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Ferragosto, e dire solo «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo»

marco garzonio - l'ambrosiano

Cammino in montagna lungo un torrente. Incontro uomini e donne, giovani e meno. Per una vita in quei percorsi ci si è salutati, oggi è cosa rara. Molti hanno all’orecchio uno smartphone o lo guardano, in videochiamata. Non faccio la morale, constato. M’accompagna la domanda. Come si fa ad andare tra alberi, prati, vette e non guardarsi attorno, non vedere i fiori, le nuvole che corrono veloci, le cime dove son spariti i ghiacciai e poi ce ne lamentiamo. Passare senza vedere la natura intorno rimanendo però connessi con un mondo proprio, privato non è diverso da quanto succede a Milano. Sul metrò chi sta seduto chinato sullo smartphone non vede se qualcuno, magari anziano, davanti a lui fatica a reggersi in piedi. E per strada si rischia d’essere urtati da chi cammina e parla al telefono occupandosi dei fatti suoi. Ciascuno di noi segue abitudini, convinzioni, bisogni propri e intrattiene relazioni personali legittime intanto accadono cose che toccano tutti e cambiano vita, mondo, futuro. Nessuno riesce a fermare Netanyahu dalle sue scelte criminali; Meloni dopo due anni ha condannato Tel Aviv ma non dà stop alle armi e si oppone a sanzioni; le opposizioni alzano la voce, poi litigano come i polli di Renzo (che si beccavano e sarebbero finiti sulla tavola di Azzeccagarbugli); Trump prosegue a destabilizzare le regole internazionali e il suo ego senza confini va bene a Putin che continua a vedere Kiev come un boccone; schiere di disperati in fuga da fame e guerre affogano nel Mediterraneo; i poveri in Italia son quasi 6 milioni e chi lavora ha i salari più bassi d’Europa. Guardare come segnale di luce al milione di Papa boys & girls di Tor Vergata? La Chiesa cosa farà con l’espulsione del Presidente di Pax Christi come fosse un terrorista? Per la Grande Israele toccherà ai cristiani esser cacciati dopo gli arabi? Montale nel 1923, quando l’ascesa di Mussolini avrebbe potuto essere ancora fermata, scriveva versi da leggere per intero (è vacanza: c’è tempo): «Non chiederci la parola che squadri da ogni lato / l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco / lo dichiari e risplenda come un croco / perduto in mezzo a un polveroso prato. / Ah l’uomo che se ne va sicuro, / agli altri ed a sé stesso amico, /e l’ombra sua non cura che la canicola / stampa sopra uno scalcinato muro! / Non domandarci la formula che mondi possa aprirti / sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. / Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo». Nel buio del Ferragosto a 80 anni dalla fine della guerra, proprio nell’anniversario di Hiroshima e Nagasaki, sembra non esserci parola che si faccia azione. Non si riesce a dare una mano nel fermare il corso degli eventi per quanto ciascuno sa e può e vuole osare: nel piccolo anche, premessa a ciò che potrà esser grande. Ci si aggrappa alla speranza di dire almeno «ciò che non siamo, ciò che non vogliamo» e di poter continuare a raccontare angosce e attese alle Radio, sui giornali, in Tv. Netanyahu che fa fuori i giornalisti da noi non è arrivato.

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    Marco Garzonio
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    È da poco uscito il secondo EP di Wayloz, artista italo-nigeriano che oggi è passato a trovarci a Volume per suonare alcuni brani. “Mentre nel precedente ep ho voluto catturare l’essenza di ciò che ero io con la chitarra in mano, qui c’è molto più spazio per gli arrangiamenti e per altri strumenti musicali”, spiega Wayloz. Tra folk primitivo, altrock, blues e suoni dell’Africa tribale, il disco è un viaggio tra atmosfere desertiche e rurali, che esplora il rapporto con la natura ma non solo: il titolo “We All Suffer” è più che altro un invito a riconoscere una condizione che è di tutti e a “trovare solidarietà e fratellanza con le altre persone”. L'intervista di Elisa Graci e Dario Grande e il MiniLive di Wayloz

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