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La nuova Torre di Babele

marco garzonio - l'ambrosiano

È la Terra Santa il cupo teatro delle orrende stragi: quella di Hamas e la risposta simmetrica elevata a potenza di Netanyahu spalleggiato da Trump, complicità, paure, impotenze. Luoghi e efferatezza dei crimini suggeriscono il ricorso a cultura, immaginario, antichi miti per interrogarsi da quali mostri interni, forze archetipiche inconsce distruttive son posseduti i responsabili di stragi di civili, uso di fame, sete, annullamento della dignità come armi di guerra, deportazioni. Una consapevolezza collettiva farà forse emergere uno spiraglio di speranza, come in catarsi di tragedie ea “morale” dei miti. Capi di governo che si senton legittimati a continuare a uccidere, sradicare un popolo con violenza e corruzione (5mila dollari offerti ai palestinesi per sloggiare) assomigliano agli antenati intenti a costruire la Torre di Babele. La Genesi narra d’un edificio capace di arrivare al cielo. Secondo il racconto volevano «un nome», «una lingua sola», «un solo popolo», cioè un unico modo di pensare, vedere, intendersi, conformarsi. Tradotto in termini d’oggi unico nome si vede è la forza: solo questa conta, detta regole, determina chi vale, chi va sottomesso, chi eliminato; «lingua sola» è una cultura unica che esclude chi la pensa diversamente: vicini che col solo esistere minacciano, migranti, università, ricerca scientifica, giornalismo, arte; «un solo popolo»: quello che riesce a imporsi grazie ai suoi mezzi e a quelli che ritiene aiuto di Dio: Trump salvato per far grande l’America, eliminare avversari, negare diritti civili, imporre ideologie di evangelici, protestanti, molti cattolici Usa; Netanyahu, Ben Gvir, Smotrich che oltre a Gaza vogliono annettere la Cisgiordania che già vessano per la Grande Israele. Ecco il tragico scenario del tycoon e del Governo di Tel Aviv configura la versione moderna del grande peccato di protervia della Torre di Babele: uomini che scimmiottano Dio, si ergono a creature superiori e si scambiano elogi di eroicità, come unica lingua hanno sé stessi (interessi, etnie, culture, appartenenze, ideologie) e la forza spesa a costruire/distruggere i destini degli altri uomini a seconda delle convenienze (e degli umori). La Torre di Babele crolla perché al Dio di Antico e Nuovo Testamento, che non è quello prêt-à-porter dei sovranisti, appartiene una visione altra: «In ogni uomo c’è qualcosa di prezioso che non si trova in nessun altro. Si deve, perciò, rispettare ognuno secondo le virtù che egli solo possiede e che non ha nessun altro», scrive un antico maestro degli ebrei mitteleuropei, i Chassidim: i «pii». Alla violenza di missili, immobiliaristi, Bitcoin, istanze messianiche risponde l’umanità che coltiva parole d’innumerevoli dizionari, sentimenti, pensieri, culture, sogni, istanze solidali. Esempi: la Global Sumud Flotilla; Delpini che coi vescovi lombardi in Terra Santa; gli artisti a Venezia; i portuali di Genova pronti a bloccare i container; centinaia di diplomatici italiani ed europei che indicano il dialogo; la Statale di Milano e altri 20 Atenei che accolgono studenti palestinesi; cattolici, Ebrei, musulmani italiani che si ritrovano in un documento comune di pace. La Torre di Babele può cadere senza trascinare nel crollo l’umanità, anzi: istruendola. È accaduto in un’era mitica e insegna che è possibile demolirla oggi e in ogni tempo in cui certi uomini dismettono la loro umanità, impiantano cantieri per edificare nuove versioni della Torre e con la violenza negano gli altri, fratelli e sorelle in umanità.

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    Marco Garzonio
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    Errando per Antiche Vie è una grande azione performativa in cui artisti e pubblico percorrono a piedi la distanza che separa Cortina e Milano, tra il 5 e il 16 dicembre, a un mese dall’inizio delle Olimpiadi, per raccontare un territorio incredibile, contraddittorio che per la prima volta viene messo in luce dalle Olimpiadi. Un cammino lungo oltre 250 km, spettacoli teatrali e di danza, letture, pasti di comunità, incontri e dibattiti: un racconto della montagna fatto di sostenibilità, di protagonismo dei territori alpini e prealpini, di chi decide di vivere e lavorare in quota e nei territori periferici, al di là della spettacolarizzazione del momento olimpico. Michele Losi di Campsirago Residenza ha raccontato a Cult tutto il percorso. L'intervista di Ira Rubini.

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