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La bomba di Kim

Quando alle 8:30 di stamane (le 2:30 italiane) parecchi cinesi che abitano al confine con la Corea del Nord hanno avvertito una scossa di terremoto che ha fatto cadere dagli scaffali pentole e vasellame, nessuno ha creduto che si trattasse di un fatto naturale. Qualcosa del genere era già successo lo scorso gennaio ed era stato provocato da un esperimento atomico compiuto dal regime dei Kim. Da lì a poco la conferma: la Corea del Nord, in barba alle risoluzioni Onu e alle sanzioni internazionali appesantitesi dopo quel test di gennaio, ha compiuto il suo esperimento nucleare sotterraneo finora più potente, con una testata nucleare da 10 kilotoni montata su un razzo. Il terremoto provocato dall’ordigno è stato stimato sui 5.3 gradi ma, dice la propaganda di Pyongyang, non ha provocato alcuna fuga radioattiva (fatto per altro confermato anche da scienziati cinesi).

Nei giorni scorsi erano stati compiuti alcuni esperimenti con missili balistici ed è sia simbolico sia significativo che il regime di Pyongyang effettui questi test sempre in concomitanza con qualche grande evento internazionale: il G20 di Hangzhou per i missili di qualche giorno fa, il vertice Asean oggi. Il programma nucleare di Kim Jong-un è sia un’ombra sulle relazioni internazionali, sia una spina nel fianco per i vicini sudcoreani, giapponesi, cinesi, sia una ben congegnata operazione di marketing: «Ci siamo anche noi, non dimenticatelo mai».

Le reazioni sono arrivate a stretto giro: la presidentessa sudcoreana Park Geun-hye ha denunciato la «sconsideratezza maniacale» di Kim, mentre Barack Obama ha avvertito delle «gravi conseguenze» e ha comunicato l’avvio di serrate consultazioni con Seul e Tokyo.

Più complessa la posizione della Cina, Paese protettore e formalmente alleato di Pyongyang ma al tempo stesso esasperato dalle intemperanze del regime nordcoreano.

Pechino ha comunicato di «opporsi fermamente» al test, ma il suo spazio di manovra è limitato, dato che la priorità cinese resta quella di evitare un collasso del regime che provocherebbe con ogni probabilità un’ondata di profughi in direzione delle proprie province nord-orientali e sicuramente l’avvicinamento degli Stati Uniti ai propri confini. Proprio Washington e Seul, in risposta all’escalation nordcoreana, hanno deciso di recente di installare in Corea del Sud il sistema missilistico Thaad, che il sito Foreign Policy così descrive: «Thaad è una recente aggiunta rispetto ai dispositivi anti-missili balistici/intercettori degli Stati Uniti. È entrato in produzione nel 2008 e ha in primo luogo il compito di eliminare minacciosi missili balistici in quella che è conosciuta come la loro fase “terminale” (la “T” nella sigla)». In realtà – continua il sito – il sistema costruito dalla Lockheed Martin è finora predisposto per colpire missili durante la loro fase di discesa e non durante il decollo, ma potrebbe avere un ulteriore sviluppo che gli permetterebbe di colpire anche veicoli ipersonici come il cinese Wu-14. Ed è per questo che Pechino è assolutamente contraria al suo dispiegamento in Corea del Sud.

Così, la Cina si trova letteralmente presa in mezzo tra la necessità di far sopravvivere un regime che non accetta il suo ruolo di Paese protettore e le reazioni della Corea del Sud (e del Giappone) spalleggiata da Washington.

  • Autore articolo
    Gabriele Battaglia
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