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In piazza per difendere l’acqua pubblica

In piazza per difendere l’acqua pubblica e contro la legge regionale sul Riordino del servizio idrico appena approvata dalla Regione guidata da Vincenzo De Luca.

Sotto lo slogan Acqua bene comune. Cambiano la legge, si sono ritrovate diverse migliaia di persone arrivate dalle varie province della Campania, il Coordinamento campano acqua pubblica, cittadini, decine di sindaci dei diversi comuni campani.

In testa al corteo dietro lo striscione Ridiamo l’acqua ai territori padre Alex Zanotelli, il missionario comboniano che da una decina di anni, da Korogocho periferia di Nairobi, si è trasferito Napoli e che oggi sull’acqua invita alla disobbedienza civile.

Accanto a lui il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, il primo sindaco a dare seguito alle indicazioni del referendum del giugno 2011 e ripubblicizzare la gestione dell’acqua. In Italia 27 milioni di persone bocciarono la privatizzazione dell’acqua, in Campania due milioni e mezzo di persone si mobilitarono.

Per difendere gli esiti di quel referendum, il Coordinamento campano acqua pubblica è tornato in piazza a Napoli. In direzione contraria al referendum, come denuncia il Coordinamento, si muove la nuova legge approvata il 16 novembre dal Consiglio regionale campano sul ‘Riordino del servizio idrico integrato ed istituzione dell’Ente idrico campano’.

“Il referendum diceva acqua pubblica e gestione attraverso enti di diritto pubblico senza profitto e partecipazione. La partecipazione non c’è mai stata. De Luca non interloquisce con i cittadini. Hanno incentrato su di loro un grande apparato, i cui costi li pagheremo noi cittadini e sindaci saranno messi fuori”, spiega Consiglia Salvio del Coordinamento campano Acqua pubblica.

I cittadini in piazza chiedono il ritiro di quella legge che definiscono “inaccettabile”.

“E’ una legge – prosegue Salvio – vuota di contenuti, solo piena di principi. Chiediamo il ritiro della legge perché non possono decidere tutto venti persone più due (presidente e direttore generale) a discapito dei sindaci, che non avranno più potere esecutivo”.

Ma di cosa si tratta, nel merito?

La legge è stata approvata il 16 novembre durante un convulso consiglio regionale. Scranni occupati dal Movimento 5 Stelle per bloccare la legge sull’acqua e chiedere le dimissioni di De Luca – coinvolto in una nuova bufera giudiziaria.

La legge è poi passata, votata dal centrosinistra, Pd in testa, nel giro di una decina di minuti. Prevede la nascita di un Ente idrico campano su cui vengono accentrati i poteri di gestione, aprendo la strada alla privatizzazione.

Gli Ato (ambiti territoriali ottimali) da 5 passano a un Ato unico regionale, diviso poi in cinque Consigli di distretto, formati da trenta membri per distretto, eletti dall’assemblea dei sindaci.

I comitati fanno notare che i Consigli di distretto sono relegati a un ruolo marginale, poiché non hanno una struttura amminstrativa propria, rapporto diretto con il gestore del servizio idrico e nessuna facoltà di programmazione autonoma.

Il potere è accentrato nella mani del Comitato esecutivo, organo dell’Ente idrico campano: venti membri che eleggono presidente, direttore generale cui viene affidato il potere di decidere su tariffe, piano d’ambito, la forma di gestione.

Una legge, concludono i comitati, che ricalca quella del centrodestra di Caldoro.

Come si diceva, in piazza c’era anche il sindaco di Napoli Luigi De Magistris. Napoli è stata la prima grande città – seguita poi da alcuni comuini più piccoli – ad aver attuato il referendum del giugno 2011 e dato seguito a un percorso, in cui non sono mancate le criticità, per cui si è passati da una Spa a un’azienda speciale di diritto pubblico Abc (Acqua bene comune).

La legge regionale tenta di sovvertire la sovranità popolare e le decisioni del Comune di Napoli. E’ un fatto molto grave e noi impugneremo la legge”, ha detto il sindaco che ha anche auspicato che “accanto al ricorso che presenterà il Comune di Napoli, ci siano altri ricorsi”.

  • Autore articolo
    Stefania Persico
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