Approfondimenti

Francia, cronaca di un’elezione infinita

In questa campagna per l’elezione del nuovo presidente francese ci sono solo due cose certe. La prima è che siamo di fronte ad una delle campagne elettorali più lunghe della storia recente. La seconda è che in questi mesi si è capito che puo’ succedere davvero di tutto.

Aprile 2016, un anno fa: Nuits Débouts e le grandi manifestazioni contro la legge sul lavoro, che il primo ministro Manuel Valls ha fatto passare con il 49.3 (la nostra fiducia), agitano le piazze francesi. Tutti sono consapevoli che alle elezioni manca ancora un anno e se da un lato c’è chi cerca di capitalizzare sullo scontento popolare, tra le file di quei cittadini di sinistra che avevano votato il partito socialista si dice sempre più spesso che la rivolta passerà per l’astensione. Mélénchon, che aveva già dichiarato a febbraio, come Marine Le Pen, la sua candidatura, spunta qui e là durante le manifestazioni ma sembra invecchiato e stanco e se lo filano in pochi. “Che vengano pure in piazza, i politici” si sente dire spesso “ma che non ci strumentalizzino, perché ne abbiamo abbastanza di loro!”

In parlamento e sui giornali girano delle strane voci. Ci si chiede se François Hollande si ripresenterà, lui che aveva promesso più volte di diminuire il numero di disoccupati, senza riuscirci, e che gode del minor tasso di popolarità nella storia della Quinta Repubblica (dal 1958). Hollande lascia tutti sulle spine ma in privato sembra convinto di essere l’unico in grado di battere Marine Le Pen che contrariamente a lui è sempre più popolare e puo’ vantare il buon risultato delle regionali 2015. Nel frattempo, il suo ministro dell’economia e protetto, Emmanuel Macron, dà segni di impazienza e moltiplica dichiarazioni alla stampa e interventi pubblici, al punto da essere più volte richiamato, anche se bonariamente, dal capo dello Stato. A fine agosto, dopo un’estate calda in cui l’attentato di Nizza e il caso burkini hanno agitato le cronache mondiali, Macron lascia ufficialmente il governo e annuncia che correrà per la presidenza alla testa di un nuovo movimento politico cittadino, né di destra né di sinistra, invitando gli uomini e le donne di buona volontà a mettersi En Marche!

A questo punto i competitor in lizza sono almeno tre, se non contiamo i piccoli candidati, e per un po’ spariscono dai radar per lasciare posto al grande dibattito autunnale. L’organizzazione delle prime primarie della destra. Vista l’impopolarità del governo Hollande, sembra chiaro a tutti che il rappresentante scelto dai Republicains sarà anche il prossimo presidente Francese. Al punto che molti elettori che si considerano di sinistra si chiedono se andare a votare, in modo da far eleggere il meno peggio e, soprattutto, non Sarkozy. Nelle strade di Parigi già si sente dire “Juppé presidente” ma il grande favorito sarà sconfitto a sorpresa al secondo turno dall’outsider della primaria. François Fillon era dato a meno del 15% a inizio autunno ma l’appoggio dei movimenti cattolici, che si erano strutturati durante le proteste conto la legge sul matrimonio per tutti, e la sua proposta di austerità e serietà fanno il miracolo. Sui quasi 4 milioni e mezzo di elettori al secondo turno, il 66% vota per lui. Le primarie sono un successo, il risultato un plebiscito e si annuncia già uno scontro Le Pen/Fillon il 7 maggio che fa venire brividi freddi a una gran parte della popolazione francese. Ripetere la scelta destra/estrema destra come nel 2002? Non tutti sono sicuri di farcela. Non con un candidato che porterebbe i cattolici integralisti al governo, che vuole diminuire di mezzo milione il numero di dipendenti statali e che non esprime chiaramente le sue idee sul diritto all’ interruzione di gravidanza.

A dicembre pero’ succedono tre cose che mescolano le carte: Hollande rinuncia a ricandidarsi, una scelta mai fatta prima da un presidente in carica e accolta con sollievo e un pizzico di ammirazione. Mélenchon ottiene l’appoggio dei militanti del Partito Comunista al programma della France Insoumise, contro il parere dei dirigenti, e ha ormai a disposizione una rete molto attiva sul territorio nazionale. Macron, che all’estero veniva già lodato come il nuovo politico brillante (in Italia lo si paragonava al Renzi delle prime ore) ma che in patria era considerato un po’ un fuoco di paglia, appoggiato solo dagli studenti in economia, dai banchieri e da qualche giovane imprenditore, riunisce 15.000 persone in un meeting a Parigi. E conferma di non voler partecipare alle primarie della sinistra di fine gennaio. Infatti adesso sono le varie anime del partito socialista (con qualche outsider) che si sottopongono al voto popolare. Ma queste nuove primarie non suscitano lo stesso entusiasmo di quelle della destra e si vede. Per molti i candidati discutono di aria fritta, perché comunque portano sulle spalle il peso di un quinquennio di governo deludente e assolutamente non di sinistra. Al primo turno vota poco più di 1 milione e mezzo di persone. Quando pero’ Benoit Hamon arriva al secondo turno contro Manuel Valls, ecco che chi pensava che votare fosse inutile decide che, forse forse, si puo’ fare in modo che qualcuno di sinistra guidi il PS. E far pagare allo stesso tempo all’ex primo ministro la scelta di porre la fiducia sulla legge sul lavoro, che proprio non va giù.

Tutti i principali partiti hanno ormai il loro candidato in gara, quand’ecco un altro colpo di scena. Il 25 gennaio il Canard Enchainé svela il Penelopegate, o come Fillon avrebbe fatto passare per anni sua moglie (e i suoi figli) come assistente parlamentare, profumatamente pagata dallo Stato. La notizia è una bomba per il candidato della destra morale che propone un programma lacrime e sangue. La cosa peggiore è che per giustificarsi, Fillon sciorina una bugia via l’altra, regolarmente smascherate dai giornalisti. Per strada la gente è mezza incredula: “Non sono di destra ma l’avevo sempre considerato un uomo onesto e serio!” Mezza ironica e rassegnata: “Ecco, come volevasi… sono proprio tutti uguali i nostri politici!”, che è una delle frasi più ricorrenti di questa campagna elettorale. Quando riceve l’avviso di garanzia, anche il suo partito sembra volerlo abbandonare. La situazione è talmente critica che Fillon organizza una grande manifestazione al Trocadero e accusa la stampa di averlo preso di mira e il governo Hollande di aver ordito un complotto contro di lui mentre ribadisce che non ci sono alternative alla sua candidatura. Gli elettori di destra si dividono ormai tra chi lo sostiene a oltranza, prendendosela con le inchieste ad orologeria, e chi, disgustato, si cerca un altro candidato. Precipitato nei sondaggi, oggi lotta per la terza o quarta posizione contro Mélenchon. Quest’ultimo ha iniziato un’incredibile rimonta e ha distanziato Benoit Hamon che per carità sta simpatico a molti “ma proprio non ha il carisma”. I punti in comune tra i due sono tanti ma le speranze iniziali di un’alleanza di sinistra si infrangono in poche settimane. Hamon non puo’ prendersi la responsabilità di cedere il posto all’ex compagno di partito perché segnerebbe la fine del PS. Mélenchon, che non ha nemmeno partecipato alle primarie, non è proprio il tipo da abbandonare il palco dopo “aver lavorato per anni per arrivare qui”. L’uno propone all’altro di raggiungerlo. Non se ne farà nulla. Sospiri rassegnati e di sollievo si fanno sentire da entrambe le parti.

Insomma, pare proprio che Marine Le Pen e Macron siano destinati ad incontrarsi al secondo turno. La candidata del Front National è data in leggera discesa nelle inchieste d’opinione, ma era prima dell’attentato sugli Champs Elysées avvenuto a tre giorni dal voto. Macron è accusato da alcuni di avere un discorso vuoto e pomposo, di essere il servo del sistema che si dichiara antisistema, da altri di avere l’appoggio incondizionato dei media. Chi lo segue pero’ lo adora, quasi lo venera, e sostiene sia l’unico in grado di unire il paese e sconfiggere il Front National. L’unico in grado di rinnovare la Francia, di dinamizzarla, e l’unico vero candidato europeista. In meno di un anno è riuscito a mobilitare più di 250.000 persone sul terreno*, molte delle quali non si erano mai impegnate in politica prima. L’unico dubbio è che sia tentato di offrire qualche poltrona ai politici di mestiere che lo hanno appoggiato l’uno dopo l’altro: “sarebbe una grande delusione” dicono i suoi sostenitori.

Adesso ci siamo, e tutto è ancora possibile. Il numero di indecisi non è mai stato cosi’ alto. Il rischio di un voto di protesta esiste, anche se l’ultimo attentato potrebbe favorire più Fillon, portando alle urne anche la destra delusa dagli scandali, che Marine Le Pen, che negli ultimi tempi ha coccolato lo zoccolo duro dei suoi elettori mettendo da parte la moderazione. Loro del resto affermano tra il rassegnato e l’indifferente che “chiunque si presenti contro Marine sarà presidente”. E forse la vera sorpresa finale sarebbe non veder passare il primo turno colei che è riuscita a normalizzare il Front National.

  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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    1) “La gente non lascia Gaza City perché non sa dove andare o perché non può permetterselo”. Migliaia di persone restano nella città della striscia, mentre l’esercito continua a bombardarla. (Jacob Granger - MSF) 2) “Israele sta commettendo un genocidio, ma gli altri paesi hanno l’obbligo giuridico di fare tutto ciò che possono per impedirglielo”. In esteri la seconda puntata dell’intervista a Chris Sidoti, giudice della commissione Onu. (Valeria Schroter, Chris Sidoti - Commissione Onu d'inchiesta per i territori palestinesi) 3) La Francia ancora in piazza. Un milione di persone mobilitate dai sindacati per protestare contro la legge di bilancio di Bayrou. (Veronica Gennari) 4) La tragedia umanitaria della guerra in Sudan, e i sudanesi che resistono. Premiata in Norvegia una rete di associazioni comunitarie che lavorano per favorire l’ingresso di aiuti. (Irene Panozzo, analista politica) 5) Donald Trump alla corte britannica. La luna di miele tra Keir Starmer e il presidente Usa è soprattutto una questione di business. (Marco Colombo, giornalista) 6) World Music. Together for Palestine, il concerto organizzato da Brian Eno a Londra contro il genocidio. (Marcello Lorrai)

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    L'Orizzonte è l’appuntamento serale con la redazione di Radio Popolare. Dalle 18 alle 19 i fatti dall’Italia e dal mondo, mentre accadono. Una cronaca in movimento, tra studio, corrispondenze e territorio. Senza copioni e in presa diretta. Un orizzonte che cambia, come le notizie e chi le racconta. Conducono Luigi Ambrosio e Mattia Guastafierro.

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    Alessio Lega ricorda Fausto Amodei: "Sublime la sua scrittura, una persona tenera e ironica"

    È morto a 91 anni Fausto Amodei, figura cruciale per la canzone popolare italiana che alla fine degli anni cinquanta aveva contribuito a fondare il Cantacronache, il primo esperimento di canzone politica “d’autore” in Italia. Tra i suoi capolavori 'Per i morti di Reggio Emilia', una delle canzoni popolari e politiche più suonate nelle piazze d’Italia. Ma "le sue canzoni sono riuscite ad andare ben oltre il suo nome” diventando parte dell’immaginario collettivo, ricorda il cantautore Alessio Lega ai microfoni di Radio Popolare. Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Volume di giovedì 18/09/2025

    In compagnia di Niccolò Vecchia telefoniamo ad Alessio Lega per ricordare, nel giorno della sua scomparsa, Fausto Amodei, un vero simbolo della canzone politica d’autore italiana. Segue mini live in studio con il giovane jazzista Francesco Cavestri in vista del suo concerto al Blue Note di martedì prossimo. Nella seconda parte siamo in compagnia di Piergiorgio Pardo, nostro ospite fisso per la rubrica LGBT, con cui parliamo del film “I segreti di Brokeback Mountain” e alcuni eventi del weekend. Concludiamo con una telefonata a Marina Catucci da New York, per commentare l’improvvisa sospensione dello show di Jimmy Kimmel dalla rete Abc, a seguito di una frase “scomoda” su Charlie Kirk detta dal conduttore in trasmissione.

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