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Francia, il caso Pélicot sta cambiando il modo in cui si parla di violenza sessuale

Gisèle Pelicot

Questo venerdì è l’ultimo giorno di arringhe della difesa nel caso degli stupri di Mazan. Dei 51 imputati, di cui uno, in fuga, giudicato in contumacia, ben 34 negano di aver intenzionalmente violentato Gisèle Pélicot e chiedono l’assoluzione dalle accuse. Il procedimento prevede che tutti loro possano esprimersi un’ultima volta davanti ai giudici a inizio settimana prossima, prima che la corte si ritiri per deliberare.

Aspettando il verdetto, previsto il 19 o 20 dicembre, gli attori che si occupano della lotta alle violenze sessuali e sessiste cercano di sfruttare al massimo la finestra di attenzione che questo processo storico ha aperto su certi temi. Negli ultimi mesi si sono moltiplicate le iniziative di piazza, ma anche quelle di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e le operazioni, anche attraverso i media, per diffondere i contatti dei numeri e dei centri antiviolenza a strati della società che normalmente è difficile raggiungere. In questo contesto, la Fondation des femmes, che sostiene oltre 500 progetti associativi nel paese, ha lanciato una campagna di raccolta fondi con lo slogan “quello che ci dicono non si può più ignorare”.

Tra le testimonianze raccolte, spicca quella di Caroline Darian, nome d’arte della figlia de Gisèle Pélicot. Caroline, che ha scritto un libro sulla vicenda, racconta di quando la polizia le ha mostrato delle foto ritrovate nel computer del padre e diffuse sui social: in dissociazione totale, non si riconosce. Eppure in quegli scatti è proprio lei, mezza nuda e addormentata. Da allora, è certa che il padre l’abbia drogata e abbia abusato di lei. Ha fondato un’associazione che si batte per aiutare le vittime di sottomissione chimica e in aula ha chiesto al padre di dire la verità su quello che le ha fatto, per potersi ricostruire. Perché, dice, è sempre meglio l’inferno della verità dell’inferno del dubbio.

Lui nega e, contrariamente al caso di Gisèle Pélicot, oltre a quelle foto non ci sono prove. Un problema non da poco per tutte le vittime di violenza e particolarmente impattante nei casi di sottomissione chimica, se si pensa ad esempio che è difficilissimo anche solo verificare che sia avvenuta. In Francia, ricorda la Fondazione, il 91% delle vittime conosce il suo aggressore ma solo il 6% delle denunce per stupro porta all’apertura delle indagini. In assenza di prove tangibili, è praticamente impossibile ottenere ascolto e aiuto da parte delle istituzioni. Anche per questo, un processo come quello di Mazan è fondamentale per permettere una maggiore presa di coscienza del problema a tutti i livelli della società.

  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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    1) “Il mondo non deve lasciarsi ingannare: a Gaza il genocidio non è finito”. Il nuovo rapporto di Amnesty International ci chiede di non voltare la faccia dall’altra parte. (Riccardo Noury - Amnesty Italia) 2) Negligenza e corruzione. Cosa c’è dietro l’incendio del complesso residenziale di Hong Kong costato la vita a decine di persone. (Ilaria Maria Sala, giornalista e scrittrice) 3) Stati Uniti, l’attacco di Washington potrà avere effetti a lungo termine sulle politiche migratorie dell’amministrazione Trump e sulla vita di migliaia di migranti. (Roberto Festa) 4) Francia, dall’estate 2026 torna il servizio militare volontario. Il presidente Macron ha annunciato oggi quello che sembra più che altro un segnale politico e strategico. (Francesco Giorgini) 5) Spagna, una marea di studenti e professori in piazza a Madrid contro i tagli alle università pubbliche. La regione della capitale, guidata dalla destra, è quella che spende meno per gli studenti in tutto il paese. (Giulio Maria Piantedosi) 6) World Music. Entre Ilhas, l’album che celebra diversità e affinità musicali degli arcipelaghi della Macaronesia. (Marcello Lorrai)

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    A Gaza il genocidio non è finito

    A oltre un mese dall’annuncio del cessate il fuoco nella striscia di Gaza, le autorità israeliane stanno ancora commettendo il crimine di genocidio nei confronti della popolazione palestinese. Un nuovo rapporto di Amnesty International, che contiene un’analisi giuridica del genocidio in atto e testimonianze di abitanti della Striscia di Gaza e di personale medico e umanitario, evidenzia come Israele stia continuando a sottoporre deliberatamente la popolazione della Striscia a condizioni di vita volte a provocare la sua distruzione fisica, senza alcun segnale di un cambiamento nelle loro intenzioni. Martina Stefanoni ne ha parlato con Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia.

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    Poveri ma belli di giovedì 27/11/2025

    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Stuart Murdoch: "Il mio primo romanzo non è una biografia, ma racconta la mia storia e la storia della mia malattia"

    Il leader dei Belle & Sebastian racconta "L'impero di nessuno", il suo libro d'esordio, ai microfoni di Volume. Un libro che lui stesso definisce di autofiction: "La maggior parte delle cose che accadono a Stephen, il protagonista, sono successe anche a me". 10 anni fa, Murdoch aveva scritto una canzone con il medesimo titolo: "Il romanzo tocca gli stessi temi: Stephen ha un'amica del cuore, Carrie, entrambi hanno la stessa malattia e si sostengono e ispirano a vicenda". La malattia è l'encefalomielite mialgica: "Mentre scrivevo immaginavo il mio pubblico, e il mio pubblico era il gruppo di supporto per l’encefalomielite che frequentavo negli anni Novanta. Immaginavo di scrivere per loro, e questo mi ha aiutato a trovare il tono giusto". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Stuart Murdoch.

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