, il 67 per cento del totale dei comuni italiani. Oggi il primo via libera a una legge che intende valorizzarli dal punto di vista architettonico, ma soprattutto economico e sociale, restituendo ai loro abitanti servizi essenziali, garantiti dalla Costituzione, ma ottenuti con mille difficoltà e fatica.

Cento milioni di euro fino al 2023, pochi in realtà, ma dovrebbero essere una prima spinta per compensare le mancanze a cui il Patto di stabilità li costringe. Misure che serviranno a rivitalizzare i centri storici, rilanciare il turismo, e spesso il turismo porta anche posti di lavoro; sostenere l’agricoltura, considerando che 3 cibi su 4 di origine protetta (Dop) vengono prodotti nei piccoli comuni, promuovendo la vendita di prodotti a chilometro zero, nell’arco di 50 chilometri, dando incentivi a chi, soprattutto giovani, intende sviluppare produzioni locali.

Viene incentivata anche la diffusione della banda larga e l’acquisto da parte dei comuni delle case cantoniere o stazioni ferroviarie abbandonate per realizzare circuiti turistici alternativi, inseriti in un altro progetto a cui il Parlamento deve ancora trovare risorse, quello della mobilità dolce. Molti obiettivi, risorse ancora scarse, ma un primo passo, che però necessità ancora del passaggio fondamentale del Senato.

Il primo firmatario della legge è Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente della Camera.

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Il problema quindi non è solo dato dalla necessità di migliorare i centri storici, per renderli dal punto di vista turistico appetibili, ma soprattutto permettere agli abitanti di poter rimanere a vivere in questi paesi. Pochi abitanti vuol dire non avere le scuole dell’obbligo, costringendo i bambini, anche piccoli, a spostarsi con le corriere da un paese all’altro, oppure accorpare le classi. Chiudono gli uffici postali, e molto spesso le edicole, per i distributori di giornali diventa anti economico far arrivare poche copie, lungo strade di montagne. Lo spopolamento genera abbandono, isolamento e mancanza di progetti.

Enrico Borghi, deputato del Pd, è presidente dell’Uncem, Associazione dei Comuni di montagna. Ritiene per esempio che un sistema di accoglienza dei migranti nei piccoli paesi possa dare un futuro a loro e rilanciare l’economia di questi luoghi. E’ sindaco di Vogogna, in Val d’Ossola, dove scuole e servizi essenziali esistono e sono garantiti, ma per esempio l’intera provincia ha il numero di laureati più bassi di tutto il Piemonte, perché le università sono troppo lontane, 150 chilometri di distanza in alcuni casi e non tutti possono permettersi l’affitto di una stanza per i loro figli. Per questo propone un bonus per gli studenti provenienti da queste realtà. Ascolta l’intervista a Enrico Borghi

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Molti anni, nel 2001, fa è nato il “Club dei borghi più belli d’Italia”. L’iniziativa era intesa a lanciare il turismo e la valorizzazione di borghi antichi, con luoghi d’arte, chiese e castelli e tradizioni storiche, culturali e gastronomiche poco conosciute al di fuori dalla Regione di appartenenza. Erano 50 nel 2003 ora nella lista ce ne sono 263. Altri attendono di essere inseriti, perché chiaramente appartenervi è una spinta turistica forte. Ma non è facile. “Ci vuole del tempo – spiega Umberto Forte, direttore del Club “I borghi più belli d’Italia” – il Sindaco e la giunta del comune devono rispondere a dei requisiti ben precisi, che non sono solo architettonici e urbanistici, si tratta anche di valutare le opportunità per chi ci vive e non solo la bellezza. I servizi, lo stato di manutenzione del verde, cosa viene fatto per i giovani che vi abitano, l’esistenza di attività commerciali, artigianali e di servizi con attività ludiche e culturali, che inducono sia i giovani che gli anziani a rimanere a vivere nel luogo. Sono requisiti che creano punteggi, e il turismo porta lavoro. A Bienno – racconta ancora Umberto Forte – un giovane ha aperto una bottega da calzolaio, non esisteva più da anni”.

  • Autore articolo
    Anna Bredice
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    L’educazione sessuale a scuola si farà solo con il consenso dei genitori degli studenti minorenni, sia alle medie sia alle superiori. Alla Camera ieri è arrivato il via libera agli emendamenti al ddl Valditara tra le proteste delle opposizioni. È stato respinto anche un emendamento che prevedeva di togliere il consenso dei genitori in caso il corso fosse organizzato dalle Asl, quindi non da associazioni ma dal servizio sanitario nazionale. Intanto, prosegue l’indagine della procura di Roma "lista degli stupri” comparsa nei giorni scorsi nei bagni del liceo romano Giulio Cesare. Al momento il reato ipotizzato è istigazione a delinquere finalizzata alla violenza sessuale. Andrea, una delle studentesse del Giulio Cesare il cui nome era presente nella lista, al microfono di Mattia Guastafierro, ci racconta qual è il clima a scuola: “Ci sono stati dei precedenti, sicuramente non così gravi: stati bruciati dei cartelloni contro la violenza sulle donne nel bagno dei maschi, sono state strappate delle petizioni messe in bacheca per sensibilizzare alla violenza di genere. Purtroppo ci sono persone che hanno avuto un'educazione familiare estremamente poco consapevole di certe cose e purtroppo questa è la prova che un argomento così terribile come lo stupro possa essere utilizzato con leggerezza e, anzi, scritto su un muro di un bagno”. Inoltre, Andrea riconosce l'importanza dell'educazione sesso-affettiva nelle scuole: "Noi passiamo tantissime ore all'interno delle mura scolastiche e quindi deve essere la scuola a insegnare ed arrivare dove la famiglia magari non riesce. C'è molta disinformazione su quello di cui si tratta nell’educazione sessuo-affettiva: serve per insegnare il consenso, per conoscere se stessi senza paure, senza timori e stigmi sociali, per accettare ogni parte di sé. Facendo questo percorso dentro la scuola inevitabilmente la violenza di genere, e le violenze in generale, vengono arginate proprio perché la violenza parte da un'insicurezza. Se noi insegniamo che va bene averle, che queste si possono gestire, come gestire le relazioni, i conflitti ed educare al consenso, io credo che queste cose non succederebbero più. La scuola se ne deve far carico".

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