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Gaza: l’occupazione costruita sui corpi delle donne

gaza donne e bambini

Immaginate di essere incinta a Gaza. Di dover scappare, lasciare la vostra casa prima che venga distrutta. Di andare verso il centro della Striscia, costruire una tenda, e poi dover scappare di nuovo. A sud, a Khan Younis, poi ancora più giù a Rafah e poi tornare a nord. E ogni volta dover ricominciare, con il terrore delle bombe che cadono intorno a voi, il rumore costante dei droni, la paura per i vostri bambini e per quello che ancora non è nato.

Immaginate poi il giorno del parto, le contrazioni in tenda, nessuna privacy, la corsa verso l’ospedale o verso ciò che ne rimane. Partorire sul pavimento, senza anestesia, in mezzo a centinaia di altre persone ferite, spaventate o morte. E poi tornare alla tenda, o nella scuola dell’ONU che ora è un sovraffollatissimo rifugio, stipate tra laghi di liquami, cumuli di spazzatura e montagne di macerie. E pregare ogni giorno che la guerra finisca. Che il vostro bambino appena nato possa diventare grande e vedere un mondo diverso.

Poi immaginate di avere 20 anni, di avere le mestruazioni e di non trovare l’acqua per lavarvi né gli assorbenti. Non è solo una questione di igiene. Immaginate l’umiliazione e la vergogna.

E pensate di dover scappare da casa lasciando indietro ogni cosa e vedere poi sui social un gruppo di soldati israeliani entrare nella vostra camera ormai distrutta, aprire i cassetti, prendere le vostre mutande, alzarle come un trofeo, mentre nell’altra mano tengono il mitra.

Immaginate tutte queste cose, e provate a pensare cosa voglia dire essere una donna nella Striscia di Gaza oggi.

Non c’è solo la violenza fisica, la morte e il dolore. Il fatto che il 70% delle vittime nella Striscia di Gaza erano donne e bambini. C’è l’umiliazione e l’oggettivazione.

Le foto e i video dei soldati israeliani che sfilano con addosso i vestiti delle palestinesi scappate o forse uccise, che sul carro armato montano una bambola gonfiabile, o che su TikTok ballano sventolando mutande e reggiseni trovati in una casa ormai abbandonata nel nord della Striscia, sono l’esempio più concreto di quanto colonialismo e patriarcato siano due facce della stessa medaglia. Di quanto la narrazione del governo israeliano, che vuole che i palestinesi siano visti come inumani, pesi ancora di più sulle donne che, nel processo di disumanizzazione, vengono sessualizzate e ridotte a solo corpo.

La violenza di genere a Gaza – che sia fisica, sessuale o psicologica – è solo una parte dell’enormità di ciò che accade nella Striscia. Per questo, forse, è poco raccontata. Non è però un elemento secondario, ma complementare perché è sui corpi delle donne che si costruisce l’occupazione.

  • Autore articolo
    Martina Stefanoni
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    Se ne parla solo quando c'è un suicidio, ma il tema della salute mentale negli istituti penitenziari va ben oltre i fatti di cronaca nera ed è un tema che investe chiunque abbia a che fare col carcere. Detenuti e detenute in primis, ma anche chi tra quelle mura ci lavora: educatori e educatrici, psicologi e psicologhe, agenti di polizia penitenziaria. Tra sovraffollamento, scarse condizioni igienico-sanitarie e politiche poco umane, si rischia di impazzire. Ne abbiamo parlato con il consigliere comunale di Milano Alessandro Giungi, il consigliere regionale lombardo Luca Paladini, il nuovo garante dei detenuti di Milano Luigi Pagano, col coordinatore del dipartimento di amministrazione penitenziaria della Fp-Cgil della Lombardia Andrea De Santo e con la coordinatrice di Antigone Lombardia Valeria Verdolini.

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