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Decimo anniversario di Occupy Wall Street. L’intervista a Chomsky del 2012

occupy wall street

Qual è stato il suo primo pensiero sul movimento Occupy?

All’inizio è stato piuttosto sorprendente. Se allora mi avessero chiesto se quella tattica poteva avere qualche speranza, avrei detto di no. Ma poi le occupazioni sono diventate centinaia, migliaia e non solo negli stati uniti. Improvvisamente è diventato normale parlare della grave diseguaglianza che si è creata nell’ultima generazione. I movimenti Occupy delle diverse città hanno fatto cose diverse, sono indipendenti, non c’è un’organizzazione centralizzata. Attività locali, di quartiere e iniziative su larga scala hanno iniziato a fiorire dappertutto. E stanno proseguendo. La tattica iniziale di stare seduti nella pubblica piazza ha un’efficacia limitata. Ogni metodo di protesta dopo aver raggiunto un picco avrà risultati decrescenti. E questa evidentemente non poteva continuare. Anche il tempo rende la cosa impossibile, ma in ogni caso alla lunga diventa inaccettabile per la comunità. È durata qualche mese e ha avuto un grande successo. Da allora il movimento è cambiato e si è dedicato a nuove attività. Meno visibili, perché non te ne puoi accorgere semplicemente facendo una passeggiata in centro. Ma sono lì e stanno facendo un sacco di cose. A volte hanno ottenuto anche un riconoscimento pubblico, come dopo l’uragano Sandy, a New York. Dove andrà non si può sapere ma certamente ha avuto un effetto galvanizzante sull’impegno degli attivisti e delle organizzazioni. È questo il punto in cui siamo ora.

Una volta finito il periodo delle occupazioni, cosa è stato ottenuto?

Una delle iniziative di Occupy, che non ha ricevuto la stessa attenzione delle occupazioni di Zuccotti Park, è il fatto di aver creato delle comunità di aiuto reciproco. Cucine comuni, assistenza sanitaria condivisa, biblioteche, spazi aperti per discutere. Questo è molto importante. Siamo una società atomizzata, le persone sono abituate a rimanere separate, non c’è il concetto di fare cose insieme per un bene comune. Le organizzazioni che tradizionalmente erano impegnate in queste cose sono state marginalizzate. Come i sindacati, che sono stati sotto attacco per anni e ora sono quasi inesistenti. Questo spirito è stato ravvivato, per la maggior parte nei giovani ma non solo, ha creato legami, associazioni, ma più semplicemente ha rivitalizzato il concetto di lavorare insieme per il bene comune. Questo aspetto del movimento ha effetti durevoli ed è molto importante per i progressi che può portare.

Quindi Occupy Wall Street è anche un tentativo di ricostruire un senso di solidarietà in una società individualistica. È un caso che sia nato nel paese del sogno americano?

C’è stato un grande sforzo per creare l’immaginario del sogno americano, in buona parte è propaganda. In realtà gli stati uniti hanno uno dei peggiori sistemi di mobilità sociale tra i paesi industrializzati. Da una parte c’è il sogno americano, dall’altra decine di migliaia di persone muoiono ogni anno perché non possono permettersi l’assistenza sanitaria. Il benessere è molto concentrato. Per la maggior parte della popolazione questo è un periodo di stagnazione, o di declino. Questo non è un sogno. Non è un segreto che sia in atto un grande sforzo per creare una società di consumatori. Consumismo significa: puoi cercare di massimizzare il benessere per te stesso, non per la comunità. Per esempio, se devo andare a lavorare, il sistema di mercato mi offre delle scelte: posso comprare un Toyota o una Ford, ma non posso comprare una rete della metropolitana, o un altro tipo di trasporto pubblico. Le possibilità che richiedono un impegno comune non sono disponibili sul mercato. Quando sei portato a considerare solo i benefici individuali, automaticamente si indebolisce l’aiuto reciproco e l’iniziativa comune. Cose che sono necessarie in molti settori. Occupy ha richiamato in molte persone la consapevolezza che dovremmo fare cose insieme, che è questo il modo di ottenere cose importanti.

Lei ha partecipato e supportato Occupy Wall street in vari modi, ha anche scritto un libro sul movimento. Quali sono le sue personali aspettative?

Nelle questioni umane le previsioni hanno sempre un basso livello di probabilità. Per esempio, guardiamo indietro, cinquanta anni fa. Un gruppo di studenti neri si è seduto in una tavola calda di una cittadina del North Carolina, chiedendo di essere serviti. Ovviamente gli hanno arrestati e picchiati brutalmente. Quella poteva essere la fine della storia, e ci si potava aspettare che andasse così. Ma non è successo, anzi ha dato il via ad un grande percorso per i diritti civili e razziali. Penso che lo stesso discorso sia valido in questo caso. Semplicemente, non lo possiamo sapere.

  • Autore articolo
    Aurora D'Aprile
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    “Regole a Milano” sempre più spietate: i Delta V raccontano il nuovo album

    E’ da poco uscito “In Fatti Ostili”, nuovo album della storica formazione milanese Delta V. Durante il tour promozionale del disco, Martina e Carlo sono passati a Volume per raccontarcelo e suonarci alcuni pezzi dal vivo. A legare le nuove tracce, raccontano, “è stato il senso di spaesamento” ma anche “la sensazione di vivere in un mondo sempre più ostile e rivolto unicamente a se stesso”. Nella forma di un elegante cantautorato elettronico, l’album offre una lucida fotografia della società di oggi, in cui concetti di fiducia, altruismo e speranza paiono sempre più lontani. La metafora che la band utilizza per affrontare questi temi è spesso quella della città da cui proviene: “Milano ricorda molto Dorian Grey, si specchia e si vede sempre bella e giovane ma manca sempre più di sostanza”. Ascolta l’intervista e il MiniLive dei Delta V, a cura di Dario Grande.

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