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Che fine hanno fatto i rifugiati sgomberati?

Una specie di gazebo per aumentare l’ombra che già i pini concedono dietro piazza Venezia. “Meglio stare qui, nel cuore di Roma, così la gente non dimentica che ci siamo anche noi”, spiegano nel presidio nato il giorno dopo lo sgombero dei rifugiati di piazza Indipendenza. Gli eritrei ed etiopi sgomberati dal palazzo si sono ritrovati qui, il caldo è feroce, per fortuna sia le comunità di origine che i comitati per la casa si sono attivati per rifornirli di cibo e acqua, con bottiglie ghiacciate.

Nella notte alcune decine di persone sono rimaste a dormire a pochi metri dai Fori imperiali, per difendere il presidio che intendono proseguire finché non arriveranno risposte concrete. Mercoledì è previsto un incontro in Prefettura, lo hanno chiesto i rifugiati e fino ad allora intendono rimanere al presidio, dove ieri sono arrivate tanti altri migranti per un’assemblea.

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La situazione per chi ha subito lo sgombero settimana scorsa dal palazzo in piazza Indipendenza non è cambiata, si sono alternati tra parcheggi e piazze per dormire. Alcune famiglie hanno accettato il trasferimento nelle case offerte dalla proprietà del palazzo sgomberato, in un comune in provincia di Rieti, ma lo stesso comune ha fatto sapere di non voler accogliere questi rifugiati.

Per altre 400 persone circa c’è ancora la ricerca di un tetto stabile, molte di queste erano al presidio a piazza Venezia, tra cui anche alcune donne ferite dal lancio di idranti avvenuto giovedì scorso. Una donna anziana ha mostrato i lividi sul corpo, un’altra più giovane aveva un braccio ingessato. Hanno raccontato le loro storie, alcune avevano accanto anche i loro bambini piccoli, quasi tutti si trovano in Italia da tanti anni, anche dieci, sempre in situazioni di grande precarietà. Sentiamo i loro racconti:

voci dal presidio

La Procura attende dalla Polizia che è intervenuta in via Curtatone un’informativa sul sospetto racket degli affitti in nero a danno degli stessi rifugiati costretti a pagare. Al presidio una donna spiega che in realtà si tratterebbe di un pagamento, per chi ne aveva la possibilità e quindi un lavoro, di dieci euro al mese per le pulizie dell’intero palazzo, per pagare chi le svolgeva e i prodotti necessari alla pulizia.

Ma ora, cacciati anche con violenza da quelle abitazioni, c’è la ricerca di una casa. Le soluzioni per poche persone in alcuni centri di accoglienza proposti dal comune di Roma sono stati respinte, si sarebbe trattato di alloggi Sprar, quelli destinati ai richiedenti asilo appena approdati in Italia, una trafila già percorsa da loro tanti anni fa. Ad accoglierli in questi giorni anche il centro Baobab, nei pressi della stazione Tiburtina. Valerio era al presidio :

valerio, baobab

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La vicenda di piazza Indipendenza ha riportato al centro dell’attenzione il problema delle occupazioni e di chi a Roma è senza casa, un problema che coinvolge migliaia di persone. Anni fa il commissario Tronca aveva stabilito insieme alla Prefettura una road map per affrontare il tema delle occupazioni, un centinaio quelle abusive, con sgomberi che si sarebbero dovuti effettuare però di pari passo con la ricerca di soluzioni abitative alternative, per non lasciare, seconda una stima, circa quattromila persone in strada. Poco è stato fatto.

Il Campidoglio fa sapere di aver presentato a fine luglio il suo piano, con l’obiettivo di offrire un alloggio a circa seimila famiglie in tre anni, costituito da buoni casa, lo scorrimento delle graduatorie delle case popolari, il contributo all’affitto, l’autorecupero e l’uso dei beni e immobili sequestrati e confiscati alle mafie.

Quest’ultimo punto ora è una delle ipotesi fatte dal ministro dell’Interno a livello nazionale, contrastata però dalla destra e che per diventare applicabile avrebbe bisogno di vari passaggi, anche legislativi. I beni confiscati alla mafia e non ancora concessi per l’uso sono migliaia, l’ultimo calcolo che risale al 2015 ne contava circa 17 mila.

La Regione Lazio da parte sua ricorda di aver stanziato 40 milioni per il piano casa, non ancora spesi. Una specie di rimpallo di responsabilità a vari livelli, esploso ora in questa coda di agosto rovente con la vicenda dei rifugiati politici cacciati da un palazzo occupato da quattro anni.

  • Autore articolo
    Anna Bredice
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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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