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Mélenchon al 2° turno? La sinistra ci crede

Il candidato alle presidenziali del movimento di sinistra radicale “La France insoumise” (La Francia non sottomessa) Jean-Luc Mélenchon dice di non avere molta fiducia nei sondaggi che lo danno in crescita costante da un mese a questa parte e preferisce frenare gli entusiasmi, ma il successo dei suoi ultimi comizi lo fa ben sperare.

A fine marzo, a Parigi, hanno sfilato con lui 130mila persone, 70mila lo hanno accolto a Marsiglia e a Tolosa. La settimana scorsa lo abbiamo seguito a Lille, nel Nord della Francia, dove lo aspettavano 25mila persone.

Città di sinistra per eccellenza, Lille è governata dalla socialista Martine Aubry, che quando era ministra introdusse la settimana lavorativa di 35 ore. Ed è il capoluogo di una regione in cui la chiusura delle mine di carbone e delle fabbriche ha trasformato a poco a poco l’elettorato: da bacino del voto socialista e comunista si è trasformata in terra di conquista del Front National di Marine Le Pen.

Nel 2012, i due rappresentanti delle ali estreme della politica francese si erano personalmente sfidati proprio à Hénin-Beaumont, nel Nord-Pas-de-Calais, per ottenere un posto in parlamento. E l’uomo forte della sinistra aveva perso senza appello, raccogliendo metà dei voti dell’avversaria (al secondo turno aveva poi vinto il candidato socialista).

Cinque anni dopo, Mélenchon sembra aver imparato qualche lezione e ha rinunciato a fare una campagna basata principalmente sulla sua persona. Dopo aver formulato un programma a partire dalle proposte dei comitati sul territorio, ha convinto i militanti comunisti (un po’ meno i dirigenti del partito) a seguirlo. Ha mandato la sua responsabile della comunicazione a scuola dagli indignados spagnoli e da Bernie Sanders e, secondo i sondaggi, è il candidato che ha allargato più di tutti il suo bacino elettorale, passando in qualche mese dal 10 per cento al 20 per cento delle intenzioni di voto.

Anche i suoi meeting elettorali sono molto diversi da quelli del 2012, in cui arringava dal palco una folla rumorosa che sventolava bandiere del Front de Gauche e pugni chiusi. Questa volta la sala principale del Grand Palais di Lille, 20mila persone sono state fatte sedere ordinatamente intorno a un palchetto centrale da cui il candidato parlerà per almeno due ore. Altre cinquemila, secondo gli organizzatori, sono rimaste fuori, davanti a un grande schermo.

Tra di loro ci sono quelli curiosi di ascoltare dal vivo il tribuno Mélenchon, quelli convinti da sempre ma anche molti ancora indecisi sulla scheda da inserire nell’urna il 23 aprile.

Per esempio José, 55 anni, operaio: “Direi che siamo tanti quanti cinque anni fa, se non di più. Nella regione molti sono già convinti e vengono a portare il loro sostegno. Del resto, penso sia il migliore tribuno della campagna. Fa le domande giuste e ha una personalità che risalta sulle altre: lo si sente, lo si vede. Anche i suoi avversari lo riconoscono. Il problema è riuscire a convincere abbastanza elettori al primo turno per arrivare al secondo. E tutto è possibile”.

Michel, 37 anni, e la sua ragazza, Marine, 27: “Diciamo che abbiamo scoperto Jean Luc-Mélenchon circa un mese fa. Prima eravamo più indecisi se non astensionisti, poi abbiamo ascoltato attentamente quello che diceva e ci siamo convinti. È per quello che oggi siamo qui.” “Io sono venuta ad ascoltare e vedere il personaggio. Anche per curiosità perché è il mio primo meeting. Se stasera mi convince, voterò per lui. Nel 2012 avevo più che altro votato contro Sarkozy, non per qualcuno. Per questo all’inizio non volevo votare stavolta, perché vorrei votare per qualcuno, non contro”.

Dalla pedana, Mélenchon parla a braccio di 35 ore, abbandono del nucleare, tasse e scuola, unendo esempi concreti a dati e cifre del suo programma. Si sbraccia e rivendica la vicinanza a Chavez e a Tsipras, impegnandosi a porre fine all’austerità e a rinegoziare i trattati europei in favore di un’armonizzazione sociale del continente ma anche a non firmare i trattati di libero scambio internazionale. Ridicolizza i giornali che lo dipingono come il pericolo rosso e se la prende soprattutto con Fillon e con Macron, che raccoglie il grosso degli urli di spregio della sala. Punzecchia un po’ anche Marine Le Pen, ma risparmia il candidato socialista Hamon, non si sa bene se per rispetto o perché non pensa ne valga la pena. Sta ancora parlando quando i primi sostenitori si dirigono discretamente verso l’uscita. Alcuni si attardano al banchetto/libreria per comprare il programma del candidato

Carole, 54 anni, professoressa: “Tre euro per informarsi non è male! Non so ancora per chi votare e stasera è stato interessante perché ho sempre pensato a lui come un estremista ma mi sono resa conto che ci sono dei veri valori umani nel suo programma che gli altri non hanno. In teoria mi ispirava più Hamon ma alla fine no. Macron non troppo e gli altri non parliamone. La sua visione mi interessa perché rimette l’uomo al centro del progetto, è umanista”.

Luca, 18 anni, studente: “ Sono appena diventato maggiorenne e sarà il mio primo voto. Mi piace Mélenchon, mi piacciono le sue idee, soprattutto quella di sesta Repubblica. Lo voto ma non penso riuscirà davvero a realizzare il suo progetto”.

Ci sono molti giovani tra il pubblico ma anche molti nuovi elettori, al punto che i meeting della France insoumise non si chiudono più, come un tempo, sulle note dell’Internazionale ma su quelle di una più classica Marsigliese. Negli ultimi mesi Mélenchon ha saputo attirare una parte dell’elettorato di sinistra che, deluso dalla politica di Hollande, si era ripromesso di non andare a votare durante le manifestazioni contro la legge sul lavoro, l’anno scorso.

Come Thérèse e Marc, pensionati: “Sinceramente, avevamo deciso di non votare quest’anno”, ammette lei. “Perché siamo stati profondamente delusi dalla sinistra”, spiega lui: “Siamo delusi, e non siamo mai stati di destra, da Fillon. Anche se c’è chi si è battuto per il diritto di voto, non ci si può far prendere in giro così. Il voto bianco non è riconosciuto, le proposte non innovano… Rimane solo il non voto. Abbiamo cambiato idea perché lo abbiamo ascoltato meglio”. “Ci piace soprattutto l’idea di sesta Repubblica”, sottolinea Thérèse. E Marc aggiunge: “Ma anche le sue idee. Siamo stufi di vedere sempre i soliti arricchirsi e i poveri rimanerlo. Bisogna ripartire la ricchezza.” Le cose si complicano quando si parla di Mélenchon ed Europa: “Lo dice anche lui, si tratta di dissuasione. Non uscirà dall’Europa. Abbiamo tutti lo stesso problema perché abbiamo creato un’Europa monetaria ma non sociale. Il problema viene da lì”.

Jean, 24 anni, studente, ha le idee chiare sull’argomento: “Sono d’accordo, bisogna rinegoziare i trattati che sono al servizio del capitalismo. Ci riuscirà? Forse, io lo spero! Cinque anni fa ho votato per lui e lo rifarò. Quest’anno ci credo di più”.

Fino a poco fa sembrava impensabile ma gli ultimi sondaggi danno quattro candidati – Fillon, Le Pen, Macron e Melenchon – a pochissimi punti di distanza. L’ex ministro dell’Economia è in testa con il 23 per cento delle intenzioni di voto, seguito da Marine Le Pen al 22 per cento, mentre gli altri due otterrebbero il 20 per cento dei voti. Considerato che i margini d’errore vanno da 2 a 5 punti, la partita è più che aperta. La France insoumise al secondo turno? Da queste parti ci credono davvero: “Si, chiaro! E perché non presidente? Lo speriamo!”, ci confidano alcune ragazze ventenni.

  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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    “Quelle che arrivano dalla maggioranza sono delle sciocchezze, che sarebbero grottesche se non fossero pericolose perché tradiscono una chiara volontà di creare un clima di paura e di allarme, criminalizzando tutta la galassia dell’opposizione”. Così Benedetta Tobagi, intervistata da Luigi Ambrosio all'Orizzonte delle Venti, sui reiterati attacchi del Governo alle opposizioni accusate di fomentare la violenza. “Anche per ciò che porto nel mio nome, l’Italia ha nella sua storia una sinistra antifascista e democratica che non è mai stata violenta. Figure come mio padre e Aldo Moro sono state colpite addirittura dal terrorismo di sinistra. Questa è la storia che vergognosamente Meloni, Tajani e Salvini non riconoscono e che, invece, deve essere la nostra forza”.

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