Bad Input

La silenziosa rivoluzione del giornalismo su Internet

Che il World Wide Web abbia terremotato il mondo dell’informazione è un’affermazione abbastanza banale. Così come lo è il fatto che il suo impatto, a volerne fare un bilancio, è tutt’altro che positivo. Per lo meno a livello di qualità.

Con la migrazione sul Web, infatti, sembra che gli editori si siano messi d’impegno a interiorizzare solo gli aspetti negativi della nuova dimensione. Complice la dipendenza dagli incassi pubblicitari, da parecchio tempo l’unico obiettivo degli editori è quello di sfornare titoli “acchiappa click”, pubblicando il peggior ciarpame possibile pur di attirare qualche visitatore sul sito.

Le cose, però, stanno peggiorando esponenzialmente. Uno dei fenomeni più fastidiosi è quello che non riesco a definire meglio che “l’articolo sull’articolo”, cioè quei pezzi che sono basati interamente sul copia incolla di stralci di articoli altrui, in cui la notizia è che qualcuno ha pubblicato una notizia.

Attenzione: in molti casi questo meccanismo fa in realtà parte di veri e propri accordi commerciali che prevedono una sorta di “riuso” dei contenuti. Il risultato, però, è assolutamente deprimente.

Altro elemento involutivo è l’incapacità (che scade nel dolo) di sfruttare strumenti fondamentali del Web come i link. Trovare un articolo in cui è inserito il collegamento alla fonte è rarissimo, al punto che viene da chiedersi che diavolo costi impegnare quei cinque secondi che permetterebbero al lettore di approfondire l’argomento leggendo, per esempio, il documento originale a cui si è fatto riferimento.

Il dubbio (molto più che un dubbio, in realtà) è che i link esterni non vengano inseriti nella speranza di mantenere il lettore “agganciato” al sito. Peccato che non gli si faccia un gran bel servizio.

Tutto da buttare, quindi? No. Perché quando le cose non funzionano, di solito generano cambiamenti. Uno di questi è il fenomeno delle newsletter gestite attraverso piattaforme di pubblicazione indipendenti. Un esempio è Substack, che offre tutto quello che serve per pubblicare newsletter e ottenere anche una retribuzione attraverso la sottoscrizione dei lettori.

Il fenomeno sta crescendo, anche perché sono sempre di più i giornalisti stufi del fatto che i loro articoli siano “misurati” solo in base al numero di click e non in termini di qualità. Per fortuna, sembra che non manchino nemmeno i lettori affamati di informazione di qualità. Anche su Internet.

  • Marco Schiaffino

    Dopo una (breve) esperienza come avvocato, nel lontano 2000 mi sono trovato quasi per caso a scrivere di Internet e nuove tecnologie, quando il Web e il digitale erano una specie di hobby per smanettoni e appassionati di fantascienza. Mentre continuavo a scrivere per la mia banda di nerd, mi dannavo per trovare il modo di passare a quello che pensavo fosse un giornalismo “più serio”. Qualche volta ce l’ho anche fatta. Poi è successa una cosa strana: quello di cui mi occupavo da anni, ha cominciato a interessare tutti. Ho smesso di dannarmi.

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    Ricciardi, il commissario antifascista che si ispira a Camus

    Nato dalla penna di Maurizio De Giovanni e presente in buona parte della sua opera letteraria, il Commissario Ricciardi ritorna nella terza stagione della serie a lui dedicata su Rai1 e sceneggiata dallo stesso autore dei romanzi. Diretto nel 2021 da Alessandro D’Alatri, seguito poi da Gianpaolo Tescari, per la seconda e la terza stagione, Ricciardi indaga nella Napoli degli anni ‘30 in pieno regime fascista, rifiutandone le regole imposte. “Ricciardi non è un protagonista tipico, è un anti-protagonista – spiega Guanciale -. È molto empatico e come il protagonista di La Peste di Camus, si preoccupa di fare bene il suo mestiere a prescindere dalle imposizioni che gli vengono fatte”. Sempre in cerca di giustizia, in una forma di resistenza al potere dittatoriale di Mussolini, molto presente nel contesto dei casi da risolvere. I fantasmi che si aggirano nella mente del Commissario, immaginati nei libri di De Giovanni, nella serie prendono forma durante le indagini. L’intervista di Barbara Sorrentini.

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