L'Ambrosiano

Paradisi afgani, lacrime di coccodrillo

Sono uno dei cittadini afgani che s’è aggrappato al carrello di un aereo americano al decollo da Kabul. Ho tutto da perdere, meno che me stesso; dignità e disperazione me le tengo strette, prima di precipitare.

Sono uno dei cittadini afgani che ha visto il paradiso comunista sui carrarmati sovietici; poi ci ha invaso il paradiso occidentale. Dicevano che le armi ci avrebbero portato la democrazia. Un paradiso l’hanno creato: la moltiplicazione dei campi di oppio per i paradisi artificiali da spacciare alla massa di loro cittadini che si facevano in America, Europa: in tutti i Paesi in cui bisognava tenersi su per star dietro al progresso, riempire i vuoti interiori, non disturbar troppo le mafie.

Sono uno dei cittadini afgani minacciati dalla propaganda del paradiso dove 70 vergini eran lì ad aspettarti se ti fossi fatto esplodere in un mercato o presso un’ambasciata. Sono uno dei cittadini afgani che hanno intravisto il paradiso in terra del profeta laico italiano, il medico che assisteva donne, bambini, feriti ai quali non chiedeva nulla: li curava e basta; Strada si chiamava, come la via da percorrere.

Sono uno dei cittadini afgani che ha creduto nel paradiso delle riforme promesse: elezioni, bambine a scuola, donne a lavorare e insegnare. Ma sono venuti politici corrotti e gli occidentali voltavano la faccia, dicendo che il paradiso era sicuro perché avevano armato un esercito invincibile coi miliardi: squagliati. E i soldi se li son portati via. Ora son rientrati quelli del paradiso della Sharia; chi doveva proteggerci se ne va disinteressato a noi; io sono uno dei cittadini afgani che non ha trovato altro che aggrapparsi a un loro aereo. Non resisterò qui, ma nelle coscienze loro la mia foto starà in eterno. Tra poco in Paradiso forse ci andrò davvero; chi mi aprirà spero dica: «Vieni amico, cittadino afgano. Ciò ch’hai patito ferisce, indigna mentre laggiù versano lacrime di coccodrillo lasciando il tuo, il nostro Afghanistan. Dicono: non potevamo più morire per voi; penseranno magari altri paradisi da esportare con seduzioni, speculazioni, violenze; conviveranno ancora con ingiustizie, discriminazioni, ignavie. Penseranno a sé: per un certo quoziente d’umanità è tanto. Tu, amico, va’ in pace, se puoi».

  • Marco Garzonio

    Giornalista e psicoanalista, ha seguito Martini per il Corriere della Sera, di cui è editorialista, lavoro culminato ne Il profeta (2012) e in Vedete, sono uno di voi (2017), film sul Cardinale di cui firma con Olmi soggetto e sceneggiatura. Ha scritto Le donne, Gesù, il cambiamento. Contributo della psicoanalisi alla lettura dei vangeli (2005). In Beato è chi non si arrende (2020) ha reso poeticamente la capacità dell’uomo di rialzarsi dopo ogni caduta. Ultimo libro: La città che sale. Past president del CIPA, presiede la Fondazione culturale Ambrosianeum.

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    “Jazz in un giorno d’estate”: il titolo ricalca quello di un famoso film sul jazz girato al Newport Jazz Festival nel luglio del ’58. “Jazz in un giorno d’estate” propone grandi momenti e grandi protagonisti delle estati del jazz, in particolare facendo ascoltare jazz immortalato nel corso di festival che hanno fatto la storia di questa musica. Dopo avere negli anni scorsi ripercorso le prime edizioni dei pionieristici festival americani di Newport, nato nel '54, e di Monterey, nato nel '58, "Jazz in un giorno d'estate" rende omaggio al Montreux Jazz Festival, la manifestazione europea dedicata al jazz che più di ogni altra è riuscita a rivaleggiare, anche come fucina di grandi album dal vivo, con i maggiori festival d'oltre Atlantico. Decollato nel giugno del '67 nella rinomata località di villeggiatura sulle rive del lago di Ginevra, e da allora tornato ogni anno con puntualità svizzera, il Montreux Jazz Festival è arrivato nel 2017 alla sua cinquantunesima edizione.

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