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Parigi non dimentica

È passato un anno esatto da quando due terroristi armati hanno ucciso 12 persone nell’attacco al settimanale satirico Charlie Hebdo. Quella mattina, nove collaboratori del giornale, due poliziotti e un tecnico hanno perso la vita e sono diventati un simbolo per il mondo intero. Da martedì scorso c’è anche una targa ufficiale a ricordarlo. Uguale a quelle di marmo grigio che celebrano i fatti della resistenza, la rivoluzione o la Comune di Parigi. L’ha inaugurata in presenza delle famiglie delle vittime il presidente della Repubblica in persona, insieme al sindaco di Parigi Anne Hidalgo.

La targa

 

Per essere precisi, martedì scorso Hollande di targhe ne ha inaugurate tre: quella sulla facciata anonima che ha accolto per qualche mese i locali di Charlie Hebdo è stata la prima, seguita da quella, a poche decine di metri di distanza, che ricorda la morte in servizio del poliziotto di quartiere Ahmed Merabet. Infine è venuto il turno della lastra affissa sul muro dell’HyperCacher della Porte de Vincennes, dove sono state uccise quattro persone, il 9 gennaio. La famiglia della vigilessa Clarissa Jean-Philippe, assassinata alla periferia sud di Parigi l’8 gennaio, dovrà aspettare sabato per vedere il suo nome scolpito nel marmo.

In memoria di A Merabet 2

 

È passato un anno e sui luoghi degli attentati la vita è tornata a scorrere normalmente. O quasi. Se si esclude l’HyperCacher, ancora adesso sotto stretta sorveglianza armata, decorato con fiori e bandiere, e si va nell’Undicesimo arrondissement, in rue Nicolas Appert, sembra di essere in un tranquillo quartiere residenziale come tanti. Spariti i nastri della polizia, le transenne e i fiori, la via che ospitava la redazione di Charlie è calma e silenziosa, come doveva essere quella mattina del 7 gennaio. Difficile immaginare una via più anonima, senza nemmeno un negozio e con solo un minuscolo teatro ad animare un po’ la zona. Persino la targa si confonde un po’ con il muro slavato su cui è stata installata.

al numero 10 di rue Nicolas Appert

 

Un osservatore attento, però, noterà nelle viuzze lì attorno le opere di street art in memoria dei disegnatori scomparsi. O quei paletti stradali, colorati dai bambini delle scuole per cercare di rendere un passaggio pedonale un po’ più allegro e alleggerire l’atmosfera pesante degli ultimi mesi.

street art per Charlie

 

Fino all’estate scorsa, molte persone andavano e venivano davanti al portone. Lasciavano fiori e biglietti, o rimanevano semplicemente in silenzio, raccontano i vicini, che hanno scoperto di abitare di fianco alla redazione di Charlie solo quel giorno. Per loro, quella mattinata è ancora un ricordo vivido e doloroso. C’è chi per diverso tempo ha preferito fare un altro giro per tornare a casa, pur di non passare davanti al civico 10.

Cabu

 

Il giorno dell’inaugurazione, alcune mamme del quartiere si sono fermate a leggere i nomi sulla targa, insieme ai figli che erano andate a prendere a scuola. Non erano lì durante la cerimonia ufficiale, blindatissima, ma hanno organizzato un piccolo pic nic nel parchetto all’angolo con altri vicini, questa mattina d’anniversario. Una cosa intima, tra amici, perché in questo momento c’è bisogno di sentirsi uniti, soprattutto dopo che il 13 novembre i terroristi hanno colpito ancora dietro l’angolo: il Bataclan è solo a 500 metri da qui. Un orrore che si è sommato a un altro orrore, senza che nessuno possa o voglia fare una graduatoria del dolore. Con Charlie hanno ucciso dei simboli; di una generazione oltre che della libertà d’espressione. A novembre hanno colpito tutti indiscriminatamente. È la stessa follia con un altro nome. Dicono tutti scuotendo la testa, con una sfumatura di tristezza e pessimismo nella voce.

Street art per Ahmed

 

Domenica prossima, una quercia di 10 metri sarà dedicata alle vittime del terrorismo in Place de la République. Il vecchio rocker Johnny Hallyday (non proprio il cantante preferito della redazione decimata di Charlie) suonerà per loro “Una domenica di gennaio”, scritta dopo la manifestazione storica dell’anno scorso. Uno slancio d’orgoglio nazionale e volontà di non lasciarsi abbattere che sembra per molti versi quasi un pallido ricordo. Risuonerà anche la marsigliese e la piazza verrà aperta al pubblico, perché chi vuole possa raccogliersi ricordando tutti i morti del 2015. Nel frattempo, la Francia è ancora in stato d’emergenza e il parlamento si prepara a votare una legge giudicata da molti pericolosa e liberticida, che comprende la possibilità di revocare la nazionalità ai francesi (che ne abbiano una seconda) condannati per terrorismo. E in questo periodo in cui i francesi si scambiano gli auguri per l’anno nuovo, sono davvero in pochi a credere che 2016 sarà migliore dell’anno che lo ha preceduto, anche se tutti lo sperano davvero.

  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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    Marco Sioli insegna Storia dell'America del Nord all'Università degli Studi di Milano La Statale. Nei suoi libri indaga sotto molteplici sfaccettature alcune peculiarità della storia, della cultura e della politica degli Stati Uniti d'America. Il suo ultimo libro, "In difesa della natura selvaggia" (edito da Elèuthera), è un viaggio attraverso i più noti parchi nazionali nordamericani e, nel contempo, una riflessione sul lascito dei capostipiti dell'ambientalismo statunitense (Thoreau, Olmsted, Muir e Leopold). A Cult, Roberto Festa ha intervistato Marco Sioli che sarà al FestivaLetteratura di Mantova 2025, iniziato proprio oggi, mercoledì 3 settembre.

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