Questa volta la citazione potrebbe suonare così: “I meriti dei figli non ricadano sui padri”, e soprattutto i padri ministri delle finanze. Come era accaduto a Padoan nei governi di centrosinistra, anche Tria pare soccombere allo stesso destino: i figli che scelgono di compiere gesti di cui forse in privato essere molto orgogliosi ma che in pubblico generano parecchio imbarazzo.
Uno degli skipper che si alternano in barca a vela a sostegno e aiuto della nave Jonio che nel Mediterraneo salva i profughi si chiama Stefano Tria, è entrato in contatto con la missione inviando semplicemente una candidatura on line.
E’ il figlio del ministro dell’economia che ha un bel po’ di grattacapi in questo momento a causa dei conti che non tornano e della lista inesauribile dei desideri dei Cinque stelle, ma soprattutto è ministro di un governo che chiude i porti agli stranieri e vuole arrestare gli equipaggi delle navi, anche italiane, che violano la legge e che vogliono salvare a tutti i costi i profughi che rischiano di annegare.
Mediterranea ha confermato che a bordo della nave c’è anche il figlio dei ministro, a cui non hanno chiesto di esibire il grado di parentela, come non lo hanno fatto per nessuno del resto. Una scelta di campo per Stefano Tria che probabilmente è giusto che rimanga nell’ambito dei chiarimenti più riservati tra padre e figlio.
Ma tornando indietro con la mente, come non associare Tria al precedente ministro dell’economia Padoan, la cui figlia ha guidato i cortei organizzati a Foggia contro il caporalato, un’attivista che da molto tempo si batte a difesa dei braccianti, soprattutto stranieri, e che lavora con associazioni che avevano chiesto misure più coraggiose di quelle che il padre con il governo di centrosinistra stava valutando contro gli sfruttatori di braccia nelle terre della Capitanata.
Meriti o colpe che viste da una parte o dall’altra, potrebbero in ogni caso essere un sano esempio di dialettica e confronto tra generazioni: i padri, anche ministri, che potrebbero imparare dai figli.
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L’ONU lancia l’allarme per Gaza: “Servono più aiuti”. Ma il valico di Rafah resta chiuso
A Gaza resta in vigore il fragile cessate il fuoco concordato a Sharm el Cheik, ma l’intesa tra Hamas e Israele è costantemente minacciata da accuse reciproche di violazione degli accordi.
Al centro delle tensioni con il governo di Tel Aviv ci sono soprattutto i 19 corpi degli ostaggi non ancora restituiti dai miliziani, e il disarmo dell’organizzazione palestinese. Hamas da parte sua accusa Israele di violare la tregua e denuncia che sui corpi dei palestinesi morti in carcere e riconsegnati da Tel Aviv ci sono evidenti segni di tortura.
Resta grave la situazione umanitaria: le agenzie Onu affermano che nella Striscia entra una quantità ancora troppo esigua di aiuti umanitari, mentre l’organizzazione mondiale della sanità parla di una diffusione incontrollata delle malattie infettive. Intanto il valico di Rafah resta chiuso.
Giovanna Fotìa, dell’Ong WeWorld, è la responsabile dei progetti per la Palestina.
Rassegna stampa internazionale di venerdì 17/10/2025
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