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Il COVID-19 è sfuggito da un laboratorio? Intervista alla dottoressa Alina Chan

covid laboratorio wuhan cina ANSA

All’inizio della pandemia, sembrava certo che l’origine del COVID-19 fosse naturale. Si parlava di pipistrelli, di pangolini e di spillover. Qualcuno aveva espresso dubbi, ma era stato bollato come cospirazionista. Si diceva che era solo il tentativo di trovare un colpevole, un capro espiatorio. Poi, pian piano, le voci si sono diversificate e la teoria della fuga del COVID-19 dal laboratorio si è fatta strada sempre tra più persone. Alina Chan è una biologa molecolare specializzata in ingegneria genetica ed è una ricercatrice del Broad Institute di MIT e Harvard. Le abbiamo chiesto cosa è cambiato rispetto a prima.

Credo che quello che è cambiato sia che è diventato più sicuro per gli scienziati parlare pubblicamente di questo argomento. Uno dei motivi è la politica, ovviamente. Molti degli scienziati si trovano negli Stati Uniti e credo che la nuova amministrazione abbia aperto una porta per poterne parlare senza essere descritti dai media come dei cospirazionisti. Un’altra cosa importante è che è stata pubblicata una lettera all’interno della rivista scientifica Science firmata da 18 scienziati, alcuni dei quali molto famosi e rispettati, nella quale si chiedeva un’indagine approfondita e indipendente su entrambe le teorie delle origini del COVID, sia quella naturale che quella della fuga dal laboratorio.

Tra i 18 firmatari di questa lettera che ha – effettivamente – un po’ aperto la strada alle indagini e le ricerche sulla teoria della fuga del COVID dal laboratorio c’è la stessa Alina Chan.

Dott.ssa Chan, che cosa l’ha spinta a firmare questa lettera?

Quando una delegazione dell’OMS è stata mandata in Cina per investigare sull’origine del virus, gli scienziati hanno praticamente escluso la teoria della fuga dal laboratorio. Favorendo la teoria dell’origine naturale o addirittura quella del cibo congelato importato dalla Cina che avrebbe portato il virus a Wuhan. Ma quando la delegazione è tornata a casa, lo stesso direttore generale dell’Oms ha detto che evidentemente la teoria della fuga dal laboratorio non era stata investigata a sufficienza e che era pronto a organizzare nuove missioni. Quando abbiamo visto quella dichiarazione, abbiamo pensato: questo è il momento. Dobbiamo chiedere un’indagine per capire esattamente che cosa è successo e per evitare che possa succedere di nuovo. Perché le risposte ad una pandemia naturale e ad una di laboratorio sono completamente diverse.

Che prove abbiamo al momento a sostegno della teoria della fuga del COVID dal laboratorio?

Entrambe le teorie hanno zero prove. E questo è quello che sciocca le persone: è diverso dalla prima pandemia di Sars. Anzi l’origine della Sars 1 è stata indagata dai cinesi, non sono nemmeno servite delegazioni straniere. Ma per la Sars 2 non abbiamo niente, non ci sono tracce di animali positivi, a differenza di quanto dice la Cina. Non hanno nessuna prova sullo spillover. Questo è il motivo per cui ci dicono che arriva dai cibi congelati, perché è la migliore ipotesi che riescono a fare. Mentre per la teoria del laboratorio, la prova più forte è la location. Questo laboratorio di Wuhan è il più grande al mondo per la ricerca sui coronavirus e ogni anno vanno nel sud della Cina nelle grotte dove ci sono i pipistrelli. Devono andare molto in profondità, camminare a carponi circondati da migliaia di pipistrelli che volano ovunque. Devono prendere campioni, spesso a mani nude. Quindi ci sono possibilità abbastanza alte che sia stato un incidente. Certamente non una cosa voluta, ma un incidente.

Crede che saremo in grado di scoprire la verità anche senza l’aiuto della Cina, ma solo tramite la ricerca scientifica?

Sarebbe grandioso se la Cina collaborasse, ma dal lavoro fatto in Cina dall’Oms possiamo già vedere che non ha intenzione di farlo. Non hanno nemmeno dato l’accesso ai dati puri né li hanno aiutati a capire come erano i primissimi casi o quando esattamente il virus è arrivato per la prima volta a Wuhan. Non hanno fatto nessuno sforzo per aiutare il mondo a capire come sia potuto succedere. Quindi, se la Cina non collabora, noi dobbiamo iniziare a indagare fuori dalla Cina. E più questa indagine sarà internazionale e più paesi coinvolgerà, più sarà forte e funzionale. Perché non saranno più solo gli Stati Uniti e il Regno Unito contro la Cina. Nessuno vuole che si ripeta una cosa del genere. Molti paesi hanno sofferto, e l’Italia è tra questi, quindi è nel vostro interesse capire cosa è successo ed evitare che succeda di nuovo tra tre o 5 anni.

Non crede che l’eccessiva polarizzazione che questo argomento ha raggiunto renda difficile capire quale sia la verità e quali siano invece le fake news?

Sì, è un argomento molto divisivo, come è stato per moltissime malattie infettive. Quello che bisogna fare, secondo me, è non guardare alla massa, ma guardare i dettagli e pian piano depolarizzare l’argomento. Il problema qui è che ci sono i cospirazionisti che dicono che il COVID è un’arma biologica creata per distruggerci tutti, e questo sicuramente non aiuta la scienza. Ma ci sono anche degli scienziati che hanno esagerato dicendo che qualunque teoria sulla fuga dal laboratorio è da bollare come cospirazionista. Ecco, gli estremismi – sia da un lato che dall’altro – impediscono un’indagine onesta e precisa. Tra questi due estremi c’è un sacco di spazio in mezzo per essere d’accordo sul fatto che serve un’inchiesta. Trovare le origini del Covid19 è veramente importante. E voglio chiedere alle persone di non arrendersi. Io credo davvero che possiamo scoprire la verità ma abbiamo bisogno di collaborazione internazionale e come ho detto, anche se la Cina non collaborerà, abbiamo altri modi per capirlo. Ma la gente deve sapere che non è ancora “game over”, possiamo ancora fare molto.

  • Autore articolo
    Martina Stefanoni
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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Stuart Murdoch: "Il mio primo romanzo non è una biografia, ma racconta la mia storia e la storia della mia malattia"

    Il leader dei Belle & Sebastian racconta "L'impero di nessuno", il suo libro d'esordio, ai microfoni di Volume. Un libro che lui stesso definisce di autofiction: "La maggior parte delle cose che accadono a Stephen, il protagonista, sono successe anche a me". 10 anni fa, Murdoch aveva scritto una canzone con il medesimo titolo: "Il romanzo tocca gli stessi temi: Stephen ha un'amica del cuore, Carrie, entrambi hanno la stessa malattia e si sostengono e ispirano a vicenda". La malattia è l'encefalomielite mialgica: "Mentre scrivevo immaginavo il mio pubblico, e il mio pubblico era il gruppo di supporto per l’encefalomielite che frequentavo negli anni Novanta. Immaginavo di scrivere per loro, e questo mi ha aiutato a trovare il tono giusto". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Stuart Murdoch.

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