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Legge sul “fine vita”: le richieste delle persone, le omissioni della politica. Intervista a Giuseppe Englaro

Giuseppe Englaro

In Italia, quello del “Fine Vita” è da sempre un tema carsico.
Discusso quando un fatto di cronaca lo impone, silenzioso quando torna nell’orbita della politica nazionale che dovrebbe occuparsene ma di tutto fa pur di non farlo.
Troppo scottante, troppo divisivo, meglio il “muro di gomma”.
La maggioranza dei cittadini, secondo le ricerche, è favorevole a una normativa.
La maggioranza di governo, secondo i fatti, va in tutt’altra direzione.
Giuseppe Englaro, padre di Eluana, fu il primo in Italia ad obbligare la politica a confrontarsi con la questione, in nome della libertà di scelta sul proprio corpo e sul proprio destino.
Intervista di Massimo Bacchetta.

Buongiorno Giuseppe Englaro.
Molti di noi ricordano come fu trattata dalla politica la vicenda di sua figlia Eluana. Ricordano la sensazione che un caso personale e concreto, che invocava un diritto reale, venisse strattonato in nome di altri interessi o richiamandosi ad altri diritti, teorici, che non si capiva realmente a quanti interessassero.
Ora, a molti anni di distanza, ci si ritrova in questa situazione: la maggioranza delle persone, indipendentemente dalla propria idea politica, si dichiara molto favorevole a una normativa sul fine vita, che preveda il suicidio assistito e anche l’eutansia, ma gran parte della politica continua a nascondersi dietro alla difficoltà di legiferare sui temi etici e dietro a parole come libertà di scelta e obiezione di coscienza.
Vista così sembra non essere cambiato niente, a parte che la Corte Costituzionale si è espressa più di una volta invocando che il Parlamento facesse il suo lavoro.

Guardi, è proprio così.
Io, nel lontano gennaio 1992 mi sono mosso nel deserto, per quanto concerne libertà e diritti fondamentali costituzionali. Ci sono voluti 15 anni e nove mesi – 5750 giorni – per arrivare alla Corte Suprema di Cassazione. E la Corte Suprema di Cassazione lo ha detto chiaramente: l’autodeterminazione terapeutica non può incontrare un limite, anche se ne dovesse conseguirne la morte, e che questo non ha niente a che vedere con l’eutanasia.
Nessuno può decidere “al posto” né “per”, al massimo può decidere “con”.
Per quanto noi, terminata la prima emergenza (dopo l’incidente, ndr), avevamo parlato con il responsabile della rianimazione di Lecco. La prima cosa che gli avevamo chiesto era lo stato dell’arte nella situazione di Eluana e lui fu molto semplice e chiaro, dicendoci che le prospettive di ripresa erano di poco superiori allo zero. Perchè le incognite in questi casi sono a 360 gradi.
A quel punto noi quindi sapevamo: Eluana poteva anche andare incontro allo stato vegetativo permanente, la stessa identica cosa che lei aveva visto succedere un anno prima al suo amico Alessandro e rispetto alla quale si era espressa – non a me, ricordatevelo – in modo chiaro.
Eluana aveva idee molto chiare riguardo alla sua vita. Non si sarebbe mai sognata di consentire che altri potessero disporne, come invece hanno potuto fare.
Il medico ha detto “io non posso non curare” ma io gliel’ho fatto sapere subito: “Se Eluana fosse capace di intendere e di volere le direbbe di no. Chiuso l’argomento”.

Eluana – lo ricordo a chi non lo sa – essendo giovanissima non aveva ovviamente fatto una dichiarazione anticipata, formale e ufficiale, di rifiuto di trattamenti da accanimento. Tutta la vicenda, durante la quale la politica ha dimostrato in alcuni casi la propria disumanità, spesso accanendosi, era legata e ruotava attorno al fatto che un padre – cioè lei – dicesse: “A me Eluana aveva detto chiaramente di non volere accanimenti”.

A entrambi i genitori, non solo al padre. Era sempre presente anche la mamma.

Ora, molti anni dopo, le chiedo: il fatto che, dagli ultimi dati, in Italia le DAT (disposizioni anticipate di trattamento) siano state compilate da meno di 400.000 persone, secondo alcuni sarebbe la dimostrazione che si è fatto “un gran casino” per una pratica che viene utilizzata da pochi, da pochissimi. Sarebbe quindi quasi la dimostrazione che non c’è bisogno di affrontare di tutto questo dibattito su un tema del genere, perché soltanto una strettissima minoranza decide poi di utilizzare questa pratica. Secondo lei?

Sono pochi ad affrontare il problema, d’accordo, ma se anche ce ne fosse uno solo – se anche ci fosse stata soltanto Eluana in tutto il sistema planetario solare – a rivendicare una libertà e un diritto fondamentale costituzionale, questo va e andava rispettato.
La gente non conosce i rischi a cui va incontro, se è “scoperta” nelle sue disposizioni.
Le disposizioni anticipate di trattamento sono importantissime e ci è voluto parecchio tempo per arrivarci. La vicenda di Eluana è terminata nel gennaio del 2009 e per arrivare alla legge del 22 dicembre 2017 pensi un po’ lei quanto ci è voluto.
La questione di fondo è che oggi una persona ha la possibilità di non farsi intrappolare, come invece è stata intrappolata Eluana. La vicenda di Eluana è stata un grande caso costituzionale, che nessuno fino ad allora aveva portato fino in fondo.

Però viviamo in un momento storico in cui alcuni politici, oltre a far finta di niente sui diritti, addirittura sostengono esplicitamente che molte minoranze sono state “sovrastimate”. Dicono: “Rompete le scatole su questioni di diritti civili, sul genere – o quello che loro chiamano il gender – e su altre cose che riguardano soltanto una minoranza”. Dicono: “Se ne rendano conto, sono una minoranza”, lasciando quasi capire che le minoranze non devono rompere le scatole più di tanto.
Ora, lei fa riferimento a un caso – quello del fine vita – che riguarda potenzialmente tutti noi…

Riguarda tutti, nessuno escluso.

…ma, se una volta che una normativa che riconosce la DAT esiste, vi accedono in pochi, la politica può dire “sono pochi” e con questo giustificare il fatto di non occuparsene e non fare altri tipi di norme in questo campo.

No. La gente non utilizza la DAT perché non è informata dei rischi a cui va incontro.
Questo è il problema di fondo: l’informazione.
Trovarsi scoperti in queste situazioni è altamente drammatico.
Nel caso di Eluana, qualcuno ha potuto disporre della sua vita secondo i propri criteri, prima i medici e poi i magistrati. Quelli che hanno detto no a questa libertà e a questo diritto fondamentale costituzionale. E’ veramente follia pura negare questo.
Il tema universale della vita e della morte fa paura a tutti, nessuno escluso, però va affrontato. Eluana, come ho già detto, aveva le idee chiarissime e mai e poi mai si sarebbe sognata di autorizzarlo, dopo essersi espressa chiaramente, nello specifico, un anno prima. E loro non si sarebbero mai sognati. Al primo colloquio con il responsabile noi lo abbiamo detto: “Se è detto così, Eluana avrebbe detto un semplice ‘no, grazie’ all’offerta terapeutica”. Perché il problema di fondo è quel “no grazie” all’offerta terapeutica, in una situazione nella quale lei si trovava e che non poteva escludere uno sbocco nello stato vegetativo, che lei considerava peggiore della morte.
La gente non è informata.
Bisogna informare la gente, se non vuole correre questi rischi
Il problema di fondo è la conoscenza e la consapevolezza.
Le persone non sono informate dei rischi che corrono in determinate situazioni: che altri, cioè, possano disporre della loro vita.

Uno dei pochi aspetti positivi di alcune vicende personali e individuali è che, a volte, riescono a parlare a tutti. Questo fu il caso di Eluana Englaro e di suo padre, che si incaricò pubblicamente di interpretarne le volontà e farle rispettare. Giuseppe Englaro, grazie.

  • Autore articolo
    Massimo Bacchetta
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